Le Mura Di Tarnek. Goran Segedinac
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Читать онлайн книгу Le Mura Di Tarnek - Goran Segedinac страница 8
Obbedì, ma non osò parlare.
“Immagino che t’interessi sapere perché ti ho chiamato?”.
Il predicatore chinò la testa in un cenno d’assenso. “Vostra santità, spero che siate soddisfatto del mio servizio”.
“Più che soddisfatto. Sai, anche se non sembra, seguo con attenzione il lavoro di ognuno”.
“Non ne ho mai dubitato”.
Il Sacerdote sorrise. “Tu no, ma altri probabilmente sì”.
È una domanda o un’affermazione? Sarius di solito non si faceva problemi a esprimere il proprio pensiero. Tuttavia, la situazione in cui si trovava non era ordinaria. Come se avesse percepito quel dilemma, il suo interlocutore continuò.
“Non preoccuparti, il dubbio è cosa buona. Ci rende attenti, e se siamo attenti vuol dire che peccheremo di meno. Al giorno d’oggi l’attenzione non basta mai, concordi?”.
“Concordo, vostra santità”.
“Questo è bene”.
Tios si mosse gentilmente di lato, senza distogliere lo sguardo da Sarius, e mosse la mano in direzione di un simbolo che si trovava sul muro. “Predicatore, dimmi, cosa vedi qui?”.
“Un occhio… vedo il quadruplice occhio”.
“L’occhio dell’Eternorisorto, simbolo del nostro Dio e della nostra fede”. Si toccò d’istinto il medaglione sul petto, come se cercasse una conferma della correttezza della risposta.
“Esatto. Non molto fantasioso, ma esatto”. Evidentemente soddisfatto di quanto aveva sentito, si avvicinò nuovamente al suo interlocutore, allargando le braccia. “E cosa vedi qui?”.
Sarius era confuso. Il miscuglio di tensione e di enigmi lo rendeva nervoso. L’esito di tutto ciò dipende da me?
“Non capisco, vostra santità”.
Sembrava che tutto ciò divertisse il kas davanti a lui. “Hai capito, predicatore. Non lasciarti tormentare dalle paure, ma rispondi così come hai risposto alla mia domanda precedente. Che cosa vedi qui, attorno a noi?”.
“Vedo… vedo… una stanza, santità. Il vostro alloggio”.
“E poi? Che altro?”.
“Vedo un tavolo, vedo dei libri… dei libri sugli scaffali… sul pavimento… vedo delle pergamene sul vostro tavolo…”.
“Altro?”.
Sarius si guardò più liberamente attorno. “Vedo delle matite sul tavolo, due… tre, una è caduta a terra… la vostra collana cerimoniale è appesa allo schienale della sedia… laggiù accanto alla porta una pila è inclinata come se stesse per cadere…”.
“Non è un esempio di ordine? Questa mia stanza?”, domandò il Sacerdote aggrottando la fronte.
L’ho offeso, Sarius fu preso dall’inquietudine. Anche se avrebbe voluto esserne capace, non aveva intenzione di mentire. Andrà come deve andare, ma se è tutto un suo gioco, giocherò onestamente.
“Non lo è, vostra santità”.
Quel che seguì fu una risata calda e rumorosa.
“La tua sincerità è una gioia per le mie orecchie. Penso che gli altri fratelli avrebbero accettato di farsi strappare gli arti prima di ammettere che negli alloggi personali del loro Sacerdote regna il caos. Neppure il mio sovrintendente avrebbe avuto il coraggio di farlo. Esatto, Sarius, qui attorno a noi si può vedere solo un gran disordine, ma ciò che ora vorrei che m’illustrassi, e prometto che non ti tormenterò più, è che cosa secondo te può esserne la causa”.
Questa volta rispose senza indugi.
“I vostri impegni. Sembra che siate sempre di fretta. Forse la mancanza di tempo per riportare le cose al proprio posto?”.
Senza smettere di guardarsi attorno, notava sempre più dettagli. Praticamente non c’era spazio in cima al tavolo che non fosse uniformemente ricoperto di polvere, e i pochi mucchietti di quest’ultima erano ulteriormente smossi dalle cose che venivano portate e rimesse a posto. Anche le pile di libri, a differenza di quelli sulle pareti, non erano disposte in ordine per colore o dimensione. Se fossero messe lì per mancanza di spazio, probabilmente avrebbero un qualche ordine. Ma mentre stava ancora formulando quest’ipotesi, si accorse del numero considerevole di fessure scure sugli scaffali. Non sono a terra perché non c’è spazio per loro, sono qui perché li sta leggendo. Era mai possibile? Ce n’era almeno qualche centinaio.
Mantenendo la promessa, il Sacerdote corroborò la sua affermazione.
“Il lavoro, predicatore, hai detto bene. Attorno a noi puoi vedere il lavoro”.
“Il lavoro”, ripeté Sarius.
“Proprio così. Qui ci sono dei simboli che ci ricordano chi serviamo. Eppure, il semplice simbolo o la divisa che indossiamo non ci rende suoi degni strumenti. Un Sacerdote incapace di comprenderlo non è più messaggero di Dio di un qualsiasi ignorante a cui li abbiamo dati perché li indossi. Solo il lavoro, un lavoro difficile e solerte, una completa dedizione e un’assidua ricerca della verità ci rendono ciò che siamo stati destinati a essere nel risveglio. Dalla Torre di Cristallo escono solo le ombre di ciò che deve diventare un’immagine dell’Eternorisorto. L’ombra di nulla deve diventare ombra delle sue idee, solo così siamo realizzati, solo così possiamo ottenere la perfezione. Ciò vale per noi come per tutti gli altri kasi”.
“Così è, vostra santità”.
“Purtroppo”, continuò Tios, “oggi siamo più persi di quanto non siamo mai stati. Lascio di rado lo spazio della chiesa e ne sono grato. Questo nulla che ha messo radici tra noi… è… è difficile trovare la parola giusta”.
“Rovinoso”. Sarius si era quasi liberato.
“Inammissibile!”, gli occhi del Sacerdote s’illuminarono. “Dobbiamo lavorare più che mai. Se vogliamo diventare almeno un pallido ricordo di quanto eravamo un tempo”.
Il predicatore chinò la testa. “Concordo perfettamente con vostra santità”.
“Allora siamo in due, caro mio. E per una stanza come questa è uno stato delle cose più che buono”. Come se aspettasse di trovarvi dei capelli, passò la mano sulla nuda pelle della testa, poi rassettò gli orli del mantello che oltre a lui in tutta Tarnek solo in quattro avevano l’onore di indossare. “Dimmi, com’è andata la tua attività odierna?”.
Lo sa, pensò Sarius, e ne fu grato. La situazione inattesa in cui si era ritrovato aveva quasi completamente scacciato il pensiero di quanto accaduto al rifugio. Riferì al Sacerdote ogni dettaglio, proprio come, inconsapevole di cosa lo attendeva al suo ritorno, aveva pianificato di