Le Mura Di Tarnek. Goran Segedinac

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Le Mura Di Tarnek - Goran Segedinac

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Tenendo conto delle circostanze oserei dire con gran coraggio. Già stasera informerò l’Ordine”.

      “Vi ringrazio”, s’inchinò Sarius. Voleva sentire il rapporto, voleva assicurarsi che avessi agito correttamente. A Tarnek tutti i muri hanno occhi e orecchie, ma voleva sentire cosa avevo da dire prima di credere alle voci di corridoio. Gli faceva piacere l’onore che gli era stato dimostrato ricevendolo personalmente. Per la prima volta da quando era tornato alla chiesa, provò un sincero sollievo. Durò appena un istante, finché il Sacerdote non prese nuovamente la parola.

      “Passiamo ora al dunque. Non ti ho chiamato senza motivo”. Tios si avvicinò al tavolo e iniziò a frugare tra le pergamene sparpagliate qua e là.

      Pensavo che desiderasse sentire il mio rapporto. Che stupido che sono.

      “Stamane è arrivata una lettera”. Gli porse un involto mezzo arrotolato. Il timbro che lo proteggeva da occhi indiscreti era stato spezzato, ma Sarius lo riconobbe all’istante. Tre occhi disposti a piramide, il simbolo della Santa Fratellanza. Il simbolo dei Tre.

      Non dovrei guardarlo.

      “Leggila. Non morde”. Il Sacerdote sprofondò nella sedia. “T’inviterei volentieri a sedere, ma come vedi lo spazio scarseggia”.

      Sarius srotolò con attenzione la lettera, tenendola per le estremità. La grafia era fitta, ma leggibile.

      Il giorno dodicesimo del trimestre del Pensatore dell’anno 1989 la Santa Fratellanza della città di Tarnek ha tenuto una seduta straordinaria ed è giunta alla conclusione di cui venite informati per grazia dell’Eternorisorto:

      Il Sacerdote Galanor, priore della Chiesa Vecchia di Tarnek, dopo un devoto adempimento quarantennale del proprio dovere, e dopo settantadue anni di servizio nella Chiesa, è stato richiamato dal Sarto dei sogni ed è entrato nella Torre di Cristallo, lasciandoci a ricordare il suo fruttuoso ciclo, le cui tracce serviranno in eterno come base su cui proseguire la costruzione della nostra dottrina.

      Seguendo la santa legge della Chiesa, che impone che i sacerdoti non possano essere nuovi risvegliati ma solamente scelti tra le schiere dei kasi che hanno fatto voto a Dio, i Tre hanno intrapreso un’analisi approfondita dei candidati adatti, sui quali erano stati informati per grazia delle vostre santità tramite i resoconti annuali.

      Basandosi esclusivamente sul valore delle virtù, dopo una seduta di nove ore, i Tre hanno preso una decisione unanime.

      Come sacerdote della Chiesa Vecchia si nomina il predicatore Sarius, fratello della Chiesa della Speranza, risvegliatosi nell’anno 1979 nel quinto giorno del trimestre del Sarto.

      La Santa Fratellanza informa della propria decisione il Sacerdote della Chiesa dello Sguardo Divino Logon, il Sacerdote della Chiesa della Speranza Tios, il Sacerdote della Chiesa di Beanor Kudor, nonché il sovrintendente della Chiesa Vecchia Vandor. S’invita il Sacerdote della Chiesa della Speranza Tios a informare tempestivamente al ricevimento della presente lettera il neoeletto Sacerdote della decisione dei Tre.

      Che l’Eternorisorto Vi porti la pace!

      Le braccia di Sarius ricaddero pesanti accanto al corpo e lui rivolse uno sguardo silente alla figura che lo osservava in silenzio. Il sorriso sul volto di Tios non diminuiva la serietà della situazione che gli era crollata come un muro sulle spalle, mentre lottava senza successo per placare la tempesta dei suoi pensieri. Era impossibile collegare le righe che aveva letto alla realtà.

      “Vuoi leggere ancora una volta?”, gli domandò gentilmente quello che fino a qualche istante prima era il suo priore.

      “Questo… questo è…”, porse la lettera al Sacerdote. Come se si aspettasse una simile risposta, quello rispose al suo posto.

      “Questa è la decisione dei tre Santi Fratelli. Riguarda la nomina del nuovo Sacerdote della Chiesa Vecchia. Galanor ha concluso il suo ciclo e si è avviato verso un nuovo risveglio”.

      “C’è scritto che hanno scelto… io… c’è scritto che io sono …”.

      “Il neoeletto Sacerdote. E in nome di Dio, contieniti. Sembri un predicatore qualsiasi”.

      Se la battuta doveva tranquillizzarlo, ciò non avvenne. Fece un passo avanti, poi si fermò, poi ne fece un altro. Tios si alzò velocemente dal proprio posto, e gli andò incontro a braccia aperte.

      “Vostra santità…”, incominciò Sarius.

      “Chiamami Tios, fratello. E concedimi l’onore di essere il primo a complimentarsi”.

      “Un vecchio ferro non riposa mai”

      Proverbio degli artigiani

      Il profondo silenzio fu interrotto da un rumore ben scandito di colpi metallici, portato dal vento fin dall’altra parte del cancello. Gihtar amava la pace notturna, anche quando doveva trascorrerla lavorando, come negli ultimi tempi.

      Qualcun altro sta forgiando, pensò. Probabilmente si tratta di Mink lo Zoppo. Nel quartiere artigiano non vi era kas più laborioso, e gli altri maestri lo prendevano spesso in giro per il modo in cui lo storpio elogiava la propria merce. La sua abilità era sprecata – e la prodigalità ormai da tempo aveva portato la sua attività sull'orlo del precipizio. La parsimonia è metà della ricchezza, gli diceva spesso il suo padrone Kulu vantandosi del proprio patrimonio. Gihtar si accigliò con un’aria di disprezzo.

      “Parli di nuovo da solo?”, udì una voce alle sue spalle.

      “Non hai niente da fare, Lenora? Gli stampi non si laveranno da soli”.

      La kasa stava appoggiata allo stipite e giocava con la sua ricca treccia, mentre i riverberi delle fiamme nella grossa fornace formavano delle ombre sul suo viso sporco. Forse potrebbe anche essere bella, se avesse modo di mettersi un po’ in ordine.

      “Li ho già lavati da un pezzo, mio signore. Solo che non volevo interrompere i tuoi sogni ad occhi aperti”. Il fatto che fosse il primo apprendista non sembrava contare nel suo rapporto con Lenora. Aveva una mente fina e una lingua tagliente, e se ne serviva con gran gioia.

      “Allora faresti meglio a sparire. A meno che tu non voglia finire sotto il martello”.

      Uno sguardo carico di disprezzo fu l’unica risposta che ottenne. A volte la offendo senza alcuna ragione.

      “Arrivo subito”, aggiunse contrito.

      “Tranquillo. In ogni caso devo versare l’acqua nelle botti”.

      Ho un gran bisogno di meditare. Anni di lavoro instancabile avevano instaurato una routine che garantiva la qualità del suo lavoro, ma poteva alleggerire la tensione accumulata sul collo e sugli arti solo con qualche ora di profonda concentrazione. L’intera Tarnek era diventata un pallido ricordo dei bei tempi andati, quelli del benessere, ma per Gihtar la cosa non voleva dire nulla. La vita nella bottega del maestro Kulu era la stessa da sempre, e non c’era alcuna possibilità che potesse cambiare in meglio. A differenza di alcuni apprendisti che conosceva, non coltivava illusioni che quell’egoista potesse mai apporre il suo timbro sul riconoscimento ufficiale che lui era progredito abbastanza da avviare la propria produzione. Di ereditare la bottega neanche a parlarne, soprattutto da quando Kulu aveva trasferito

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