Una Linea Sottile. Oreste Maria Petrillo

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Una Linea Sottile - Oreste Maria Petrillo

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troppo. Ora, ragazzi, sentiamo cosa ci suggerisce l'avvocato Ferrari>>. A questo punto Saveri sembra aver ritrovato tutta la lucidità che lo contraddistingue e che lo ha fatto diventare portavoce e punto di riferimento imprescindibile del Consiglio di amministrazione.

      <<Sì. Ho pensato bene a questo. E, semplicemente, la mia proposta è di andare a colloquio da Alvarado con l'avvocato Tancredi. Magari a casa di Alvarado, così da non farlo spaventare>>.

      <<Grandiosa idea! Ma perché dobbiamo portarci anche l'avvocato Tancredi?>>, rispose perplesso Saveri.

      <<Beh, perché se lui fosse d'accordo con Alvarado, insieme si potrebbero tradire e, in più, sarebbe più facile smascherarli e farli addivenire a più miti consigli>>, suggerisco prontamente prima che possano sorgere altri dubbi.

      <<Bene!>>, rispondono quasi all'unisono i tre. <<Andata! Si occupi lei degli appuntamenti e ci faccia avere notizia del giorno e dell'ora. La passeremo a prendere noi>>.

      Detto ciò, come è ormai consuetudine per quei tre grossi uomini di affari, si alzano e si accomiatano frettolosamente da me.

      La palla ritorna al sottoscritto. Devo chiamare Tancredi e notiziarlo. La cosa mi infastidisce non poco, dato che potrebbe scorgere in ciò qualche punto a suo favore. E a me non piace perdere. Non mi piace perdere mai e, quando non posso proprio evitare un litigio, mi piace avere l'ultima parola. Anche stavolta andrà così. Gli farò credere di avere quel piccolo vantaggio, il punto in più per la vittoria. Una volta abbassata la guardia gli darò il colpo di grazia.

      <<Avvocato Tancredi? Salve, Ferrari... Sì, bene grazie. Sì, ho parlato con i miei clienti e vorrebbero incontrarla con Alvarado presso la sua abitazione. Lei è disponibile?.... Ma naturalmente, come vuole. Le farò sapere il giorno e l'ora precisi>>. Riaggancio.

      L’ho in pugno.

      Capitolo 8

      La spia

      (Tancredi)

      Da qualche parte ho sentito dire che dormire poco fa male al cervello. Se questo è vero ho paura che le mie sinapsi neuroniche abbiano chiuso bottega circa un decennio fa. Non ho mai avuto l’abitudine di rimanere nel letto molte ore consecutive, anche se il letto in questione è uno dei più comodi nella storia dei materassi ortopedici.

      Alle otto del mattino, del giorno dopo la prima azzannata con Ferrari esco dalla suite dell’Excelsior e mi dirigo a lunghi passi verso il lungomare. Ieri la serata si è chiusa in bellezza. Dopo la semi rissa a colpi di ricatti e minacce con Ferrari, ho chiamato i miei genitori e passato con loro il resto della giornata tra lacrime e ricordi. Un figlio oltremanica lascia inevitabilmente un vuoto fatto di lontananza.

      Immagino che questo sia il prezzo da pagare per aver desiderato qualcosa che questa città non poteva offrirmi. Lo scorcio di paradiso dato da un mare all’ombra di un vulcano mi ridona una certa energia. Non sono un tipo atletico come Ferrari, ma amo camminare, spesso senza una direzione. Le persone sole lo fanno spesso e, per quanto il mio guardaroba possa far pensare diversamente, è esattamente quello che sono.

      Una persona sola.

      Quando sono atterrato all’aeroporto non ho chiamato nessuno per una semplice ragione. Non c’era nessuno da chiamare.

      Qualunque anima si potesse definire mia amica è stata lasciata alle spalle da una decisione che non aveva senso per nessuno, eccetto che per me.

      Un passo dopo l’altro sul suolo di una città che non sono mai riuscito a sentire come una patria. Incrocio passanti, coppiette, famiglie, ognuno con un bagaglio da portare, ma apparentemente felici di ciò che li circonda.

      <<Perché te ne vai?>>

      <<Credi che stiano aspettando te?>>

      <<È questa la tua città!>>

      Parole affrettate e recriminazioni continue mi hanno fatto salire su un aereo prima che potessi seriamente guardarmi alle spalle.

      Giunto ad un incrocio scelgo di lasciare la via principale e deviare per alcuni vicoli che, da bambino, adoravo esplorare insieme a mio fratello. Ricordo che le prime volte, speravo quasi che in quegli anfratti si trovasse una porta magica oltre la quale avrei trovato un nuovo mondo pieno di belle avventure.

      Naturalmente non ho mai trovato quella porta, ma in compenso ci ho trovato un paio di spacciatori che volevano assoldarmi come corriere. Le meraviglie di un’ infanzia in questa città.

      Non so come, la camminata procede spedita e di punto in bianco mi ritrovo a falcare verso il lungo vialone dove troneggia la mia vecchia facoltà di legge della Federico II di Napoli.

      La stessa università che probabilmente avrà frequentato Ferrari.

      È strano pensarci adesso, ma ad occhio e croce direi che abbiamo quasi la stessa età. È probabile che in un passato neanche troppo lontano abbiamo calcato gli stessi corridoi negli stessi momenti. Magari siamo stati anche compagni di corso. Chissà quante volte ci siamo incrociati in quelle aule senza prestare attenzione l’uno all’altro. Senza sapere che un giorno ci saremmo trovati sui lati opposti di un tavolo a darci battaglia.

      D’altronde le prospettive del futuro sono sempre diverse tra i banchi di scuola. Rimembro perfettamente di quante buone intenzioni intrise di etica era costellata la mia idea del domani. Di quanta ingenuità si condensasse nell’animo di un ventenne abituato a macinare libri e ignorare la vita reale. Una vita che ti viene sbattuta in faccia con enorme violenza una volta lasciate quelle mura fatte di esami e teorie.

      “Riccardo Ferrari”. Non lo confesserei ad alta voce neanche in un deserto a notte fonda, ma ho invidia di lui.

      Non riesco a pensarlo senza vederci quello che avrei potuto diventare se fossi rimasto. Senza vederci qualcuno che ha avuto il fegato di restare e lottare in questa giungla. Senza vederci qualcuno che si è rifiutato di fuggire come ho fatto io.

      Un uomo capace, testardo come me, ma con una differenza.

      Nella scia del suo cammino ha deciso di conservare un’anima. Nonostante abbia tentato di farlo cadere in mille provocazioni e minacce è riuscito a mantenere il controllo dei propri metodi. Ha scelto di preservare un’ etica che a me sarebbe mancata.

      Immagino non sarebbe molto contento di sapere che il foglio che gli ho messo davanti ieri mattina non era altro che un bluff ben orchestrato. Non ho e non ho mai avuto il trial clinico della Salus. L’importante era solo che Ferrari credesse che ce l’avevo.

      L’ovvia risposta a questo gioco non potrà essere che la convocazione degli Stati Generali della Salus per individuare la mela marcia responsabile del finto trapelamento di informazioni. Si scanneranno tra di loro alla ricerca di un uomo che non esiste e tra una tensione e l’altra, l’idea di un accordo si farà man mano più plausibile nelle loro menti. Inizialmente restii cercheranno di prendere tempo, di investigare, ma alla fine troveranno un pugno di mosche. Allora cercheranno di salvare il salvabile e scenderanno a miti consigli.

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