Tracce di Morte . Блейк Пирс

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Tracce di Morte  - Блейк Пирс Un Thriller di Keri Locke

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porta.

      Sembrava molto confuso. Era bello – capelli castani tagliati corti, profondi occhi blu, una corporatura asciutta e muscolosa che faceva pensare che facesse wrestling più che football. In circostanze normali probabilmente era un buon partito, ma in quel momento la sua bellezza era mascherata da una smorfia brutta, da occhi iniettati di sangue, e da un profondo taglio sulla tempia.

      Quando aprì la porta, Ray gli mostrò il distintivo.

      “Ray Sands, Dipartimento di polizia di Los Angeles, Unità persone scomparse,” disse con voce lenta e ferma. “Vorrei entrare per farti qualche domanda su Ashley Penn.”

      Il viso del ragazzo fu inondato dal panico. Keri aveva già visto quell’espressione – stava per fuggire.

      “Non sei nei guai,” disse Ray, percependo la stessa cosa. “Voglio solo parlare.”

      Keri notò qualcosa di nero nella mano destra del ragazzo, ma dato che il suo corpo le bloccava parzialmente la visuale non riusciva a vedere cosa fosse. Alzò l’arma, puntandola alla schiena di Denton. Lentamente, tolse la sicura.

      Ray la vide con la coda dell’occhio e abbassò lo sguardo sulla mano di Denton. Aveva una visuale migliore dell’oggetto che il ragazzo teneva in mano e non aveva ancora sollevato la pistola.

      “È il telecomando per la musica, Denton?”

      “Ah-ah.”

      “Puoi per favore gettarlo a terra davanti a te?”

      Il ragazzo esitò e poi disse, “Okay.” Lasciò cadere il congegno. Era davvero un telecomando.

      Ray rimise l’arma nella fondina e Keri fece lo stesso. Quando Ray aprì la porta, Denton Rivers si voltò e fu stupefatto di trovarsi Keri davanti.

      “Lei chi è?” chiese.

      “Detective Keri Locke. Lavoro con lui,” disse, facendo un cenno con la testa in direzione di Ray. “Che bel posticino che hai, Denton.”

      Dentro, la casa era un disastro. Alcune lampade erano state rotte contro i muri. I mobili erano rovesciati. Una bottiglia di whiskey era sul ciglio di un tavolo, mezza vuota, accanto alla fonte di musica – una cassa bluetooth. Keri spense la musica. Con la stanza improvvisamente silenziosa, colse particolari più precisi della scena.

      C’era del sangue sul tappeto. Keri ne prese nota mentalmente, ma non disse nulla.

      Denton aveva profondi graffi sull’avambraccio destro che potevano essere stati fatti da unghie. Il brutto taglio sulla tempia non sanguinava più ma di recente l’aveva fatto. I brandelli strappati di una fotografia di lui e Ashley erano disseminati sul pavimento.

      “Dove sono i tuoi genitori?”

      “Mia mamma è al lavoro.”

      “E tuo padre?”

      “È occupato a fare il morto.”

      Keri, fredda, disse, “Benvenuto nel club. Stiamo cercando Ashley Penn.”

      “Fanculo Ashley.”

      “Sai dove si trova?”

      “No, e non me ne frega niente. Tra noi è finita.”

      “È qui?”

      “Lei la vede?”

      “Il suo cellulare è qui?” insistette Keri.

      “No.”

      “Nella tua tasca posteriore c’è il suo cellulare?”

      Il ragazzo esitò, e poi disse, “No. Credo che adesso ve ne dobbiate andare.”

      Ray si avvicinò in modo esagerato al ragazzo, alzò una mano e disse, “Fammi vedere quel telefono.”

      Il ragazzo deglutì a fatica, poi lo recuperò dalla tasca e glielo allungò. La cover era rosa e sembrava costoso.

      Ray chiese, “È di Ashley?”

      Il ragazzo rimase in silenzio, sprezzante.

      “Posso comporre il suo numero e vedere se suona,” disse Ray. “O puoi darmi una risposta diretta.”

      “Sì, è suo. E quindi?”

      “Metti il culo su quel divano e non ti muovere,” disse Ray. E poi a Keri, “Fa’ quello che devi.”

      Keri perlustrò la casa. C’erano tre piccole camere da letto, un bagno piccolo e un armadio per la biancheria – a occhio sembrava tutto innocuo. Non c’erano tracce di lotta né di prigionia. Trovò la maniglia per la mansarda nel corridoio e la tirò. C’era una serie di traballanti gradini sospesi in legno che portavano di sopra. Salì con attenzione. Quando arrivò in cima, prese la sua torcia e illuminò l’ambiente. Era più un posticino extra dove strisciare che una vera e propria mansarda. Il soffitto era alto poco più di un metro e le travi che lo attraversavano rendevano difficile muoversi, pure da accovacciati.

      Non c’era granché lassù. Solo ragnatele vecchie di una decina d’anni, un mucchio di scatole coperte di polvere e sul fondo un baule in legno che sembrava gravoso da spostare.

      Perché qualcuno ha messo l’oggetto più pesante e inquietante sul fondo della mansarda? Deve essere stato difficile portarlo fino a quell’angolo.

      Keri sospirò. Era ovvio che qualcuno l’avesse messo lì solo per complicarle la vita.

      “Tutto bene lassù?” urlò Ray dal soggiorno.

      “Sì. Sto perlustrando la mansarda.”

      Si arrampicò su per gli ultimi gradini e attraversò accovacciata la mansarda, assicurandosi di passare sulle strette travi di legno. Aveva paura che un passo falso l’avrebbe fatta precipitare attraverso il soffitto di cartongesso. Sudata e piena di ragnatele, finalmente raggiunse il baule. Quando lo aprì e vi puntò dentro la torcia, fu sollevata nello scoprire che dentro non c’era nessun cadavere. Era vuoto.

      Keri chiuse il baule e tornò alle scale.

      Nel soggiorno, Denton non si era mosso dal divano. Ray gli sedeva direttamente di fronte, a cavalcioni di una sedia da cucina. Quando Keri entrò, alzò lo sguardo e chiese, “Trovato qualcosa?”

      Lei scosse la testa in segno di diniego. “Sappiamo già dove si trova Ashley, detective Sands?”

      “Ancora no, ma ci stiamo lavorando. Vero, signor Rivers?”

      Denton finse di non aver sentito la domanda.

      “Posso vedere il telefono di Ashley?” chiese Keri.

      Ray glielo porse senza entusiasmo. “È protetto. Dovremo lasciare che gli informatici usino i loro trucchetti.”

      Keri guardò Rivers e disse, “Qual è la password, Denton?”

      Il ragazzo si prese gioco di lei. “Non lo so.”

      L’espressione

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