Il Nostro Sacro Onore. Джек Марс
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Yonatan annuì. “Sì.”
“Verremo annientati. Semplicissimo.”
“Che opzioni abbiamo?”
“Molte poche,” disse Shavitz. “Tutti i presenti già sanno quali sono. Tutti qui conoscono bene le nostre capacità missilistiche, nucleari e convenzionali, e della nostra forza aerea. Possiamo lanciare un massiccio attacco preventivo, al massimo, contro tutti i siti missilistici noti iraniani e siriani, e contro tutte le basi aeree iraniane. Se agiamo con impegno totale, e con tutte le nostre forze in perfetto accordo, possiamo distruggere totalmente le capacità militari iraniane e siriane, e riportare la società civile iraniana ai secoli bui. Chi tra i presenti possiede qualche nozione politica, non ha bisogno che gli dica quale sarebbe il contraccolpo mondiale.”
“E un attacco minore?”
Shavitz scosse la testa. “Per cosa? Qualsiasi attacco che conservi le capacità missilistiche dell’Iran, con aerei da combattimento o bombardieri in aria, o che lasci anche un solo missile nucleare operativo, per noi implicherà il disastro. Mentre alcuni di noi dormivano, primo ministro, o premiavano i nostri amici con contratti governativi, gli iraniani lavoravano come termiti, costruendo un arsenale missilistico convenzionale quasi incredibilmente resistente, e tutto con noi in mente.
“Il Fajr-3, con guida di precisione e veicoli di rientro multipli – quasi impossibile da abbattere. Il programma Shahab-3, con missili sufficienti, potenza di fuoco sufficiente, e portata tale da bombardare a tappeto ogni centimetro quadrato di Israele. I sistemi Ghadr-110, Ashoura, Sejjil e Bina, e tutti possono raggiungerci, con migliaia di proiettili e testate individuali. E, pur se difficilmente pare pressante al momento, stanno ancora lavorando sul lanciatore spaziale Simorgh, che è sotto test e che possiamo aspettarci di vedere operativo nel giro di un anno. Una volta approntato quel sistema…”
Shavitz sospirò. Il resto della stanza era in silenzio.
“E i nostri sistemi di rifugio?”
Shavitz annuì. “Certo. Presumendo che gli iraniani stiano bluffando e che non abbiano armi nucleari, possiamo dire con sicurezza che, dovessero lanciarci addosso un attacco maggiore, una percentuale del nostro popolo arriverebbe ai rifugi in tempo, alcuni rifugi terrebbero, e dopo, una manciata di sopravvissuti ne uscirebbe sana e salva. Ma non credo neanche per un minuto che ricostruirebbero. Sarebbero traumatizzati e inermi, lì a vagare per un cacchio di paesaggio lunare. Che cosa farebbe allora Hezbollah? O cosa farebbero i turchi? O i siriani? O i sauditi? Accorrerebbero per portare assistenza e conforto agli ultimi rimasugli della società israeliana? Non credo proprio.”
Yonatan fece un respiro profondo. “Abbiamo altre opzioni?”
Shavitz fece spallucce. “Solo una. L’idea che hanno ventilato gli americani. Inviare una piccola squadra di commando per scoprire se queste armi nucleari sono reali, e per determinare dove si trovino. Dopo intervengono per colpire quei punti con precisione, con la nostra partecipazione o meno. Se gli americani compiono un attacco limitato e preciso e distruggono solo le armi nucleari, gli iraniani potrebbero esitare a rispondere.”
Era un’idea che Yonatan odiava. La odiava per tutte le infruttuose perdite di vite – la perdita di agenti preziosi e altamente addestrati già tornati da precedenti infiltrazioni in Iran. La odiava perché sarebbe stato costretto ad aspettare mentre gli agenti sparivano, senza sapere se sarebbero riapparsi e se avrebbero poi saputo qualcosa. A Yonatan la prospettiva di aspettare non piaceva – non quando l’orologio ticchettava e gli iraniani potevano lanciare il loro attacco massiccio in qualsiasi momento.
Yonatan odiava quest’idea in particolare perché sembrava venire dall’interno della Casa Bianca di Susan Hopkins. La Hopkins non aveva idea della realtà della situazione israeliana, e sembrava non le importasse niente. Era come il pappagallo di un proprietario riluttante che aveva insegnato al povero uccello una sola parola.
Palestinesi. Palestinesi. Palestinesi.
“Quali sono le probabilità che una missione del genere abbia successo?” disse Yonatan.
Shavitz scosse la testa. “Molto, molto scarne. Ma il tentativo probabilmente farebbe piacere agli americani, e dimostrerebbe a loro la compostezza che stiamo mostrando. Se dessimo alla cosa un tempo massimo, magari quarantotto ore, potremmo non aver nulla da perdere.”
“Possiamo permetterci tutto quel tempo?”
“Se monitoriamo da vicino gli iraniani in cerca di qualsiasi segnale di un primo attacco, e lanciamo immediatamente il nostro alla quarantottesima ora, dovremmo trovarci bene.”
“E se gli agenti vengono uccisi o catturati?”
“Una squadra americana, con forse una guida israeliana con significativa esperienza iraniana. L’israeliano sarebbe un operativo dalla copertura profonda privo di identità. Se qualcosa va male, neghiamo il coinvolgimento e basta.”
Shavitz fece una lunga pausa. “Ho già l’operativo perfetto in mente.”
CAPITOLO UNDICI
12:10 ora della costa orientale
Joint Base Andrews
Contea di Prince George, Maryland
Il piccolo jet azzurro con il logo del Dipartimento di Stato statunitense sulla fiancata si spostò lentamente sulla pista di rullaggio e fece una brusca deviazione a destra. Già autorizzato al decollo, accelerò rapidamente lungo la pista, si staccò dal suolo e salì rapidamente fino a immergersi nelle nuvole. Nel giro di un altro istante, si piegò bruscamente ad angolo a sinistra in direzione dell’oceano Atlantico.
Dentro all’aereo, Luke e la sua squadra erano ricaduti tranquillamente nelle vecchie abitudini – usavano i quattro sedili passeggeri anteriori come area meeting. Avevano stivato i bagagli e l’attrezzatura sui sedili sul retro.
Stavano partendo più tardi del previsto. Il contrattempo era dovuto al fatto che Luke era andato a trovare Gunner a scuola. Aveva promesso al figlio che non sarebbe mai partito senza dirglielo in faccia, e di raccontargli quanto poteva sul luogo in cui si stava recando. Glielo aveva chiesto Gunner, e Luke aveva acconsentito.
Si erano visti in uno stanzino fornito loro dall’assistente del preside – era il luogo in cui tenevano strumenti musicali, per lo più vecchi fiati, molti che si stavano arrugginendo, a vederli.
Gunner l’aveva gestita piuttosto bene, tutto considerato.
“Dove vai?”
Luke aveva scosso la testa. “È secretato, mostriciattolo. Se te lo dico…”
“Poi io lo dico a qualcuno, e quella persona lo dice a qualcuno.”
“Credo che non lo diresti a nessuno. Ma solo saperlo ti metterebbe in pericolo.”
Aveva guardato il ragazzino, che era più che abbattuto.
“Sei preoccupato?” aveva detto Luke.
Gunner aveva scosso la testa. “No. Penso che probabilmente sai prenderti cura di te stesso.”