Il Nostro Sacro Onore. Джек Марс

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Il Nostro Sacro Onore - Джек Марс

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con leggerezza e in totale flessibilità. Scorporata dall’FBI e ora organizzata come subagenzia dei servizi segreti, la disposizione limitava le interazioni di Luke con la burocrazia federale. Faceva rapporto direttamente alla presidente degli Stati Uniti.

      Il piccolo campus era circondato da recinzioni di sicurezza con in cima filo spinato. Però in quel momento i cancelli erano spalancati. Oggi c’era l’Open Day. E Luke era felice di esserci.

      Percorreva i corridoi a grandi passi con Susan, entusiasta di mostrare alla presidente degli Stati Uniti tutte le cose che lei già conosceva. Gli sembrava di avere cinque anni. Le lanciava un’occhiata di tanto in tanto, si immergeva nella sua bellezza, ma non fissava. Soffocava la voglia di tenerla per mano, cosa che apparentemente faceva anche lei, perché la mano di lei gli sfiorava la sua, il braccio, la spalla, quasi costantemente.

      Susan doveva conservare tutto quel contatto per dopo.

      Luke rivolse l’attenzione all’edificio. Il luogo era stato messo insieme esattamente come aveva sperato, e così l’SRT. I suoi avevano accettato di unirsi a lui. Non era una questione da poco – con tutte le fatiche che avevano sopportato, e la lunga assenza di Luke, era un miracolo che tutti fossero disponibili a fidarsi ancora di lui.

      Lui e Susan entrarono nella mensa e guadarono la folla, seguiti da due agenti dei servizi segreti. Una dozzina di persone circa formava una coda serpentina al bar. Alla finestra, Luke scorse la persona che cercava, in piedi tra Ed Newsam e Mark Swann, sovrastato dai muscoli gonfi di Ed e da quella pertica di Swann. Suo figlio, Gunner.

      “Vieni, Susan, laggiù c’è qualcuno che voglio presentarti.”

      D’un tratto parve affranta. “Aspetta, Luke! Questo non è il…”

      Lui scosse la testa, e stavolta la afferrò davvero – per il polso. “Andrà tutto bene. Digli che sei il mio capo. Mentigli.”

      Emersero dalla folla e apparvero accanto a Gunner, Ed e Swann. Swann aveva i capelli in una coda di cavallo, occhiali avvolgenti in viso. Aveva il lungo corpo avvolto in una t-shirt nera dei RAMONES, blue jeans sbiaditi, con sneakers Chuck Taylor a scacchiera gialla e nera ai grossi piedi.

      Ed sembrava enorme con un dolcevita nero, pantaloni eleganti beige e scarpe in pelle nera. Aveva un orologio d’oro della Rolex al polso. Aveva capelli e barba nero corvino, tagliati cortissimi, e in maniera meticolosa, come siepi curate da un maestro giardiniere.

      Swann era ai sistemi informatici – uno dei migliori hacker con cui Luke avesse mai lavorato. Ed era alla armi e tattica – era venuto alla Delta Force dopo Luke. Era assolutamente devastante nell’uso della forza. Aveva un bicchiere di vino – sembrava minuscolo nella sua mano gigantesca. Swann teneva una lattina nera di birra con il logo di un pirata in una mano, un piatto con molti e grossi sandwich nell’altra.

      “Ragazzi, conoscete entrambi Susan Hopkins, vero?” disse Luke.

      Ed e Swann le strinsero la mano a turno.

      “Signora presidente,” disse Ed. La squadrò da capo a piedi e sorrise. “Che piacere rivederla.”

      Luke quasi rise davanti a Ed che faceva gli occhi da lupo alla presidente. Scompigliò i capelli a Gunner. Fu leggermente imbarazzante, perché Gunner era un pochino troppo alto per farsi scompigliare i capelli.

      “Signora presidente, questo è mio figlio, Gunner.”

      Lei gli strinse la mano ed esibì la sua simpatica faccia da Sono la presidente e sto incontrando un bambino a caso. “Gunner, è un vero piacere conoscerti. Ti diverti alla festa?”

      “È ok,” disse lui. Arrossì tantissimo e non incrociò il suo sguardo. Era ancora un bambino timido, per certi versi.

      “Le tue ragazze sono qui?” disse Luke a Ed, cambiando argomento.

      Ed fece spallucce e sorrise. “Oh, stanno correndo da qualche parte.”

      A margine del gruppo apparve una donna. Era alta, bionda e impressionante. Indossava un tailleur rosso e i tacchi alti. Ancor più impressionante dell’aspetto fu il fatto che andò dritta da Luke, ignorando la presidente degli Stati Uniti.

      Allungò verso Luke uno smartphone come fosse stato un microfono.

      “Agente Stone, sono Tera Wright, della WFNK, il notiziario radio numero uno di Washington DC.”

      Luke quasi rise alla presentazione. “Salve, Tera,” disse. Si aspettava che gli chiedesse della riapertura degli uffici dello Special Response Team, e del mandato che avrebbe avuto l’SRT nella lotta al terrorismo nel paese e all’estero. Bello. Una cosa di cui non gli sarebbe dispiaciuto parlare.

      “Come posso aiutarla?”

      “Be’,” cominciò Tera, “vedo che la presidente è qui per la grande riapertura della sua agenzia.”

      Luke annuì. “Certo che c’è. Penso che la presidente sappia quant’è impor…”

      La donna lo interruppe. “Può rispondere a una domanda per me, per favore?”

      “Certamente.”

      “Le voci sono vere?”

      “Uh, non so di nessu…”

      “Da un paio di settimane girano delle voci,” lo informò Tera Wright.

      “Voci su cosa?” disse Luke. Guardò il gruppo, come un uomo che affoga e spera che gli venga lanciata una corda.

      Tera Wright sollevò una mano come a dire STOP. “Cambiamo sistema,” disse. “Quale direbbe essere la natura della sua relazione con la presidente Hopkins?”

      Luke guardò Susan. Susan era una del mestiere, nella questione. Non arrossì. Non parve colpevole. Si limitò a sollevare un sopracciglio e a fissare interrogativamente la nuca della reporter, come se non avesse idea di che cosa stesse dicendo.

      Luke prese fiato. “Be’, direi che la presidente Hopkins è il mio capo.”

      “Nient’altro?” disse la reporter.

      “Come per lei,” disse Luke. “È anche la mia comandante in capo.”

      Diede un’altra occhiata a Susan, pensando che adesso sarebbe saltata su per reindirizzare la conversazione. Ma adesso c’era il capo di gabinetto di Susan, la carina Kat Lopez, in un attillato gessato azzurro. Kat era ancora snella, anche se il volto non era neanche lontanamente giovanile come quando aveva accettato quel lavoro. Tre anni di stress costante e caos totale avrebbero fatto male a chiunque.

      Parlava a bassa voce, praticamente sussurrava, direttamente nell’orecchio di Susan.

      Il viso di Susan si oscurò mentre ascoltava, poi annuì. Di qualsiasi cosa si trattasse, era brutta.

      Alzò lo sguardo.

      “Signori,” disse. “Spero che mi scuserete.”

      CAPITOLO CINQUE

      18:15 ora della costa orientale

      Sala

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