Scala E Cristallo. Alessandra Grosso

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Scala E Cristallo - Alessandra Grosso

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vedevo l’ora di misurarmi con esse, ma dall’altra sentivo

      ancora il brivido gelido della paura verso l’ignoto. Ciò

      nonostante proseguii con i miei stivali consumati verso altre

      sfide e altri territori.

      I territori tormentati tipici di una tundra nordica

      sembravano alle spalle, con il loro denso odore di betulla e

      gli alti abeti perseguitati dalla neve invernale. I

      sempreverdi, che prima erano tutti intorno a me, si diradarono

      per lasciare spazio a un misterioso labirinto.

      Mi ritrovai improvvisamente vicino a intricate rovine che

      portavano tanti anni quanti erano gli strati di licheni che le

      coprivano. Erano malandate ma disegnavano ancora i loro

      contorni. Se volevo addentrarmi nel labirinto, dovevo seguire

      la direzione di quelle rovine; pazientemente, con tenacia e

      spirito di sacrificio, dovevo piegare la mia volontà a quella

      del fato. Il fato non doveva essere stato molto generoso

      finora vista la sequenza di sfide che avevano indurito il mio

      spirito e la mia pelle, irrobustendo il mio fisico ma

      affaticandomi terribilmente.

      La fatica era una sensazione che ben conoscevo, un’amica e

      una compagna di tutti i giorni. Era come una donna che non

      mente: bella e terribile allo stesso tempo. Non altrettanto

      seducenti erano le scritte che trovavo sui muri, scritte

      terribili e pentacoli che sembravano tracciati con resti umani

      e sangue.

      Controllando le scritte mi spaventavo sempre di più:

      dicevano di non entrare e di non avventurarmi, di non provare

      quel cammino terribile; dicevano di lasciare i propri desideri

      perché non si sarebbero avverati, perché semplicemente saremmo

      morti.

      Tracce umane, teschi e corpi martoriati non troppo

      distanti da me. Mi sentivo osservata e spiata. Tutto, proprio

      tutto sarebbe potuto accadere in quel momento.

      Da sola attraversavo quel nuovo territorio ostile fatto di

      sabbia, piccoli spazi lastricati e muschio che cresceva tra le

      crepe delle antiche rovine.

      In quelle rovine vi erano teschi abbandonati, alcuni con i

      capelli ancora impigliati, capelli oramai ingialliti dal

      tempo.

      All’improvviso, uno scricchiolio sospetto e poi uno

      schianto. Davanti a me apparve una porta girevole, che spinsi.

      E cosa trovai mi lasciò senza parole.

      Era me stessa. Era me stessa, ma in un certo modo diversa.

      Era me stessa, era me stessa che vedevo e non ci potevo

      credere. Finalmente avrei avuto qualcuno con cui parlare e

      confrontarmi. Avrebbe potuto dirmi da dove veniva, cosa

      faceva.

      Lei mi assomigliava in tutto, solo era vestita più

      elegantemente. Aveva affrontato molte peripezie, come me, ma

      non altrettanto pericolose. Trovandosi in un bel giardino, in

      una dimensione lontana, era caduta ed era incappata nella

      porta dimensionale che avevo aperto. Era così passata da un

      mondo all’altro, trovandosi confusa e sotto shock per la

      novità.

      Ora eravamo in due in quel mondo parallelo, eravamo due

      eroine nella notte, nel gelo di quelle agghiaccianti rovine.

      Eravamo due ma pur sempre due gemelle, due piccole anime nella

      notte, due candele accese che potevano aiutarsi l’un l’altra o

      decidere di morire facendosi competizione.

      La competizione femminile era qualcosa di micidiale, che

      aveva portato le donne a prendersi per i capelli per l’amore

      di un fedifrago o a perdere il lavoro per chi non era riuscita

      a ingraziarsi il capo; la competizione era potente e micidiale

      come fiale di veleno. Non potevo che temerla.

      Valutavo attentamente gli atteggiamenti del mio clone,

      della mia gemella, ma lei si dimostrò sempre molto affabile e

      comprensiva. Mi seguiva sempre e aveva un atteggiamento

      gentile e aperto nei miei confronti. Mentre ci avventuravamo

      sempre più all’interno delle rovine, la nostra sintonia

      cresceva.

      Quel breve attimo di tranquillità, quel breve istante in

      cui mi ero resa conto che non ero più sola, che potevo avere

      un futuro, fu però presto sconvolto.

      I MOSTRI DELLE CAVERNE

      Era mostruoso, rumoroso e si nutriva di paura. Aveva il

      corpo arrossato con le vene in vista per la bruciatura totale

      della sua pelle. Era altissimo, circa quattro o cinque metri,

      con robusti e grandissimi piedi che si muovevano facendo il

      rumore di un masso che si frantuma per terra. Aveva la bocca

      piena di denti

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