Il Conte Libertino. Dawn Brower
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«Oh.». La storia era affascinante. Che cosa sapeva esattamente la duchessa, e come lo aveva appreso? «Di che ferita si trattava?».
«Un colpo di pistola.» rispose Kaitlin compiaciuta.
Accidenti… il cuore le batteva per l’emozione… quante possibilità… «D’accordo. Avete ragione, devo incontrarla.». Poi si rivolse a Samantha: «Fammi sapere quando avrai convinto tuo fratello.». Incrociò lo sguardo di Kaitlin, «Verrai anche tu?».
Lei annuì, «Questo è il tuo sogno, Mary. Voglio essere presente quando lo raggiungerai. E poi mi piacerebbe conoscere la duchessa.».
«Sembra decisamente audace.» rispose Marian allegramente, «Non vedo l’ora di incontrarla.».
«Ti scriverò dopo che avrò parlato con Shelby.» disse Samantha alzandosi, «Mi aspetto che tu sia pronta non appena avremo organizzato tutto, spero che non ci voglia molto a convincerlo.».
Con queste parole, Samantha uscì dal salotto, lasciando Kaitlin e Marian da sole. C’era molto da fare. Prima di tutto c’era da convincere suo padre a permetterle di viaggiare. Poteva dare ordine alla cameriera di iniziare a preparare le valigie mentre lei studiava l’approccio migliore. Doveva funzionare, era la sua ultima speranza.
CAPITOLO TRE
Jonas fischiettava mentre si dirigeva verso il club. Aveva trascorso una giornata particolarmente lunga e non vedeva l’ora di rilassarsi con alcuni dei suoi amici più cari. Asthey e Shelby sarebbero arrivati, prima o poi. Avrebbero deciso se rimanere al club o andare a divertirsi altrove. Talvolta Shelby doveva accompagnare sua sorella a un ballo o a una festa. Quando Jonas e Asthey erano dell’umore, si univano a lui per supporto morale o per prenderlo in giro.
Fortunatamente, lui non aveva una sorella minore di cui occuparsi, e neanche un fratello, per dirla tutta. La sua era stata un’infanzia solitaria, ma era grato che suo nonno non avesse nessun altro da torturare. Era già abbastanza difficile proteggere se stesso, figuriamoci un fratello o una sorella. Ciò era incluso nel motivo per cui Jonas non voleva sposarsi. Certo, non dare a suo nonno un altro erede era un ulteriore motivo, ma in particolare non intendeva mettere in pericolo una moglie o un figlio. Sarebbero stati una debolezza che il duca avrebbe sfruttato ben volentieri. Era meglio che rimanesse solo per il resto dei suoi giorni. Almeno finché suo nonno non si fosse deciso a morire e a lasciarlo in pace. Il vecchio stava combattendo fino all’ultimo respiro. Probabilmente sapeva che sarebbe andato all’inferno e non voleva entrare nelle sue profondità infuocate.
Alcuni giorni erano peggiori di altri. Dopo la morte di suo padre, Jonas non aveva avuto molti giorni felici. Fortunatamente, Charles Lindsay, Conte di Coventry, lo aveva preso a cuore. Jonas non ne capiva ancora il motivo, ma gli era grato per il suo aiuto. Il Coventry Club era stato la sua salvezza sotto tanti aspetti. Gli aveva offerto una fratellanza e un faro di speranza. Coventry era stato determinante nell’aiutarlo a costruire la sua fortuna e, a sua volta, a tenere suo nonno il più lontano possibile da lui. Il duca non si arrendeva facilmente e cercava comunque di farlo tornare all’ovile. Cosa che Jonas non avrebbe mai fatto.
Un vento leggero lo sorprese mentre girava l’angolo. Accelerò il passo quando scorse il club. Il sole stava iniziando a tramontare e presto l’edificio sarebbe stato gremito di gente. Non tutti i conti erano in città nello stesso periodo ma, se anche lo fossero, c’era abbastanza spazio per tutti. Non tutti ricevevano l’invito di ammissione. Ognuno veniva attentamente esaminato e, se il leader lo riteneva idoneo, formalizzava l’invito. Coventry era il loro leader e aveva l’ultima parola su tutti i nuovi membri.
Udì un colpo alle sue spalle. Si voltò per capire cosa stesse succedendo. Asthey teneva premuto il tacco del suo stivale sul petto di un furfante. L’uomo si dimenava, cercando di scappare, finché Asthey non estrasse la pistola che portava e gliela puntò. «Avanti. Dammi una ragione per usarla. Dopo la giornata che ho avuto, mi farà sentire molto meglio.».
«Vi prego, milord.» implorò l’uomo, «Non uccidetemi. Ho una famiglia che ha bisogno di me.».
«Forse avresti dovuto pensarci prima di provare ad aggredire il mio amico.». Jonas spalancò gli occhi mentre ascoltava la conversazione. Era così perso nei suoi pensieri da non aver notato quell’uomo? Era probabile. Dopotutto, era di umore particolarmente sdolcinato. A trent’anni si diventava uomini, o almeno così gli avevano detto. Asthey alzò il grilletto mentre il furfante iniziava a tremare. «Chi ti ha mandato?».
Jonas accorciò la distanza tra loro e scrutò l’uomo. «C’è bisogno di chiederlo? Sono certo che siamo in grado di capire chi è stato così stupido da mandare qualcuno a farmi del male.».
«Non dovevo farvi più male del necessario.» disse l’uomo, «Lui voleva che vi consegnassi relativamente integro.».
«È così, dunque?». Jonas alzò un sopracciglio, «Suppongo sia vero. Non ho adempiuto al mio dovere di generare un erede. Lui non vorrebbe che io morissi prima di averlo fatto.».
«Non essere così superficiale.» Asthey quasi ringhiò, «È la tua vita, queste aggressioni devono finire.».
Jonas era d’accordo, ma non aveva idea di come dissuadere suo nonno dalle proprie idee ridicole. Quell’uomo era troppo insistente e non lo avrebbe lasciato in pace per nessun motivo. «Perché non usiamo il ragazzo per inviare un messaggio a quel vecchio caprone?».
«Vuoi che gli spari e lo faccia consegnare a Southington a pezzi?».
«Che cosa macabra.» disse Jonas. Asthey non faceva sul serio. Oh, avrebbe sparato a quell’uomo, se necessario, ma non aveva mai commesso un omicidio. Qualche tempo prima aveva avuto uno spiacevole incidente che lo aveva reso diffidente verso le persone che non conosceva o di cui non si fidava. Ecco perché portava con sé una pistola. «Non credo ci sia bisogno di arrivare a tanto.».
«Vi prego, non uccidetemi.», l’uomo era diventato bianco come un lenzuolo, «Farò tutto quello che volete.».
«Visto? Vuole solo rendersi utile.» Jonas sorrise. Un pizzico di malvagità lo pervase, e lui non riuscì a trattenersi neanche se avesse voluto. «Se non farà ciò che gli chiediamo, puoi sempre sparargli più tardi.».
«Preferirei farlo adesso.» rispose Asthey quasi maniacalmente, «Ma colgo la saggezza del tuo piano.». Scostò lentamente lo stivale dal petto dell’uomo. «Non scappare. Sono un asso con questa pistola e non faresti tre passi prima di sentire una pallottola bruciarti nel petto.».
Jonas scosse la testa, doveva molto ad Asthey per il suo aiuto in tutti questi anni. E questa era un’altra cosa da aggiungere alla lista. Non avrebbe mai potuto ripagare appieno i suoi amici per tutto quello che avevano fatto per lui.
«Che cosa volete che faccia?» chiese il furfante, con una mano ancora alzata. Asthey non aveva ancora abbassato la pistola. «Ditemelo e lo farò questa sera stessa.».
«Vai dal duca.» iniziò Jonas, «Raccontagli di questa nostra breve conversazione, nei dettagli. La prossima volta che manderà qualcun altro a fare il lavoro sporco, non sarà felice del risultato. Questo è l’unico avvertimento che gli daremo. Ho chiuso con i suoi giochetti, tutto questo finirà.».
Il duca, probabilmente, non avrebbe ascoltato l’avvertimento, ma Jonas doveva provarci. Tutti gli uomini inviati da suo nonno non erano serviti, ma era ora di cambiare la sua strategia. Non avevano mai minacciato di ucciderne e smembrarne