Se lei udisse. Блейк Пирс
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PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)
PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)
PRIMA CHE ANELI (Libro #10)
PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)
PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)
PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)
I MISTERI DI AVERY BLACK
UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)
UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)
UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)
UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)
UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)
UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)
I MISTERI DI KERI LOCKE
TRACCE DI MORTE (Libro #1)
TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)
TRACCE DI PECCATO (Libro #3)
TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)
TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)
CAPITOLO UNO
Anche prima dell’arrivo del bambino la chiamavano la Madre Miracolosa. Che avrebbe partorito a cinquantasette anni Kate Wise l’aveva detto solo ad Allen e Melissa. Non ne aveva parlato nemmeno con i colleghi. Né con DeMarco, né con Duran… con nessuno. Ma la voce era uscita. Quando era incinta di cinque mesi, tutti al bureau lo sapevano e riceveva telefonate da giornalisti e reporter.
Stranamente, fu alla prima giornalista che l’ebbe chiamata a pensare mentre il medico le controllava la dilatazione. Aveva trovato un po’ ridicolo che la sua gravidanza facesse notizia. Però, come le avevano detto i medici e come aveva confermato con una ricerca su Google, era raro che una donna di più di cinquant’anni rimanesse incinta – ed era ancor più raro che la donna in questione portasse a termine la gravidanza.
Però eccola lì: le si erano rotte le acque otto ore prima, il medico le diceva che era dilatata di otto centimetri, ed era quasi ora.
La prima giornalista era della rivista Madre e figlio. Kate aveva risposto solo per educazione. Avevano parlato al telefono due volte: la seconda telefonata si era concentrata più sulla sua capacità di conservare una seconda carriera nell’FBI. La giornalista le si rivolgeva come a una specie di supereroina. Non aveva mai capito perché, ma quell’intervista l’aveva infastidita per l’intera gravidanza.
Perché nessuno dovrebbe prendermi a esempio, pensò Kate mentre un’altra contrazione le lacerava il corpo di mezzo secolo abbondante. Che tortura.
Non ricordava che la gravidanza di Melissa fosse stata così tremenda. Ovviamente risaliva a quasi trent’anni prima. Era stata pianificata, e non c’erano giornalisti. Non c’erano stati aggiornamenti sulla gravidanza nei notiziari, né soprannomi come Madre Miracolosa con cui convivere.
«Kate?» disse il medico. La voce la strappò dai suoi pensieri, facendosi strada nel dolore dell’ultima contrazione. «Sei ancora con me?»
«Ah-ah.»
Era vero, anche se il mondo era una nebbia. La gravidanza era altamente rischiosa. Erano sorti problemi a partire dal quarto mese. Preoccupazioni per il peso del bambino, una gran paura quando il battito cardiaco del bambino era stato troppo lento, e adesso eccolo lì: con tre settimane di anticipo e sessanta etti in meno del peso considerato sicuro dal medico.
«Eccolo qui, Kate. Devi spingere, ok? Un’altra bella spinta e il tuo piccolo…»
Kate spinse, e la stanza si mise a girare. Era vagamente consapevole di avere Allen al suo fianco. Le teneva la mano e il viso accanto al suo mentre la incoraggiava. Le sfuggì un gemito per evitare con tutte le sue forze di urlare. Il mondo si offuscava sempre più mentre udiva le prima urla del neonato.
Vedeva tutto nebuloso quando il medico le posò il bimbo sul petto. Lo cullò tra le braccia e si mise a piangere. Odiava la parola miracolo, perché usata troppo spesso. Ma nel sentire il calore del bambino tra le braccia, tenerlo contro al suo corpo quasi sessantenne, pensò che lo fosse davvero… miracoloso.
Un bel pensiero a cui aggrapparsi mentre la stanchezza la inondava e dalla nebbia passava a un completo e perfetto riquadro nero.
Nelle settimane seguenti, Kate fu schiacciata da un’enorme ondata depressiva. Adesso che suo figlio era lì – suo figlio Michael, chiamato così in onore del suo defunto marito – aveva cominciato a ossessionarsi sui lati negativi di essere una novella madre a cinquantasette anni. Innanzitutto, doveva accettare il fatto di essere diventata, negli ultimi diciotto mesi, sia nonna che neomamma. C’era poi il fatto che quando il bambino sarebbe stato abbastanza grande da andare al college, lei sarebbe stata sull’ottantina. E pensare al college le aprì gli occhi sulla spesa aggiuntiva. Aveva abbastanza risparmi, ma aveva anche dei progetti – ossia viaggiare molto, dopo i sessanta. Ma adesso i progetti sarebbero dovuti cambiare.
Si chiedeva anche come avrebbe gestito davvero la cosa Allen. Certo, finora era stato fantastico. Si era dimostrato sinceramente entusiasta per la maggior parte della gravidanza, ma adesso il bambino c’era davvero e avrebbe cambiato le loro vite… soprattutto la vita di Allen. Innanzitutto, Michael era rimasto in ospedale tre settimane. Era stato in terapia intensiva neonatale mentre un team di medici si assicurava che prendesse peso. Kate si era persa quasi tutto, perché riprendersi era stato molto più difficile del previsto. Lo sforzo del parto le aveva fatto venire un gran mal di schiena e ne erano rimasti danneggiati anche i nervi femorali, così ogni tanto perdeva sensibilità alle gambe. Era stata dimessa ufficialmente dopo undici giorni.
A venti giorni dalla nascita, a Michael venne permesso di andare a casa. Pesava due chili e mezzo quando Kate lo mise nella culla per la prima volta. Nei due giorni che seguirono, Kate era stata una madre quasi ossessiva. Si assicurava che respirasse almeno cinque volte per ogni sonnellino e di notte; incombeva su Allen quando lo teneva in braccio lui, e non lo faceva prendere in braccio nemmeno a Melissa.
Quei due giorni l’avevano distrutta, e secondo lei era stato questo a deprimerla. Rimase a letto otto giornate intere, alzandosi solo per andare in bagno e fare la doccia, tre volte. Allen sostanzialmente in quel periodo era stato un padre solo, e in una di quelle nottate, Kate l’aveva sentito singhiozzare.
All’ottavo giorno, fu Melissa a convincerla a scendere dal letto. Bussavano alla porta della camera. Presumeva che fosse Allen e rispose con un intontito «Avanti.»
Quando vide che era Melissa, le venne voglia di piangere senza sapere bene il perché. Si issò sul gomito sinistro, sorpresa del dolore che provò nel muoversi. Restare a letto l’aveva resa dolorante.
«Lissa» disse. «Che sorpresa.»
Melissa sedette sull’orlo del letto e le prese la mano. «Come stai, mamma?»
«Non lo so» rispose, sincera. «Stanca. Devastata. Depressa.»
«Hai ancora fastidi alle gambe?»
«No, sembrano a posto. Da quando sono tornata a casa non ho più perso sensibilità.»