Amando Una Spia Americana. Dawn Brower
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Copyright © 2019 di Dawn Brower
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Pubblicato da Tektime
Indice
Parte I
Capitolo Primo
Gennaio 1915
Il fischio del treno echeggiò nell’area del terminal. Quel suono riportò alla realtà Victoria Grant, che sedeva su una panchina riservata ai viaggiatori. Era arrivata presto, in stazione, proprio per non perdere il treno che l’avrebbe portata in una piccola città della Francia. Da lì avrebbe viaggiato in compagnia di un intero reggimento, per arrivare in un ospedale da campo dove avrebbe lavorato come infermiera.
Il suo treno si stava appunto fermando alla banchina, facendo grandi sbuffate di vapore. I passeggeri scesero alla spicciolata e per un bel po’ Virginia non riuscì a salire. Attese il segnale dell’addetto, che dava il via libera ai nuovi passeggeri. I facchini stavano ancora scaricando i bagagli; presto altre valigie avrebbero preso il posto di quelle già scese.
Victoria si mise a passeggiare nervosamente per la stazione. Non aveva molti bagagli con sé perché, come infermiera, non necessitava di troppe cose. Quindi si era portata giusto le divise e i pochi effetti personali che le erano rimasti. Essendo figlia di un vicario, aveva imparato presto la frugalità. Era stata una buona allieva per suo padre, e si era forgiata all’aiuto dei bisognosi. Con la Grande Guerra che stava devastando il mondo, le donne come lei erano preziose. Aveva quindi deciso di utilizzare le sue abilità da infermiera per portare soccorso e mettersi al servizio della causa.
Camminando, si scontrò con un possente torace maschile. Imbarazzata, alzò lo sguardo e si trovò a fissare due occhi blu, ma così scuri da sembrare neri, e dei capelli talmente imbrillantinati da apparire spalmati di miele. “Perdonate!” esclamò, cercando di mettere distanza tra lei e l’uomo.
“E’ colpa mia! – esclamò quello, con un accento che a Virginia sembrò subito Americano, forse degli Stati del sud. Ne rimase fortemente sorpresa: da quando era scoppiata la guerra, non c’erano più molti Americani, in Francia. Per quel che sapeva, l’America stava cercando di mantenersi neutrale.
“Sarei dovuto stare più attento – aggiunse l’uomo, con un sorriso tale che Victoria si sentì totalmente perduta, e per un attimo faticò a mantenere il controllo. Ma subito si riprese: “Siete diretto verso il nord della Francia? – disse, tanto per darsi un tono. Ma si rese conto di avere fatto una domanda ovvia, se non banale.
Lui guardò un attimo il treno e sorrise di nuovo: “Certo. E voi, se non sono indiscreto?”
Victoria annuì con il capo. Si sentiva molto confusa. Era una strana conversazione, quella. In genere non le riusciva bene attaccare discorso. Con un uomo, poi! Non ne comprendeva bene il motivo, ma in genere gli uomini la mettevano in soggezione e, le rare volte che ci parlava, s’incartava con le parole. “Ehm…sì, anch’io…- disse. Si sentiva una perfetta idiota! Non vedeva l’ora di defilarsi e nascondersi da qualche parte!
Al suo imbarazzo in genere i maschi rispondevano con la medesima difficoltà, e alla fine Victoria si ritrovava solo a parlare di questione mediche o comunque legate al suo lavoro.
Lui ridacchiò sotto i baffi: “Allora, sarà un piacere fare il viaggio insieme.” esclamò. Lei si stupì e lo fissò per studiarlo meglio. Diceva sul serio o era uno di quelli che amava divertirsi alle spalle della gente? Ma, comunque, cosa importava? Di certo, non aveva alcuna voglia di approfondire quella conoscenza!
Uno degli addetti fece capolino dal treno e urlò: “Tutti in vettura!” A quelle parole, i passeggeri iniziarono a fare ressa per salire, e così fece anche Victoria. Non aveva un posto prenotato, o magari una cuccetta, dove rimanersene indisturbata per tutta la durata del viaggio. Quindi, doveva cercare di beccare almeno un posto in cui sedersi. Per fortuna, il viaggio non sarebbe stato troppo lungo.
Riuscì ad arrivare al corridoio di passaggio e a trovare un posto vicino al finestrino: almeno, guardando il paesaggio, avrebbe avuto qualcosa con cui svagarsi! Ma lo stesso uomo di prima la raggiunse e si sedette accanto a lei. “Come vedo, c’incontriamo di nuovo. – disse – Ma, perdonate i miei modi inurbani. Mi chiamo William!” E le porse una mano.
Victoria rimase a fissarlo, interdetta. Quell’uomo era un ammaliatore! Non potè trattenere un sorriso. “Io mi chiamo Victoria – disse, dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio.
“E’ un piacere conoscervi, signorina Victoria. Sono molto felice di fare questo viaggio in vostra compagnia e di scambiare quattro chiacchiere!” Toh, sembrava