Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni
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Читать онлайн книгу Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni страница 18
L’indomani all’alba il prete che Conrad aveva odiato, il quale scoprì chiamarsi Jacob, officiò il funerale, quindi seppellirono Rabel in una fossa scavata all’interno della grotta e in mezzo ad un recinto fatto con lastre di ardesia. Coprirono il cadavere con lo scudo che gli era appartenuto, quello lungo terminante con una punta in basso tipico della gente normanna, e gettarono della terra come sigillo finale.
Conrad restò a vegliare quel luogo per un giorno intero anche dopo il funerale. Dormì rannicchiato presso l’inginocchiatoio, non mangiò nulla e pianse parecchie volte. Fuori da quella grotta l’attendeva la vita, la vita senza suo padre, e lui era sicuro che non ce l’avrebbe fatta mai e poi mai da solo. D’altronde Rabel era lì, sepolto sotto i suoi piedi, e lui l’avrebbe atteso fedelmente; questa volta senza farsi distrarre da nessuno. Moriva dentro tutte le volte che pensava che le ultime parole che suo padre avrebbe voluto rivolgergli gli erano morte in bocca. Poi fissava i santi sulla parete rocciosa e, al contrario di quanto Roul gli aveva detto, non riusciva a non odiare anche loro.
Capitolo 9
Inverno 1060 (452 dall’egira), Rabaḍ di Qasr Yanna e dintorni
Umar invitò tutte le donne della casa a ritirarsi nelle proprie stanze. Spinse delicatamente Ghadda per le spalle, inducendola a recarsi in camera sua, ed elargì una carezza al viso di Jala.
Solo Nadira se ne stava ancora sull’ingresso, desiderosa di spiegazioni.
«Umar, dimmi chi era quell’uomo.»
«Solo un ricco mercante di passaggio che aveva voglia di provocarmi.»
«Non ti sembra strano che si sia messo in viaggio da Qasr Yanna proprio a quest’ora, e che non abbia passato la notte lassù?»
«Evidentemente per vedere “il cielo di Nadira” non si può aspettare l’alba.» rispose sarcastico Umar, pieno ancora di malcelata gelosia.
«Faresti bene ad informare il Qā’id… all’alba! Mi è sembrato di sentire un certo dissenso verso in mio signore Ali.»
Umar la guardò con aria di sufficienza e le disse:
«Adesso t’immischi anche nelle questioni di sicurezza del Rabaḍ? L’adhān della notte è passato già da un pezzo… va’ in camera tua, sorella!»
Nadira a quel punto, mentre l’altro si allontanava infastidito, si ritrovò a fissare l’argilla cotta delle mattonelle.
Pian piano ogni braciere, ogni lume e ogni candela della casa venne spenta, dando fine a quel lungo giorno.
Corrado, ancora legato al palo, aveva smesso già da un pezzo di dare segni di conoscenza, e Apollonia, rannicchiata tra le ginocchia, si era assopita; lei infatti aveva dormito ancor meno del fratello.
Idris, più in là, se ne stava perso ad osservare il cielo stellato, aspettando il momento in cui avrebbe potuto liberare il prigioniero e tornarsene a casa.
Una sorta di botto rombò per il cortile; lo scoppiettio di quello che pareva un fuoco seguì il primo rumore. Apollonia aprì gli occhi e vide un insolito bagliore provenire da presso le stalle. Idris allora cominciò ad urlare, dimenandosi come un pazzo per richiamare l’attenzione di altri. Mezyan intanto scendeva a rotta di collo per le scale del terrazzo, annunciando al compagno di sotto:
«Le stalle hanno preso fuoco!»
«Chiama Umar!»
«Chiama gli altri!»
Mezyan prese a battere come un forsennato sulla porta, mentre Idris corse via per chiamare gli uomini che facevano da sentinelle all’ingresso del villaggio; era stato proprio il Qā’id, infatti, a consigliare ad Umar di far montare la guardia nei punti strategici del Rabaḍ.
Apollonia si mise in piedi e, nel silenzio che precede la tempesta, nel frattempo che Mezyan se ne stava a bussare sulla porta, si guardò attorno. Ombre scure come i demoni dell’Averno si muovevano attorno alla casa e per le strade del villaggio. Aguzzò la vista per rendersi conto se si trattasse degli abitanti del Rabaḍ accorsi per l’emergenza, tuttavia concluse che i compaesani non sarebbero stati così silenziosi e guardinghi nell’avvicinarsi. Si strinse perciò a Corrado, e questi, sentendo il tocco sulla sua pelle, aprì gli occhi.
Umar usciva sul cortile in quel momento, in tempo per assistere al secondo boato, causato dal divampare improvviso di una sostanza infiammabile. Fiamme si elevavano con ancor più rapidità dal tetto del magazzino delle granaglie. Intanto la gente cominciava a venire fuori dalle proprie abitazioni.
Mezyan e un’altra decina di uomini facevano già la spola tra il pozzo più vicino e le stalle. Adesso si cominciarono ad avvertire alcune urla, mentre da altre parti, persino da alcune case, si elevavano altre fiamme; l’intero Rabaḍ prendeva fuoco. Il rumore inequivocabile di ferraglia rese inoltre evidente ciò che stava succedendo: assaltavano il villaggio.
Apollonia afferrò per i fianchi Corrado e raccolse tutte le sue forze per issarlo, in modo che la corda ai suoi polsi saltasse oltre la biforcazione a cui era stata incastrata. Gridò per l’intenso sforzo, quindi finì a terra trascinata dal peso del fratello. Lo sciolse perciò dai legami e l’aiutò a sedersi facendogli appoggiare la schiena al palo. Poi si passò un braccio attorno alla nuca e provò a sollevarlo... tuttavia lui, non essendo in grado di camminare, cadde a peso morto. Corrado urlò, avvertendo intenso dolore alle braccia e alle ginocchia. Apollonia dunque si sentì impotente; avrebbe voluto caricarlo a peso sulle spalle, ma proprio lei, piccola e fragile, non poteva niente. Gli afferrò infine il viso tra le mani e, guardandolo piena di lacrime, gli promise:
«Non ti lascio qui.»
«Va’ a nasconderti!» rispose Corrado, ansimando.
«Vado a chiamare Michele; lui ti porterà a casa!»
Apollonia scappò di corsa, correndo veloce tanto quanto i suoi calzari le permettevano e perdendosi tra le stradine del Rabaḍ.
Corrado, rimasto solo e seduto con le spalle al palo, guardò alla sua sinistra, verso la casa di Umar. Una moltitudine di uomini in quel momento attraversava il cortile, e il rumore della ferraglia, proveniente poco prima dagli isolati del villaggio, sembrava scomparire. Corrado pensò a cosa stesse rischiando sua sorella standosene per strada durante quell’assalto... dunque inorridì al pensiero che non tornasse.
Umar, che in quegli istanti se ne stava presso la stalla, confuso, impotente e soprattutto disarmato, ritornò sul cortile avendo capito la natura della minaccia. Tuttavia un colpo improvviso alla testa lo tramortì facendolo crollare al suolo. Adesso le urla delle donne della casa, forse della servitù, forse delle padrone, si levarono alte, e in poco tempo pure dall’abitazione di Umar cominciò ad innalzarsi del fumo nero. Corrado si guardò attorno terrorizzato, quindi si accorse che per le strade non vi era un solo uomo del Rabaḍ.
Quando gli assalitori vennero fuori dalla casa, due di loro tiravano per le braccia Nadira. Corrado, sentendo le urla, comprese la sua identità ancor prima di vederla.
Quindi,