Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni
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Читать онлайн книгу Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni страница 22
Corrado aveva sopito il suo animo guerriero in vent’anni di quotidianità familiare. Quella realtà fatta di affetto, di una casa, di genitori amorevoli, di un fidato fratello e di un’amata sorella, aveva ripagato il disagio di essere lontano dalla sua gente, perduto in mezzo ad un popolo che da ragazzino gli avevano insegnato a disprezzare. In quegli anni, l’umiliazione di essere sottomesso all’esattore del Qā’id, a Fuad prima e ad Umar dopo, era stata ripagata dall’amore di Caterina, la madre che non aveva mai avuto.
Corrado adesso si ritrovò col capo dormiente di Apollonia appoggiato sul suo petto. Benché fosse stato ad intermittenza incosciente sapeva bene quanto avesse fatto per lui quella ragazza. Le passò perciò una mano tra i capelli e le accarezzò la guancia e l’orecchio.
Apollonia aprì gli occhi, tuttavia lui non poteva vederla. Era questo tutto ciò che lei poteva pretendere da quella vicinanza: fingere di dormire per godere delle carezze dell’altro. Sorrise immaginando che quelle mani fossero motivate da altri sentimenti, ma quelle briciole erano tutto ciò che poteva avere.
«Ho sete.» disse Corrado pensando a voce alta.
Apollonia a questo punto non poté più fingere di dormire e si rizzò sullo sgabello al quale stava seduta.
«Vado a prenderti dell’acqua.» rispose fin troppo velocemente, generando nel fratello il sospetto che in realtà non stesse dormendo.
«No, lascia che la prenda nostra madre. Tu resta qui.»
Perciò lo sguardo di Corrado si soffermò sul viso di Apollonia: un grosso livido ancora arrossato partiva dall’angolo della sua bocca e saliva fino a metà della guancia.
«Cosa ti è successo qui?» chiese, sfiorandole il viso.
Apollonia si ritrasse e rispose:
«Non ricordi proprio nulla?»
In realtà Apollonia sperava che Corrado non ricordasse affatto quel particolare... che non si fosse reso conto che Idris l’aveva colpita, affinché non gli andasse il sangue alla testa e ne volesse chiedere conto.
«Chi è stato a farti questo?» domandò ancora Corrado, appoggiandosi alla spalliera del letto.
Apollonia ne uscì combattuta: da un lato avrebbe voluto proteggere Corrado dal suo stesso temperamento, dall’altro non avrebbe mai voluto mentirgli.
«Dopo quello che è successo stanotte, che importa chi è stato?»
Corrado fu di colpo catapultato nella consapevolezza degli eventi a cui aveva assistito la notte prima; adesso tutto gli ritornava alla mente.
«Hanno rapito Nadira!» fece tutto d’un fiato, come se a quella verità vi stesse giungendo in quel momento.
«Lo so, Corrado… lo so… Quella povera ragazza! Fratello, la bellezza è una maledizione di Dio, e l’uomo è uomo! Jala ha visto tutto, gliel’hanno strappata via dalle braccia. Non si fa che parlarne in tutto il villaggio e Michele mi ha raccontato tutto, anche ciò che non sapevo.»
«Umar… quel cane di Umar! L’ho visto con i miei occhi cadere morto.»
«Umar è vivo... e anche la sua famiglia. Sono fuggiti in tempo prima che la casa crollasse su sé stessa. Ma dodici paesani, Corrado… dodici paesani… sono morti per difendere il Rabaḍ!»
Corrado si crucciò per i dodici abitanti del villaggio, ma poi la rabbia verso Umar ebbe il sopravvento.
«Avrebbe fatto bene a morire quel maledetto di Umar!»
«Allora è meglio che non ti dica chi è stato a trascinarlo lontano dalle fiamme mentre se ne stava svenuto e sua madre lo cercava come una disperata nel fumo.»
«Sei stata tu?» chiese furioso, puntandole un dito in faccia.
«No, io non sono stata in grado di trascinare neppure te. È stato Michele, quando è venuto per portarti a casa.»
«Michele!» urlò Corrado, volendo chiedere conto al fratello.
«Sta’ calmo, ti prego! La gente è tutta molto provata, e anche nella nostra famiglia è calato il lutto. Ho visto nostro padre rientrare a casa in lacrime. Abbiamo perso il raccolto di un anno e molti di quei dodici erano pure amici suoi.»
«Michele!» chiamò di nuovo Corrado.
«Finirà male se ci litigherai… Non fare quest’altro torto a nostro padre. Ti prego, Corrado!» lo supplicò lei prendendogli le mani.
«Quale torto gli avrei fatto?»
A questo punto Alfeo e Michele, avendo udito il richiamo di Corrado, misero piede nella stanza.
Apollonia lasciò allora le mani del fratello e si mise subito in piedi, come se quegli altri potessero interpretare con malizia quel gesto d’affetto, come se sapessero dei suoi sentimenti.
«Nessuno si era mai accorto di noi, Corrado, ed ora grazie a te siamo diventati un fetore per tutti i maomettani del Rabaḍ, e soprattutto per la casa di Umar.» spiegò Alfeo con il viso completamente annerito dal fumo.
«È per questo che Michele ha tratto in salvo il nostro nemico ancor prima di trarre in salvo me? Per pareggiare il torto che ho fatto a quello sterco d’uomo?» fece Corrado infuriato.
«È proprio così… Preghiamo Iddio che col gesto di Michele tutto ritornerà com'era prima.»
«Prima che prendessi le vostre difese, padre?»
«Non ti avevo chiesto nulla.»
«Ma quell’uomo vi ha umiliato!»
«Comandano loro; che c'è di strano?»
«Per questo non vi siete degnato di venire mentre me ne stavo lì?»
«Umar lo deve capire che noi non c’entriamo niente col tuo gesto.»
La rabbia di Corrado lasciò spazio alla delusione.
Apollonia si accorse quindi del viso basso del fratello e cercò di rincuorarlo:
«Suvvia… in fondo nostro padre ha ragione. Che pretendevi di fare insultando l’uomo del Qā’id?»
Ma Corrado, invece di starla a sentire, puntualizzò:
«Mio padre, il mio vero padre, sarebbe stato fiero di me, e lo sarebbe stato anche se legato a quel palo ci fossi morto. Voi invece mi rimproverate pure!»
Adesso i toni si surriscaldarono sul serio. Alfeo si indignò gravemente per quelle parole, mentre Michele se ne stava in silenzio poiché sapeva di aver tradito la fiducia della persona che più ammirava.
Caterina sopraggiungeva sulla porta quando il marito fece un passo avanti e sbottò:
«Dov’è