Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni

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Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni

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gente come tuo padre queste sarebbero state ragioni più che sufficienti per farsi ammazzare, abbandonando il proprio figlio al suo destino. Tuttavia non sono queste le ragioni per cui il tuo vero padre non ti ha cresciuto… tuo padre si è fatto ammazzare per denaro!»

      Corrado a questo si alzò dal letto, ma, accorgendosi di essere nudo, si coprì alla buona con la coperta che aveva addosso; Apollonia intanto si era prontamente girata.

      «Era un soldato!» giustificò Corrado.

      «Ed io sono un contadino… con un padrone da servire!»

      Corrado fece un altro passo verso Alfeo e rispose:

      «Per questo da duecento anni leccate i piedi a dei pagani. Comincio a pensare che il gusto della polvere fra i denti vi piaccia. È per questo che la mia gente ha in mano l’altra parte del Faro mentre voi vi fate schiaffeggiare per una tassa non pagata. Roul lo diceva sempre: “Maledetti greci!”.»

      Detto questo passò oltre ed uscì di casa.

      Si sentiva un verme, soprattutto per l’ultima frase. Quell’uomo con cui litigava era colui che l’aveva accolto e cresciuto al pari degli altri figli e lui ora si mostrava ingrato, sminuendolo nel paragone col padre che invece l’aveva lasciato all’età di nove anni. D'altronde, che cosa pretendeva da quella famiglia che della sottomissione al padrone aveva fatto la propria sopravvivenza? Il cuore di Corrado era indomito di nascita, è vero, ma anche completamente incompatibile con la natura mansueta di Alfeo. Ad un certo punto, mentre se ne stava seduto sotto il fico sul retro della casa, ancora arrotolato nella coperta, arrivò alla conclusione che l’inadatto fosse lui, e che per via del suo carattere avrebbe causato solo problemi a quelle persone che amava più di ogni altra cosa. Faceva freddo e lui non era del tutto guarito, ma fu in quel momento che maturò la decisione di partire. Il cuore gli batté forte dentro il petto e il respiro si fece profondo. Adesso gli ultimi decenni scomparvero; Corrado sentì i suoi ventinove anni come se fossero nove, come se il tempo al Rabaḍ non fosse mai trascorso.

      Apollonia venne fuori piangendo, intanto che lui se ne stava immerso in quei pensieri.

      «Ancora non ti sei ripreso… entra per favore.» lo pregò.

      Corrado tuttavia sorrise compiaciuto per la decisione maturata di getto pochi minuti prima.

      «Sono contento che Michele abbia salvato la vita ad Umar.» rispose lui, lasciandola completamente perplessa.

      «E adesso cosa c’entra?»

      «C’entra perché è arrivato il momento che io mi comporti così come è in uso tra la mia gente. Chiederò conto ad Umar per ciò che mi ha fatto e la farò pagare ad Idris per ciò ha fatto a te. Non credere che io non l’abbia visto stanotte!»

      «Così ti farai ammazzare!»

      «Poco importa, poiché questo non è vivere… è strisciare!»

      «Ragiona, non ci va così tanto male... Prima che Umar colpisse nostro padre non ci avevano mai fatto nulla.»

      «Se Umar è improvvisamente cambiato allora lo sono anch’io.»

      «E se se la prenderanno con noi?»

      «Nostro padre e Michele sapranno discolparsi disconoscendomi, così come hanno fatto in questi giorni.»

      Apollonia gli si gettò alle gambe, abbracciandolo.

      «Non te lo permetto, a costo di raccontare tutto a nostro padre.»

      «Tu non lo farai, sorella, non tu che non mi hai mai tradito.»

      Apollonia alzò lo sguardo e lo fissò... Al che lui le accarezzò con un dito lo zigomo.

      «La vendetta è una delle rovine dell’uomo. Me lo hai raccontato tu di come la guerra di vent’anni fa non ebbe successo per i cristiani a causa della vendetta di quel tizio.»

      «Arduino il longobardo… ma non fu per la sua vendetta che gli eserciti cristiani se ne tornarono al di là del mare; fu perché il suo generale volle umiliarlo pubblicamente… proprio come Umar ha fatto con me.»

      Capitolo 12

      Inizio estate 1040 (431 dall’egira), vallate ad est di Tragina

      Passarono diversi giorni, forse una settimana o più, tempo in cui Conrad non smise di frequentare la chiesa rupestre. Vi dormì, vi mangiò, vi pregò e pian piano cominciò a scambiare qualche parola con chi vi ci si recava, soprattutto con quei pochi frati di rito greco che conoscevano la lingua d’oïl, ma anche con alcuni della servitù e dei soldati di guardia all’accampamento. Conrad vi passò così tante ore che nei pochi momenti in cui mise il naso fuori, i suoi occhi dolsero per l’intensa luce solare. Imparò chi fosse ciascuno dei personaggi dipinti sul muro, il nome di tutti i santi e si affezionò all’immagine di Sant’Andrea, orante a bocca aperta e facente il simbolo trinitario con la mano; proprio quel santo apostolo sovrastava la sepoltura del padre.

      Roul e gli altri avevano girovagato tra le campagne per giorni, ed ora, di ritorno dall’inseguimento, rincasavano all’accampamento insieme al grosso dell’esercito. Erano le prime ore del pomeriggio quando Conrad sentì la gran gazzarra che proveniva da sotto e giurò che per certo tra le tende si festeggiava.

      Non passò molto che il suo affidatario venne su.

      «Figliolo, vieni fuori!»

      Conrad allora uscì, ma rimase davanti l’ingresso.

      «L’intero esercito ritorna.»

      «Festeggerete voi per la vittoria… io porto il dolore per mio padre.»

      «Molti dei soldati hanno perso un parente nella battaglia, un fratello e perfino un padre… Pochi giorni fa hanno sepolto anche loro i propri morti, e non in un bel mausoleo come questo, ma in mezzo al campo. Adesso però è giusto godere dei nostri sacrifici… loro sono morti anche per questo.»

      «Non voglio lasciare mio padre.» avanzò Conrad.

      «E se qualche infedele profanasse questo luogo?» rafforzò la sua tesi.

      «Lo punirà il buon Dio, ma a tuo padre non possono ammazzarlo due volte. Oggi festeggeremo insieme, e poi, compenso in tasca, torneremo a Siracusa per dar manforte a quelli di noi che sono rimasti, in modo da completare l’assedio. Si è fatto un grande bottino in questi giorni… Dio solo sa quanti villaggi sono stati predati nell’inseguimento e sulla strada di ritorno! Ognuno avrà la sua parte e a te spetterà quella di tuo padre.»

      «Non me la sono guadagnata.»

      «Cosa ti sei guadagnato di tutto ciò che tuo padre ha fatto per te? Ragazzo, comincio a stancarmi dei tuoi capricci! Oggi quasi stentavo a credere che te ne fossi stato quassù per più di una settimana. Ma io non sono tuo padre, e se non potrò onorare la promessa che ho fatto a lui allora è tanto meglio che ti stacchi la testa con due dita piuttosto che averti tra i piedi!»

      «Cosa volete da me?» chiese dunque Conrad alzando la voce.

      «Che ti convinci che tuo padre è morto e che la smetti di frignare. E che tu sappia che io ero amico di Rabel, non tuo, per cui non mi farò scrupoli

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