Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni

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Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni

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padre e lasciatemi in pace.»

      Quando dopo questa frase Conrad si voltò per andare a rintanarsi dentro la grotta, Roul l’afferrò per la nuca e lo issò ad oltre due metri d’altezza. La mano del guerriero abbracciava quasi tutto il collo del ragazzino, quindi la strinse a tal punto che gli occhi del più giovane parvero schizzare fuori.

      «Mi chiamano Pugno Duro e dovrei farmi insultare da te, lurido moccioso? Non ci starò un niente a sfracellarti su queste rocce!» urlò che pareva il Diavolo.

      Dunque lo fece cadere scompostamente lasciando la presa.

      «Se qualcuno dovesse vedere come cerchi di calpestarmi, la mia reputazione verrebbe messa a repentaglio. Ho ucciso uomini per molto meno! Ringrazia tuo padre e il mio onore se oggi non ti strozzo. Adesso alzati e vieni all’accampamento!»

      Conrad era ferito, più che nel corpo nell’anima, ed evitava di guardare l’altro negli occhi, standosene ancora rannicchiato sull’erba secca. Neppure suo padre l’aveva mai disciplinato in tale modo.

      Ad un certo punto vide la gigantesca mano di Roul avvicinarsi al suo volto; strinse perciò gli occhi immaginando il concretizzarsi di quella minaccia.

      «Alzati e vieni con me. Ti farò vedere come viveva tuo padre, ti farò conoscere i suoi amici, ti farò bere quello che lui beveva e ti farò andare con le donne che lui preferiva.» lo invitò Roul con un inusuale tono gentile, porgendogli la mano.

      Conrad l’afferrò e si rimise in piedi, quindi si asciugò le lacrime che bagnavano le sue lentiggini e forzò un’espressione di durezza.

      «Così mi piaci!» si complimentò l’energumeno prima di voltargli le spalle e cominciare a scendere dall’erta.

      «Roul!» chiamò invece Conrad.

      «Che altro c'è?» rispose spazientito l’adulto tra i due.

      «Voglio che mi portiate con voi nella prossima battaglia.»

      Roul rise, era compiaciuto che i suoi mezzi portassero risultati, ma rise di gusto.

      «Moccioso, che cosa vorresti tu?»

      «Volete insegnarmi a vivere come viveva mio padre… bene, portatemi anche a combattere. Mio padre mi insegna la spada da che cammino. So farlo!»

      «Me ne darai una dimostrazione non appena sarà possibile. Per quanto riguarda la guerra… beh, figliolo, prima devi preparare il tuo cuore… devi imparare ad odiare!»

      «Io so già odiare! Mettetemi qui davanti un infedele e vedrete come lo riduco a brandelli.»

      «Non basta, non sei abbastanza forte.»

      «Datemi la vostra ascia e abbatto quest’ulivo in tre colpi.»

      Roul rise ancor più forte e rispose:

      «Tu non sapresti neppure sollevarla la mia ascia! Verrai con me in battaglia, ma non adesso. L’esercito regolare di Costantinopoli è composto da uomini che abbiano compiuto almeno diciotto anni. Noi non siamo certo al loro scarso livello, ma lascia che ti spunti almeno qualche pelo prima di venire.»

      «Il prossimo anno?» chiese innocentemente Conrad.

      «Il prossimo anno… va bene.» accordò Roul per toglierselo davanti.

      «Vendicherò mio padre!»

      Roul questa volta non rispose, piuttosto mise una mano sulla spalla dell’altro e riprese a scendere.

      L’accampamento era un brulicare di gente; prima di allora a Conrad non era sembrato così grande. L’aria era quella della festa e tutto intorno i soldati ridevano e scherzavano, questa volta senza mostrare quella diffidenza che intercorreva tra stirpi diverse. Un tizio a lato della strada, presso le grandi tende, aveva una cassa piena di strani oggetti metallici con punte su più lati. Roul ne prese uno, lo mostrò a Conrad e gli spiegò:

      «Vedi questo arnese, ragazzo? È così che Abd-Allah intendeva sconfiggerci, disseminando il terreno con centinaia di questi cosi. Ma i nostri cavalli sono ferrati con piastre larghe e i pungoli non ci hanno fatto un bel niente. Comincia ad imparare qualcosa sulla guerra.»

      Carri carichi della roba del bottino continuavano ad arrivare scortati dai soldati regolari e confluivano presso il largo spiazzo antistante la tenda del comando, quella di Giorgio Maniace; ovviamente anche i carri e i buoi facevano parte del bottino. Su qualcuno di questi carri vi erano anche uomini e donne presi prigionieri nelle scorrerie: si trattava dei malcapitati civili mori che non erano riusciti a nascondersi. Molte di quelle donne avrebbero fatto parte dei festeggiamenti come iniziale atto di servitù, prima di essere mandate in Terraferma come bottino da recapitare alle famiglie dei nuovi padroni. Le donne avrebbero fatto parte delle corti nei palazzi nobiliari e gli uomini sarebbero diventati servi della gleba, oppure, sia uomini che donne, sarebbero finiti in mano ai mercanti di schiavi giudei, i quali li avrebbero sparsi nei mercati di tutto il Mediterraneo. Ai cristiani era infatti teoricamente proibito commerciare direttamente esseri umani ridotti in schiavitù, ma la verità era che il traffico dei prigionieri rendeva bene a tutti, cristiani e non.

      Una delegazione degli abitanti di Rametta arrivava con carichi di provviste da destinare alle truppe. Rametta, arroccata in posizione formidabile sulle Caronie, era caduta in mani saracene solo nel 965, l’ultima tra tutte le città di Sicilia, ed era considerata il baluardo della cristianità siciliana e dell’eroismo mostrato per la difesa della fede. Giorgio Maniace l’aveva ripresa poco dopo il suo passaggio oltre il Faro, ingaggiando una sanguinosa battaglia in cui i guerrieri normanni avevano pagato il maggior contributo di sangue. Adesso i suoi abitanti sostenevano la riconquista cristiana in ogni modo a loro possibile, inviando uomini e vettovaglie. Lo stesso facevano i cittadini di Rinacium53 - nome della città negli atti ufficiali - a poche miglia ad ovest da lì, essendo il centro abitato di una certa consistenza più vicino all’accampamento.

      Dopo poco tempo si presentò Tancred, il quale portava un otre di vino.

      «Alcuni ne hanno già prosciugati tre!» disse questi, porgendo al suo commilitone l’oggetto a cui si riferiva.

      «To’, fatti un sorso!» invitò Roul, passando il vino a Conrad.

      Il ragazzino afferrò l’otre e ne ingurgitò un boccone, quindi stranì in viso e lo mandò giù a fatica. Gli altri due risero di gusto vedendo la difficoltà del figlio di Rabel a comportarsi da adulto.

      «Mi sa che per le donne c'è ancora tempo!» esclamò Roul, sottolineando il fatto che se Conrad avesse ancora difficoltà col vino, figuriamoci con le donne.

      «Cosa ti aspetti? Ha solo nove anni.» fece notare Tancred.

      «Io a nove anni andai con la mia prima baldracca!» rispose Roul, pur se la cosa sembrava assurda.

      Quella fu l’ultima frase che Conrad ascoltò con lucidità. Al secondo sorso di vino cominciò a vedere annebbiato e a non discernere più le singole voci dall’enorme e nebuloso vociare di migliaia di bocce parlanti in decine di lingue differenti.

      «Pugno Duro, mi sa che il tuo figlioccio l’abbiamo perso...» commentò Geuffroi, un nobile normanno loro amico.

      «È il figlio di frate Rabel, non il mio… Il figlio di Pugno Duro saprebbe bere

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