ANTIAMERICA. T. K. Falco

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ANTIAMERICA - T. K. Falco

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al semaforo quando questo si fece arancione. Strinse i denti prima di accelerare quando la luce diventò rossa.

      Quando procedette verso l’uscita della statale A1A, diretta verso ovest, non v’era più nessuna traccia del suo inseguitore. Il suo iPhone prese a squillare quando Alanna raggiunse la tratta sopraelevata, ma lei lo spense. Non avrebbe parlato con nessuno fino a quando non si sarebbe trovata al sicuro nel suo appartamento. Se i Federali avessero chiesto spiegazioni avrebbe attribuito il suo comportamento ai messaggi ricevuti. Non avrebbe dovuto fingere più di tanto.

      Il traffico scorrevole e la brezza tiepida dell’oceano sulla Baia di Biscayne fecero ben poco per sollevare il morale di Alanna, la quale stava attraversando il centro città diretta verso la Statale 836. Il suo piede restò fermo sull’acceleratore durante tutto il tragitto che la condusse al condominio di mattoni arancioni in cui risiedeva. Pigiò il freno quando vide qualcuno che avanzò in mezzo alla strada. I fari della sua auto illuminarono l’Agente McBride. Dopo averle accostato accanto, Alanna abbassò il finestrino.

      Prima che potesse dire qualsiasi cosa, l’Agente McBride afferrò la portiera ed avvicinò il volto alla ragazza. “Perché diavolo non hai risposto al telefono?”

      “L’ho spento. Non ha visto i messaggi?”

      La donna ruminò la gomma da masticare un paio di volte prima di rispondere. “Sì. La prossima volta in cui il tuo ragazzo ti contatta devi fare un lavoro migliore nel pescare dati”.

      Alanna strinse la presa attorno al bordo del sedile. “Non era Javier”.

      “Era il suo numero di telefono”.

      “Non ha saputo rispondere alla domanda del compleanno”.

      L’Agente McBride tamburellò le dita sulla portiera. “Ti ha dato le prove. La foto”.

      “Un altro hacker stava facendo finta di essere lui”.

      All’inizio Alanna aveva pensato che il numero fosse stato clonato. Era possibile tramite un’applicazione, la stessa che aveva scaricato Alanna sul suo telefono usa e getta. Il numero del mittente poteva essere alterato, in modo da imputarlo a qualsiasi indirizzo email o recapito telefonico. In questo caso però l’hacker era riuscito a mandare e ricevere messaggi attraverso il numero di Javier, ciò significava che l’individuo aveva accesso al telefonino di Javier.

      “E quindi hai disabilitato il GPS a causa di un messaggio inquietante?”

      Alanna strinse lo sguardo quando notò l’espressione orgogliosa sul volto dell’Agente McBride. “Ho disabilitato il GPS perché il mio telefono è stato infettato da un virus”.

      “Reagisci sempre in modo esagerato quando ricevi messaggi strani?”

      “Conosco il genere. Vi ho a che fare giorno e notte”.

      L’Agente McBride distolse lo sguardo e poi scosse il capo. “Okay. Diciamo che hai ragione. Chi altro oltre al tuo ragazzo ti infetterebbe il telefono?”

      “AntiAmerica”.

      “Come fai ad essere così sicura che lui non ne faccia parte? Se così fosse dovresti essere terrorizzata. Sono assassini a sangue freddo. Abbiamo dei testimoni che hanno riconosciuto Paul all’appartamento prima che il suo coinquilino venisse picchiato a morte”.

      “Avete delle prove a sostegno del fatto che Javier faccia parte di AntiAmerica?”

      “Perché lo stai ancora proteggendo?” l’Agente alzò la voce. “Ha minacciato di venirti a cercare. Conosce il tuo numero di telefono. È in possesso della tua foto. E ha detto che è in grado di rivelare altri segreti. A che segreti si riferiva?”

      Esattamente la conversazione che Alanna non desiderava intrattenere con l’Agente. “Come diavolo faccio a saperlo? Non m’importa se non mi crede. È stato qualcun altro a spedire quei messaggi, non Javier. E mi ha infettato il telefono con il malware”.

      “Oppure stai mentendo ancora. Che cosa ti fa pensare che il tuo telefono sia stato infettato?”

      “Chiunque sia così bravo da rubare quella foto è perfettamente in grado di installare un virus su un telefono”.

      “Scommetto che il tuo ragazzo è abbastanza bravo”.

      Alanna alzò gli occhi al cielo. “Dovreste cercare Paul. Non Javier”.

      “Lascia che sia io a preoccuparmi della mia indagine. Loro due hanno lavorato insieme. Stiamo cercando entrambi”.

      “Mi ascolta o no? Paul sta incastrando Javier”.

      “Non sono l’Agente Palmer. Non m’interessano le tue scuse. Hai mentito dal primo momento in cui hai aperto bocca. Il tuo ragazzo è l’unico motivo per il quale non sei in prigione. Fa’ ciò che devi fare e trovalo”.

      “E il telefono?”

      L’Agente McBride allungò la mano destra. “Dammelo. Ci daremo un’occhiata”.

      Alanna le porse il telefono che si trovava sul sedile del passeggero. “Che cosa posso fare senza un telefono?”

      L’Agente Federale scosse il capo. “La tecnologia ha reso inutili voi ragazzi. Va’ a casa. aspetta che ti contattiamo. Fino quando non ti verrà sostituito il telefono non possiamo tracciarti se quel pazzo del tuo ragazzo fa qualcosa”.

      Alanna stava perdendo la pazienza con quella testa vuota. “Sembra che abbiate già deciso che sia colpevole”.

      “Ho chiesto la tua opinione? Preoccupati di te stessa”.

      Alanna serrò le labbra prima di proseguire. “Abbiamo finito?”

      “No. La prossima volta che fai qualcosa di drastico come disattivare il GPS, me lo devi dire prima. Capito? Se ti dovrò dare ancora la caccia non sarò più così gentile”.

      Alanna si limitò a premere il pulsante che sollevò il vetro del finestrino. Inserì la marcia senza preoccuparsi della reazione dell’Agente McBride, ed avanzò verso il parcheggio. Dopo aver messo l’auto in sosta nel primo posto libero, strillò a pieni polmoni. Era stufa di chi la prendeva in giro in ogni occasione. Il peggio era che non si trovava nemmeno nella posizione per ribattere.

       “Promettimi che non finirai come me, inerme—una vittima”.

      Sbatté la nuca contro il poggiatesta. Le parole di suo padre le fecero tornare alla mente i litigi dei suoi genitori. Nei suoi giorni migliori Alanna non era nemmeno metà della manipolatrice che era solitamente. Sua madre l’aveva sottoposta ad ogni tipo di abuso emotivo, a meno che non fosse in linea con i suoi piani di arrampicatrice sociale. L’abuso verbale che doveva sopportare suo padre era molto peggio.

      Il ricordo che riverberava nella sua mente era quello di quando sua madre aveva tentato di metterla contro di lui. Dopo aver litigato per la scarsità economica che aveva reso impossibile trasferirsi in un quartiere più bello, si era rivolta ad Alanna quando suo padre se n’era andato infuriato. “Tuo padre è pazzo. Lo sapevi? Uno psichiatra gli ha diagnosticato il Disturbo Borderline di Personalità. Te ne rendi conto, vero? Che c’è qualcosa che non va in lui?”

      Quando

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