ANTIAMERICA. T. K. Falco
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Aveva ottenuto i dati allo stesso modo in cui aveva intenzione di oltrepassare la guardia di sicurezza posizionata al centro della lobby—tramite l’ingegneria sociale. Hackerando le persone. Una delle sue molteplici capacità che aveva ereditato dal padre. Questi ne faceva poco uso poiché era un hacker etico, quindi le aveva solamente insegnato le nozioni fondamentali. Il resto l’aveva imparato da sola, in fuga da sola a Miami.
Alanna avanzò sullo scintillante pavimento di marmo, e la guardia restò incurvata alla scrivania della reception. Gli diede un’occhiata quando s’avvicinò appena dalla sua parte della scrivania ad arco. Gli occhi di lui erano incollati al video di una protesta anarchica che veniva condivisa in diretta dal telefonino di uno dei partecipanti. Alanna controllò nuovamente il suo iPhone. Nessun nuovo messaggio.
Dopo aver tamburellato le dita sul bancone per qualche secondo, si schiarì la voce in modo udibile. Il ventenne dal taglio di capelli ben curato la fissò da seduto sulla sedia di pelle. Si sistemò il colletto della polo bianca dopo averle dato un’occhiata. Un pubblico passivo.
“Vorrei affittare un monolocale. Posso parlare con qualcuno dell’agenzia immobiliare?”
“Hai un appuntamento?”
“No. Ho visitato altri appartamenti in zona e ho pensato di fare un tentativo anche qui. È un problema?”
Il ragazzo cercò di elaborare una risposta, e lei gli rivolse un sorriso raggiante sbattendo le ciglia. Lui le sorrise di rimando, allungano un foglio ed una penna sul bancone dicendole di firmarlo. Quando lei firmò come “Alanna Blake” aggiungendo l’orario sulla riga preposta, la guardia di sicurezza si alzò dalla poltrona, spostandosi verso l’ascensore.
Dopo aver avvicinato il proprio pass ad una tastiera appeso al muro, il ragazzo premette con forza il pulsante sotto lo stesso. Strinse lo sguardo quando portò l’attenzione su di lei. L’aveva riconosciuta? Alanna l’aveva notato l’ultima volta in cui era andata lì. Il ragazzo sembrava non averla considerata molto quando Javier l’aveva accompagnata di sopra. Quando stavano ancora insieme.
Alanna ricambiò brevemente la sua occhiata prima di rivolgere nuovamente lo sguardo verso gli ascensori. Era meglio che non reagisse in modo esagerato. Molti ragazzi la guardavano. O facevano commenti sul suo aspetto. Aveva perso il conto delle volte in cui l’avevano definita esotica. Un modo educato per dire che non erano in grado di definire la sua etnia. Durante tutte le occasioni in cui era sorta tale domanda nessuno aveva mai capito che Alanna era irlandese e malese senza che lei lo spiegasse.
Il ragazzo inarcò le sopracciglia quando indietreggiò verso la scrivania. “L’agenzia immobiliare è all’ultimo piano. Il ventesimo. Vai all’ufficio accanto alla piscina, lì possono rispondere alle tue domande”.
All’interno dell’ascensore Alanna premette i tasti dodici e tre—il piano di Javier. Il suo piccolo stratagemma aveva funzionato. Livello di difficoltà nella sua personale scala di ingegneria sociale? Un due. Non erano necessarie molte abilità. Solo qualche bugia ed un sorriso seducente. Il sangue di Alanna circolava con vigore. Preferiva di gran lunga manipolare i suoi bersagli via telefono o email, piuttosto che di persona.
Dopo aver dato un’ultima occhiata al suo iPhone, lo ripose nella sua borsa nera di pelle. Era dalla mattina precedente che si affidava alla speranza che Javier avrebbe risposto. Non aveva mai risposto ai messaggi in segreteria che gli aveva lasciato—tantomeno agli sms e le email. Reazioni scatenate da un messaggio trasmesso all’iPhone di lei: “Alanna. Sono in pericolo. Vieni a prendermi”.
A tale segnalazione non aveva seguito nessun dettaglio. La sua immaginazione esagerata aveva ipotizzato diversi scenari terribili. Aveva tenuto Brayden all’oscuro di tutto poiché il messaggio era indirizzato solamente a lei. Senza contare il fatto che non aveva parlato a nessuno di Javier da quando si erano lasciati, poiché la fine della relazione l’aveva fatta diventare poco aperta alla condivisione. Quando si chiusero le porte dell’ascensore avanzò agilmente nella direzione dell’appartamento di lui.
L’edificio era progettato in modo che sembrasse all’avanguardia—non accogliente. Era molto più bello della sua sistemazione a Olympia Heights. Ma di gran lunga più inquietante. Prima di allora Alanna non aveva mai percorso quel corridoio da sola. Era più consapevole del riverbero prodotto dai propri passi sul monotono pavimento di ceramica. La sua ombra si estendeva lungo i muri di colore beige. Poiché alcuni punti luce erano bruciati, i muri sembravano chiudersi attorno a lei.
Quando raggiunse la porta di Javier fece collidere diverse volte le nocche contro il serramento di metallo bianco. Niente. Bussò altre due volte prima di far aderire l’orecchio alla porta. Silenzio. Appoggiò quindi la fronte sulla superficie fredda. Per sei settimane Alanna non aveva avuto idea di cos’avesse fatto per far allontanare Javier. Non sapeva perché dopo due anni di relazione ad un certo punto il ragazzo aveva interrotto ogni tipo di rapporto con lei. Non poteva tirarsi indietro proprio adesso.
Abbassò la maniglia. Chiusa a chiave. Le sue dita rimasero ferme sull’oggetto freddo, ma le sue labbra s’incurvarono in un ghigno. Un importante lato positivo dell’aver scelto di vivere secondo i principi dell’ingegneria sociale era godersi la libertà di avventurarsi ovunque gradito—sia online che nel mondo reale. Le porte restavano chiuse solamente perché glielo si concedeva. Allungò quindi una mano nella tasca posteriore dei suoi jeans, appropriandosi del tensore e del grimaldello. Era giunto il momento di avere delle risposte.
Indossò il cappuccio grigio scuro della felpa, e premette il torso contro la porta. Sbirciò nel corridoio mentre infilò il grimaldello nella serratura. L’unica cosa che la separava dal ritrovarsi sul sedile posteriore di una pattuglia della Polizia di Miami era una sola telefonata al 911. Anni prima aveva fatto una promessa a suo padre. Farsi arrestare l’avrebbe infranta. Non aveva alcuna intenzione di far sì che ciò succedesse.
Si fermò per allontanarsi la frangia rossa tinta dagli occhi. Ogni minima distrazione la stressava. Il battito nel suo petto. Quel formicolio dalla testa ai piedi. I pensieri di Javier che le affollavano la mente. Si ricordò delle parole di suo padre. Chiudi gli occhi. Respira profondamente. Isola ciò che ti circonda. Solleva le palpebre. Sblocca la porta.
Aveva sei anni quando le aveva regalato gli attrezzi da scasso e le aveva insegnato come usarli. Sonda il buco della serratura con il grimaldello fino a quando l'estremità appuntita dello stesso finisce sulla testa di un perno di blocco. Spingi verso l'alto fino a quando il perno non si sposta in posizione. Ripeti l’operazione con i rimanenti perni di blocco. Quindi abbassa la maniglia della porta e pronuncia le parole magiche apriti sesamo. Si infilò gli attrezzi in tasca e si affrettò a entrare.
L’appartamento era completamente buio. Le tende erano tirate. Alanna rimase sulla soglia facendo in modo che i suoi occhi si adattassero all’assenza di luce. Si tolse quindi il cappuccio dalla testa. L’aria condizionata non veniva accesa da un po’. Tastò il muro fino a quando non percepì della plastica. Dopo aver sollevato l’interruttore si precipitò verso la lampada accanto al divano grigio.
La cucina e il soggiorno erano un disastro. C’erano cassetti e armadi aperti. Vestiti, carte e libri erano sparsi sul pavimento di legno. La pervase un brutto presentimento. Javier non avrebbe mai lasciato il suo appartamento in quelle condizioni. Strinse le mani tremanti in pugni. Non aveva idea di quando avesse avuto luogo tale carneficina. Potrebbe essere stata una questione di giorni.