Raji: Libro Due. Charley Brindley

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Raji: Libro Due - Charley Brindley

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subito, signore."

      Continuò a versare il liquido caldo e appiccicoso sul mio piatto, poi addosso a me. Gridai e spinsi via la brocca.

      "Ehi", disse versando il resto dello sciroppo sul mio petto. "Mi hai urtato il braccio". Alzò la voce. "Guarda cosa hai fatto".

      "Non sono stata io!" Gridai, alzandomi. Afferrai un tovagliolo di lino e cercai di pulirmi, ma sentii inzupparsi il vestito fino alla pelle. "Perché mi hai fatto questo?"

      "Testa di legno", disse Liz al senior. "L'hai fatto apposta".

      Haskell Layzard, un juniores, si mise a ridere. "Qual è il problema, Devaki? Hai avuto un piccolo incidente?"

      Il ragazzo con il bicchiere di latte vuoto rise, poi molti altri lo imitarono - ridendo e indicandomi mentre tamponavo il liquido appiccicoso.

      Il senior in servizio sorrideva come un grasso gatto del Cheshire guardando lo sciroppo scorrere lungo il mio vestito, fino al pavimento.

      "Guardate Devaki, la pivellina stordita", disse un altro senior, "sta per piangere".

      "Wuaaaah, Wuaaaah, Wuaaaah. Voglio la mia mamma" disse un altro cadetto, poi si mise a ridere.

      In quel momento, sentii il suono stridulo di un fischietto della polizia e pensai che qualcuno stesse venendo a rimproverare il senior per aver fatto un tale casino. Tutti guardarono verso la porta laterale della sala mensa, dove una grossa donna era in piedi con le braccia incrociate e i piedi divaricati. Indossava l'uniforme scolastica blu e marroncino. Il fischietto lucido le cadde dalle labbra, poi penzolò su una catenina intorno al collo.

      "Cinque minuti!" gridò.

      Il senior con la brocca di sciroppo ormai vuota si precipitò in cucina, mentre tutti gli altri afferrarono i propri vassoi e lasciarono i tavoli. Si allinearono per gettare i loro scarti in un grande bidone dell'immondizia. Dopo aver pulito i piatti, misero i vassoi e le stoviglie sul bancone di una lunga finestra che si apriva nell’area della cucina. Gli addetti rimuovevano i vassoi sporchi con la stessa rapidità con cui si ammucchiavano, mentre altri studenti iniziavano a togliere il cibo restante dalla fila del buffet.

      "Perché questa fretta?" Chiese Clayton guardando i senior uscire dalla porta laterale.

      "Probabilmente vanno in classe", disse Andrew.

      "Liz", dissi. "Questo bel vestito che mi hai prestato, ora è rovinato".

      "Non preoccuparti, andrà via", disse Liz. "Penso che sia meglio andare".

      Prendemmo i nostri vassoi e lasciammo il tavolo per metterci in fila con gli altri juniores, dove lentamente ci facemmo strada fino alla finestra per lasciare i vassoi sul bancone. Sembrava che non appena tutti i senior avessero lasciato la sala mensa, lo sgombero del bancone si fosse fermato, costringendo tutti i ragazzi ad aspettare un posto libero dove ammucchiare i vassoi.

      "Perché quegli studenti sono in cucina?” Continuai a pulirmi il vestito con il tovagliolo, con scarso successo.

      "Forse così guadagnano dei soldi extra", disse Liz.

      "Non sembrano così felici".

      "Forza, dobbiamo andare a cercare la nostra prima classe".

      Liz ed io ci mettemmo in fila con gli studenti che uscivano dalla porta laterale dove c'era la donna grossa. Teneva gli occhi su un orologio da parete alla sua sinistra. Quando arrivammo alla porta, la donna mi diede un foglietto di carta rosa.

      "Grazie". Guardai il pezzo di carta.

      "Nome?" La donna posò una matita gialla sulla sua cartellina.

      "Rajiani Devaki".

      "Cos'è questo?" Liz chiese quando la donna le porse un foglio rosa.

      "Sei in ritardo".

      La donna era di altezza normale, ma le sue gambe erano troppo lunghe e le davano un aspetto strano, con il busto corto e il collo spesso. Se la sua giacca fosse stata nera, sarebbe sembrata un pinguino con le zampe lunghe.

      "Come ti chiami?

      "Un demerito?!" esclamò Liz. "Perché?

      "Ho detto, sei in ritardo. Ora dammi il tuo nome e muoviti prima che te ne arrivi un altro per insubordinazione".

      "Elizabeth Keesler", borbottò Liz.

      "Perché ci danno dei demeriti?" Chiesi a Liz uscendo dalla sala mensa.

      "Dieci secondi dopo le otto". Liz fissò il suo foglio rosa. "Quella vecchia ascia da guerra ci ha dato dei demeriti per essere arrivati con dieci secondi di ritardo all'uscita della sala mensa. Che cosa ridicola".

      "Dobbiamo trovare la nostra prima classe", dissi.

      "Sì, inglese, ma abbiamo bisogno delle nostre tavolette e matite".

      Liz fece strada per tornare all'edificio amministrativo, dove si trovava la nostra stanza del dormitorio.

      "E devo cambiarmi d'abito".

      Quando entrammo nella nostra stanza, vidi tre foglietti di carta rosa sul mio letto.

      L'Hotel Belvedere si ergeva come una lapide di mattoni a pezzi in un cimitero di edifici caduti lungo il torbido fiume di Richmond, in Virginia.

      In un terreno vuoto accanto all'hotel a quattro piani, si trovava una raccolta di reti di letti da riciclare, ruote di ferro di trattori, stufe a legna e un vasto assortimento di rottami di civiltà arrugginite e in decomposizione. Dall'altra parte dell'albergo c'era una fabbrica che un tempo produceva blocchi di carrucole e sartiame per la marina americana. La sbiadita scritta dipinta di bianco, ‘Richmond Block Mill’, era ancora visibile sulla parete rivestita in legno dell'edificio in degrado.

      Un uomo con un abito blu lucido e un cappello di feltro nero stava salendo i gradini di cemento crepato dell'albergo, esaminando il quartiere con soddisfazione. Salì altri due scalini e si voltò a guardare oltre il James River verso i palazzi costruiti sul promontorio boschivo, come tanti diamanti scintillanti sulla collana di una grassa e ricca vedova. Socchiuse gli occhi per osservare meglio una casa in particolare che si stagliava come la pietra principale di una serie di gioielli luccicanti.

      Il giovane di colore si tolse il cappello e lo studiò con disprezzo, forse pensando al comodo turbante di cui si era appena liberato. Salì gli ultimi gradini con il cappello in mano ed entrò nella muschiosa hall dell'albergo.

      Al bancone esitò un attimo prima di firmare il registro, poi scrisse un nome con una calligrafia attenta e precisa.

      William Fortescue, l'impiegato, che era anche custode, fattorino e proprietario dell'Hotel Belvedere, lesse il nome sul registro, poi diede un'occhiata al giovane.

      L'uomo sorrise.

      "Dov'è la sua valigia, signor Albert Manchester?"

      Il signor Manchester fissò a lungo il receptionist, come se cercasse di capire qualcosa.

      "I

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