Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo

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Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti - Italo  Svevo

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La sorpresa di sentirsi tanto lieto e tanto tranquillo gl’impedì di dolersi di non essere giunto a migliore risultato con Lucia. Ella gli aveva gettato uno sguardo che significava tutt’altro che rinunzia. Era pericoloso parlare con troppo calore a quella ragazza.

      Ora sapeva perché aveva rinunziato ad Annetta. Non aveva nulla da rimproverarsi perché aveva agito secondo la propria natura ch’egli non ancora aveva conosciuto. Era bene sapere finalmente i moventi direttivi di quell’organismo che ogni giorno gli aveva apportato delle sorprese. Conoscendoli egli ora poteva risparmiarsi altre deviazioni da quella via che la natura gli aveva imposta: una via aggradevole, facile e senza meta.

      Volle essere più rassegnato nelle posizioni false e dolorose in cui gli toccò di trovarsi ancora di spesso. Non che riconoscesse di venir giustamente punito, ma si confortava col pensiero che ben presto lo si sarebbe dimenticato e che da parte sua più mai non avrebbe compromessa la propria pace.

      Prarchi desiderò ch’egli vedesse Fumigi e lo pregò di andare con lui una mattina al caffè della Stazione ove il povero ammalato passava il suo tempo a copiare giornali. Gli fece vedere uno scritto di Fumigi, documento prezioso ch’egli portava con sé. Era un margine staccato da qualche giornale, riempito da segni con matita fatti con forza fino a stracciare la carta. Alcune lettere erano in stampa e capovolte, altre fatte in corsivo, ma la loro forma era soltanto approssimativamente giusta, mentre le stampate erano copiate con esattezza.

      Bisognò risolversi di andare a vedere l’ammalato. Prarchi ci teneva come se la malattia fosse stata opera sua e Fumigi una bestia educata da lui; dimostrando di apportarvi poco interesse Alfonso temeva di offenderlo.

      Quando una mattina si trovò avviato con Prarchi verso il caffè, costui gli comunicò che probabilmente ci avrebbero trovato anche Macario, il quale ogni giorno faceva una visita a suo cugino. Anche quell’incontro sembrava ad Alfonso un nuovo passo verso la quiete; fra poco avrebbe saputo che cosa dovesse attendersi da quella parte. Disaggradevole era non trovarsi preparato a quest’incontro, e mentre Prarchi continuava a parlargli di Fumigi, egli andava ragionando sul contegno da tenere con Macario. Gli sarebbe stato facile dimostrargli la solita grande simpatia, starlo a udire con tutt’attenzione quando parlava, infine congratularsi con lui per la promissione con Annetta, a quanto ne diceva Prarchi, da pochi giorni ufficiale. Egli non odiava Macario, e questa finzione gli sembrò non dovesse costargli grande sforzo.

      Era quello il contegno suggerito dalle circostanze. Probabilmente Macario non sapeva nulla e il suo contegno nulla doveva apprendergli, ma anche se Annetta, come era suo dovere, tutto gli avesse raccontato, Macario si sarebbe guardato dal lasciarlo capire, e per quanto avesse avuto a soffrirne avrebbe cercato d’imitare il contegno di Alfonso di cui gli sarebbe stato grato. Ma nella breve passeggiata Alfonso trovò il tempo di sognare che Macario, vedendolo, trascinato dall’odio, lo affrontasse pubblicamente come nemico. Era ammissibile! Poteva aver perdonato ad Annetta, per soddisfare al suo amore e al suo interesse, ma soffrire e non saper vincersi alla vista di colui ch’egli riteneva essere il principale colpevole.

      Intanto Prarchi sparlava dei Maller. Davano dei denari a Fumigi, ma questo era ben poco. Lo avevano lasciato viaggiare in compagnia di un infermiere mentre sarebbe stato loro dovere di farlo accompagnare da qualcuno di famiglia.

      — Da quell’imbecille di Federico per esempio.

      Il fratello di Annetta era ritornato in città da due mesi e non faceva altro che passeggiare per le vie vestito all’ultima moda di Parigi con una giacca larga e corta e i calzoni stretti che svelavano le forme stecchite delle sue gambe. Alfonso non lo aveva ancora visto.

      Attraversarono la prima stanza del caffè, un bel locale ma con le tappezzerie ordinarie in colori vivaci non ancora abbrunati dal tempo. Per una piccola porta mascherata da una tenda verde entrarono nell’altra stanza oblunga che bastava al bigliardo e al posto per giuocarvi.

      Non v’era che Fumigi seduto accanto ad una finestra e leggendo un giornale con tale attenzione che non s’accorse dei nuovi venuti. Soltanto allorché Prarchi gli toccò la spalla egli si volse senza fretta e esaminò a lungo prima Prarchi e poi Alfonso con un sorriso da ebete soltanto perché continuo e senza causa, mentre del resto era il sorriso solito di Fumigi alquanto inerte e pallido. Il volto era più scarno, ma la figurina, almeno vista seduta, sembrava non aver perduto nulla della sua dirittezza. Masticava e Alfonso credette che avesse qualche cosa in bocca; li guardava e parve volesse parlare, ma poi dimenticò la loro presenza e volle rimettersi a leggere con premura convulsa.

      — Signor Fumigi! — disse Prarchi ad alta voce e scotendolo, — non riconosce questo signore?

      Fumigi guardò a lungo Alfonso e dava ad ogni tratto un piccolo grido di sorpresa credendo di riconoscerlo; poi si ricredeva. Si risolse:

      — Come sta?

      Era evidente che rinunziava a riconoscerlo; aveva perduto la memoria e non la cortesia.

      — Bene, grazie, e lei? — chiese Alfonso commosso.

      — Bene... bene.

      Poi masticò delle parole che non si comprendevano accennando al giornale; voleva raccontare quello che aveva letto. Quantunque i due giovani non facessero motto, Fumigi comprese che non lo si capiva. Ripeté gridando una frase, poi l’abbreviò per poter dare maggior cura alla pronunzia. Infine rinunziò al suo pensiero e si accontentò di dire un nome scandendone le sillabe. Era il nome di un uomo politico che mesi prima aveva fatto parlare molto di sé. Ripiombò nella sua lettura dopo di aver esitato un istante e guardato i suoi interlocutori con quello sguardo di domanda che ha il cane per il padrone che gli proibisca di toccare un pezzo di carne.

      — Ed è sempre così, mai violento? — chiese Alfonso a bassa voce.

      — Può parlare ad alta voce, — gli rispose Prarchi, e lo fece avvicinare.

      Leggendo, Fumigi declamava fermandosi con compiacenza a certe parole dal suono più forte. Poi parve adirarsi, gridò, masticando le sillabe e ripetendole.

      Alfonso capitò fra la luce e il giornale e l’ammalato alzò il capo dopo un istante di sorpresa al vedere quell’ombra proiettarsi sulla carta; quando l’ombra scomparve si acquietò di nuovo al suo lavoro.

      Era entrato qualcuno nella stanza e prima di udirne la voce Alfonso sentì ch’era Macario. Nell’imbarazzo volle ritardare tale incontro e si mise a guardare Fumigi con attenzione intensa fingendo di non essersi accorto di Macario neppure quando lo udì salutare Prarchi.

      Si avvicinavano a Fumigi e quindi a lui.

      — Come va? — chiese Macario battendo la spalla all’ebete.

      Era tanto disinvolto che realmente non doveva aver veduto Alfonso. Quando lo vide non si commosse di più, rimase impassibile; gli fece un saluto indifferente come se non si fossero divisi che da pochi giorni soltanto. Alfonso aveva fatto bene a non dire a Prarchi che dopo il suo ritorno egli vedeva Macario per la prima volta, perché Prarchi altrimenti si sarebbe sorpreso del contegno di Macario.

      — Le mie congratulazioni. — mormorò Alfonso porgendogli la mano che da Macario venne stretta con un inchino cortese ma di certo non amichevole.

      Poi non si dissero altro.

      Prarchi aveva dato a Fumigi della carta e una matita, e, quantunque non l’avesse chiesta, Fumigi non appena ricevutala si mise a scrivere con l’accuratezza con cui si dipinge.

      — Vieni? — chiese Macario a Prarchi. — Avrei da dirti qualche cosa.

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