Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo

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Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti - Italo  Svevo

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con sufficiente chiarezza aveva espresso il desiderio di restare a quattr’occhi con lui.

      — Ho da andare a fare una visita qui accanto, — e uscì dopo aver stretto la mano a Prarchi ma non a Macario quantunque gli parve che costui gliel’avesse tesa con movimento macchinale.

      Era irritato. Dopo averlo subito, il contegno di Macario gli parve avviliente e ingiusto perché ad ogni modo avrebbe dovuto essere differente; più freddo ancora se Annetta tutto gli avesse raccontato, altrimenti amichevole come di solito. Egli s’era atteso a collere violente oppure a indifferenza glaciale, ma mai a disprezzo. Macario lo trattava circa circa come Annetta da principio, quale il piccolo impiegatuccio della banca Maller e C. e Alfonso s’era preparato per rassegnarsi a persecuzioni ma non a disprezzi. Poteva rassegnarsi a venir considerato quale un nemico pericoloso, quale un individuo malvagio e temibile, ma non quale una persona che si può ignorare.

      Dovette ben presto ridere di sé vedendo evidente il contrasto fra’ suoi propositi e il suo modo di sentire. Gli premeva dunque ancora tanto dell’amicizia di Macario da addolorarsi a quel modo per averla perduta? Avrebbe dovuto gioire di quella freddezza calma. Era da supporsi che Annetta avesse raccontato al suo promesso sposo una parte dell’avvenuto, precisamente tanto da poter pigliarne pretesto ad allontanare Alfonso per sempre da casa sua, e la freddezza di Macario non era altro che l’affettazione signorile verso inferiori, accresciuta dall’antipatia portata ragionevolmente a persona che, quantunque con esito negativo, aveva tentato di conquistare l’amore di Annetta e gli aveva forse fatto passare qualche brutto quarto d’ora di gelosia. Anche per altra ragione egli avrebbe dovuto gioire di essere stato maltrattato da Macario. Avrebbe dovuto avere degli scrupoli di coscienza per la parte che Annetta stava per fare col suo aiuto a Macario e diminuiva la sua colpa il fatto che non era più un amico ma un nemico che si tradiva.

      Ad onta di tutti i ragionamenti il suo sentimento rimase il medesimo. Egli non sapeva essere grato a Macario che tanto presto, senza motivo, così doveva supporre, gli toglieva la sua amicizia.

      Quel giorno si sentì meno felice del solito alla banca; dovette lottare per rimanere quieto al suo lavoro che gli ripugnava. Il desiderio di poter vendicarsi di Macario gli faceva fare dei sogni strani. Immaginava lo stato in cui si sarebbe trovato se l’idillio incominciato con Annetta avesse avuto altro esito. Certo in quel caso Macario avrebbe dovuto trattarlo da pari a pari, e per quell’istante gli parve una felicità inapprezzabile.

      R

      Fu una serata agitatissima. Arrivato a casa, Alfonso non si accorse subito che ai Lanucci doveva essere accaduto qualche cosa di grave; era troppo preoccupato per proprio conto. Nel tinello non c’erano né Lucia, né Gustavo e la signora Lanucci sedeva perduta in riflessioni e gli occhi rossi dal pianto, distante dal tavolo, su una sedia che non si capiva perché fosse stata messa a quel posto. Unico al suo posto solito era il vecchio Lanucci con le gambe fasciate da coperte.

      Dovette loro rivolgere la sua attenzione, visto che non parlavano e non rispondevano alle sue domande, e impazientito chiese:

      — Si potrebbe sapere che cosa vi è accaduto?

      Gli costava un grande sforzo distrarsi dai propri pensieri.

      Parve che la Lanucci non volesse rispondere, ma quando vi si risolse in poche parole disse molto:

      — Oh! piccolezze! Finora si soffriva in casa nostra soltanto di miseria, ora vi si aggiunge anche il disonore. — Il vecchio protestò imponendole di tacere, ma ella gridò ch’era cosa che prima o poi tutti avrebbero saputo e che tanto meno si poteva pensare di celarlo ad Alfonso. Crudamente aggiunse: — Divento nonna!

      Alfonso finse di venir grandemente sorpreso da tale notizia che esplicitamente non gli era stata data da nessuno.

      Qualche sospetto ne aveva avuto per le parole dettegli da Gustavo la sera del suo arrivo, ma costui le aveva smentite ed egli non s’era fermato a esaminare se Gustavo fosse più degno di fiducia dicendo quelle parole o smentendole.

      Gli venne raccontata l’avventura della giornata, quella che aveva fatto che Lucia si tradisse. Sembrava che appena quel giorno ella si fosse accertata del suo stato perché nella sua disperazione era corsa da Gralli a raccontarglielo e a chiedergli aiuto. Gralli l’aveva respinta dicendole ch’egli non poteva addossarsi quel peso e che gli doleva ma che doveva lasciarla a sé stessa. Le offriva un soccorso mensile a patto però che gli si concedesse il libero accesso in casa Lanucci. La disgraziata aveva perduto la testa ed era corsa dalla madre a raccontarle tutto.

      — Che fosse morta! Il dolore sarebbe stato meno grande, glielo assicuro.

      La Lanucci esponendo il fatto con vivacità s’era sfogata e aveva acquistato la calma sufficiente per tentare di salvare a forza di frasi l’onore della famiglia compromesso per quel fatto agli occhi di Alfonso.

      Lucia dalla sua stanza aveva udito queste ultime parole ch’erano state gridate e s’era messa a piangere dirottamente invocando sua madre, chiedendole perdono.

      — È troppo tardi per piangere, ci dovevi pensare prima, — gridò la Lanucci senza compassione.

      La Lucia, poveretta, non poteva distinguere come Alfonso quello che c’era di simulato nelle parole della madre e pianse più fortemente ancora, senza più parlare; forse riteneva essa stessa di meritare d’essere ammazzata. Alfonso non si commoveva che per essa; i gridi della Lanucci lo stordivano e lo seccavano.

      Il vecchio Lanucci imitò la moglie:

      — Se fossi sano, — disse, — andrei dal seduttore, lo piglierei per il collo e lo costringerei a restituire l’onore che ha rubato a mia figlia. Ma così, in questo stato, dovrei farmi portare da lui su una sedia.

      — Gustavo è andato da Gralli! — disse la Lanucci con fierezza, e come Alfonso poco commosso e niente irritato disse che avrebbe dovuto impedirglielo acciocché dalla prima sventura non derivasse loro un’altra, ella gridò che non si poteva obbligarli a sorbirsi in pace l’offesa ch’era stata loro fatta e che se Gustavo ammazzava il traditore era ben ammazzato; anche condannato a vent’anni di galera non avrebbe dovuto pentirsi della sua azione.

      Invece poco dopo venne Gustavo sano e salvo e abbastanza calmo. Raccontò che da due ore correva in cerca di Gralli senz’averlo potuto trovare; gli era riuscito però di sapere dove lo avrebbe trovato di là a mezz’ora; in un’osteria non troppo lontana.

      — Ci andrò! — e seppe mettere un tono di minaccia in queste parole. Chiese poscia alla madre dei particolari sul fatto di quel giorno. Prima, nella furia di correre via in cerca di Gralli, non si capiva come, egli aveva inteso che Gralli aveva maltrattata la sorella allorché ella s’era portata da lui a chiedergli che la sposasse. Si sentì, disse, alquanto alleggerito all’udire che ciò non era vero, e prima di uscire chiese da mangiare. Rivolto ad Alfonso chiese: — Che te ne pare di quanto ci avviene?

      Alfonso gli raccomandò di trattare Gralli con le buone; non era escluso che tutto ancora terminasse bene e sarebbe stato disaggradevole aver offeso un futuro membro della famiglia.

      Allora appena Gustavo si adirò e, parve, con Alfonso; tutto rosso in volto rispose:

      — Con le buone lo tratterò. Gli dirò: Vuoi sposare mia sorella? Se risponderà di sì lo bacerò e lo chiamerò fratello, se di no, lo piglierò pel collo e che si raccomandi l’anima perché gliene lascerò appena appena il tempo.

      La

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