L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 15
«Mettono fuori dalla finestra una bandiera... due... un'altra ancora; la prima parmi imperiale... la seconda del papa... la terza! no... sì... oh! diavolo! come c'entra cotesta?... È il cavallo sfrenato... la insegna d'Arezzo.»
«Ah! Machiavello, quanto ben dicesti, a cotesto cavallo doversi imporre un duro morso e di ferro[42].»
«Ed ora che cosa significa quella turba? Sembrano gente del contado... in abito da festa... Sì, sì, è la festa dei morti.»
«O Lupo mio, in cotesta casa per certo si raccolsero i capi dell'esercito; — e mentre noi qui ci travagliamo per la libertà della terra, la gente del contado, sempre nemica alla patria nostra, va a prestare l'obbedienza allo straniero; — ed ecco come sempre, di voglie divisi, siamo fatti facile preda dei barbari. Stolti! Andate e imparerete di che sappia la signoria di Carlo! Quando mai le colombe si raccomandarono allo sparviere? Almeno Dio, allorchè vi rapiva il cuore per difendere la libertà vostra, vi avesse tolte le ginocchia con le quali vi avvilite; — o se con l'anima di Bruto ve ne fosse pure stata compartita la forma, ora io qui non dovrei vergognarmi di nascere da una stirpe comune.»
«Possa l'anima di Lupo non andare in luogo di salute, s'io non mando a costoro la diceria bella e fatta.»
In questo modo favellando, il bombardiere gira a quella volta la colubrina. I soldati gli si dispongono intorno, sicuri di ammirare un qualche tiro stupendo.
Lupo imperturbato, aggiusta il bronzo, prende la corda infocata e di propria mano dà fuoco.
Tra una rovina d'intonaco infranto precipita rotto in ischegge lo stipite della finestra; vanno in fascio le imposte, la bandiera imperiale tentenna e cade nella polvere.
Subito dopo furono viste sboccare furiosamente genti di varia maniera, e confuse, spaventate sbandarsi per la campagna. Invano, fermo sul limitare, un cavaliere, sprezzando il pericolo, con la voce e co' cenni le richiama. La paura chiude loro gli orecchi; quei codardi non hanno vita che nelle gambe.
Il cavaliere era Filiberto di Chalons, principe di Grange, capitano dell'esercito.
«Bel colpo! Viva Lupo! che tiro, eh? Non ve lo aveva detto ch'egli era un valentuomo?» si ascoltava suonare in giro a Lupo; e il capitano Gualterotto Strozzi lo baciava in volto, Mariotto Segni gli stringeva la destra, Francesco del Monte la sinistra; ed egli esultava, rideva, non capiva in sè dal contento, e:
«Ve ne farò vedere degli altri, se Dio mi dà vita», ripeteva baldanzoso.
«E sì che io avrei giurato ve ne fosse rimasto uno», mormora il Ferruccio tra sè, e fruga e rifruga dentro un borsone di velluto cremisino ricamato in oro, il quale, secondo il costume dei tempi, teneva appeso alla cintura: — mentre così favella, si accosta a Giovannantonio.
«O che pensate di fare, capitano? gli domandava quell'ultimo.
«Pensava, e certo non vorrai usarmi la scortesia di rifiutarlo, pensava donarti un bello scudo d'oro dal sole, che mi pareva esser rimasto qua dentro.»
La faccia di Lupo diventa vermiglia, biechi torce gli sguardi, si morde per ira le labbra: il Ferruccio invece pacato continua a cercare lo scudo, ma non lo rinvenendo comincia ad arrossire egli e a turbarsi. Lupo, a mano a mano che vede il Ferruccio confuso, compone il suo sdegno; finalmente si risovenne Ferruccio averlo la sera innanzi donato a certo povero soldato il quale, infermo pei travagli sofferti, se ne tornava, ottenuta licenza, a Firenze; onde si pose a guardare fisso Lupo, Lupo, lui, e proruppero entrambi in uno scoppio di riso.
«Valgami il buon volere, Lupo: per questa volta almeno bisognerà che tu te ne chiami contento.»
«E sempre il buon volere basterà a Lupo», rispose gravemente il bombardiere, «e ringrazio la fortuna di avervi impedito cosa nè a voi nè a me convenevole; perchè, credete, capitano, quantunque io sia povero e rozzo e di poca levatura, pure sotto questa grossa corazza batte un Cuore che ama la patria davvero e conosce, capitano, essere ai buoni figliuoli di lei anche troppa mercede potere operare un fatto che le ridondi in vantaggio e in onore.»
«Senti, Lupo: sull'anima mia, io non pensava pagarti la tua virtù; no, Lupo. Se avessi qui avuto due spade, te ne avrei offerta una, intendeva darti una memoria la quale valesse a rammentarti sovente questo nostro incontro, e, morto me, tu potessi, mostrandola ai tuoi compagni, raccontare: Il capitano Ferruccio me la donò in Arezzo quando con un colpo di colubrina gettai nella polvere la bandiera tedesca.»
«E chi ve lo ha detto che morirete prima di me? Avreste per avventura imparato negromanzia? Io non spero sopravvivere a voi nè lo desidero, capitano..., e neanco lo voglio. Oh! io ho camminato più passi di voi sulla strada della fossa.»
«Me lo ha detto il cuore: ad ogni modo, prendi questa borsa vuota e conservala per amor mio; onde tu l'abbi cara, sappi ch'io vi riponeva le paghe delle Bande Nere quando, in compagnia di messer Giovambattista Soderini commessario della Repubblica, seguitai il campo di monsignor di Lautrec all'impresa di Napoli[43].
«Ma che ho da farmi io di cotesto borsone? Sono forse diventato il doge di Venezia o il soldano di Babilonia? Se io non l'empio con le ghiaje del Mugnone, già non pensate voi ch'io possa empirlo mai d'altra roba in questo mondo!»
«E perchè no? Co' tuoi peccati...»
«Tradimento! Tradimento!»
Questa voce terribile interruppe all'improvviso quei loro discorsi, e voltandosi, videro comparire Iacobo Altoviti, capitano della cittadella, il quale, ansante, disfatto, come percosso da subita pazzia, non poteva proferire altra parola.
«Tradimento! Dove? — Come? — Di chi? — Tu' se' il traditore!» grida inferocito il Ferruccio; e senza altro aspettare, gettagli addosso le mani poderose, forte lo stringe nei fianchi e, digrignando i denti, lo porta levato da terra a precipitarlo dai muri della fortezza.
«Per Dio! Ferruccio, non mi ravvisate voi? sono Iacopo... Io vi dico che la patria è tradita; il commessario ha dato volta; fugge quel codardo... maledizione sopra di lui...»
«Qual commessario? — Chi fugge» e lo lasciava il Ferruccio, ma gli occhi stravolgeva pur sempre, nè aveva membro che gli stesse fermo, e fremeva e ruggiva in modo spaventevole.
«Non io, Ferruccio... e lo vedrete. — Mentre altri abbandona il suo posto io corro al mio.»
«Chi dunque fugge?»
«Non avete guardato la città?»
«Messere Iacopo, Arezzo mi stà alle spalle, il nemico di faccia...»
Allora l'Altoviti, afferrato pel braccio il Ferruccio, seco lo mena alla parte opposta della fortezza, e, gli additando la città, diceva:
«Vedete!»
«Cristo!»
Egli vede le milizie fiorentine in rotta; — i fanti, abbandonate le insegne, sbandarsi dove meglio loro talenta; — per correre più spediti gittare alcuni l'armatura per terra; — invano trattenerli i capitani; inutili le preghiere e le minacce: avviluppati nelle spire della moltitudine, abbandonare anch'essi loro malgrado quella terra che avevano disposto difendere finchè l'anima gli bastasse: e sì che molti furono allevati alla scuola del signor Giovanni delle Bande Nere, la morte da vicino animosi contemplarono, pericoli presentissimi affrontarono e vinsero. Qual fiero caso adesso sovrasta? Chi dunque li caccia?