L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

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L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi

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al pontefice[84]), e l'Anconitano. Appena ebbe posto piede nel tempio, con terribile fragore precipitò il ponte per la lunghezza di forse venti passi: la gente ammucchiata forte percosse sul terreno; alcuni ne riportarono sconce ferite, altri col sangue vi persero la vita.

       Spesso mi avvenne considerare come in siffatte solennità che i principi danno ai popoli vi si mescoli dentro un mal genio e la faccia pagare a questi ultimi a prezzo di sangue, sia per ammonirli che non dovevano ridere, sia piuttosto, come credo, che la gioia la quale muove dai re non possa comparire vermiglia, se non si tinga col rosso del sangue.

      I cardinali tenendo in mezzo Carlo, come fiera in guinzaglio, lo menarono a piè dei gradini della cattedra del pontefice e quivi stettero. Clemente gli abbassò uno sguardo dall'alto, e non potè reprimere un moto dei labbri in contemplando l'augusto Cesare in veste da canonico; il quale sguardo e il quale moto di labbri avendo troppo bene compreso Carlo V, sentì ribollirsi dentro l'orgoglio del sangue spagnuolo, gli occhi mandarono faville, e una idea gli traversò trucissima l'intelletto, di afferrare cioè per le gambe il pontefice, rovesciarlo dal trono, dalle chiome strappargli il triregno, ed imponendolo sopra il suo capo gridare: — Io sono il re dei re!

      Ma sollevando di nuovo la faccia vide, o gli parve vedere, il sembiante del papa pieno così della divinità da lui rappresentata che sentiva sconfortarsi dentro dal rimorso quasi avesse meditato il parricidio.

      Di subito lo trassero nella cappella dedicata a San Gregorio, dove lo avvolsero nell'amitto, nel camice e nella dalmatica, e sopra gli posero il manto imperiale di ricami e di gemme gravissimo; sicchè non avrebbe potuto di leggeri sostenerlo, se il conte di Nassau da tergo, i vescovi di Bari, del Palatinato, di Brescia e di Caria nel regno di Leone dai lati, non ne avessero sorretto i lembi: in questo modo abbigliato, lo fecero andare fino a mezzo del tempio, dov'è la ruota di porfido; quivi tre volte benedetto si accostò all'altare maggiore, costrutto ad immagine dell'altare di San Pietro in Roma. Genuflesso sopra aureo pulvinare, colà rimase finchè non ebbero cantate le litanie dei Santi; allora due nuovi cardinali, cioè Campeggio, primo dei preti, e Cibo, primo dei diaconi, lo condussero in un'altra cappella consacrata a San Maurizio.

      Qui dal cardinale Alessandro Farnese, primo dei cardinali vescovi e decano del sacro collegio, furono rinnovate le unzioni per le coste, per le spalle e pel braccio destro coll'olio del crisma, e il vescovo di Caria lo asciugò. La quale cerimonia essendo condotta a fine, i cardinali Salviati e Ridolfi lo tolsero di nuovo e lo menarono a fare riverenza al pontefice. Questi allora scendendo dalla cattedra sublime, si accostò agli altari e diede cominciamento alla messa solenne: poichè egli ebbe ad alta voce intuonato per Cesare l'introito, Carlo si fece presso agli altari, dove abbracciò e baciò Clemente su la guancia e sul petto. Gli tennero dietro i principi commessi all'ufficio di portare le insegne dell'impero, e con varie cerimonie le depositarono sopra la santa mensa. Ciò eseguito, Cesare e i principi tornano ai seggi loro apparecchiati nel coro; imperciocchè il trono imperiale, in cui doveva egli sedersi dopo la incoronazione, sorgeva a destra della cattedra pontificia in cornu epistolæ dell'altare maggiore. Avanzata che fu la messa fino alla lettura della epistola canonica, la quale Giovanni Alberini suddiacono apostolico cantò in latino, e Braccio Martelli camerario di Sua Santità in greco, i cardinali Ridolfi e Salviati addussero per la terza volta Carlo al cospetto del papa. Qui si rinnovarono, presso a poco le medesime solennità di sopra descritte. Il vescovo di Pistoia prese dall'altare la spada e la porse al cardinale diacono; questi al pontefice: il quale, trattala fuori del fodero, la benedisse prima e poi la depose nelle mani di Cesare, trasferendogli i diritti della guerra con queste parole da lui latinamente proferite: «Prendi la spada santa, dono di Dio, adoprala a disperdere i nemici del popolo del Dio d'Israele!»

      Se un membro del popolo miserabile d'Israele, — un Ebreo — si fosse adesso presentato all'imperatore e gli avesse detto: — Difendimi, perchè questo pontefice mi ha ridotto in condizione peggiore dei cani, e tra me e lui non corre altro vincolo tranne quello del porre ch'ei fa una volta l'anno il piede sul collo[85] ai miei rabbini, certo il figlio del Dio d'Israele sarebbe stato strizzato così che nissuno poi avrebbe potuto rinvenirne i frammenti. Il Dio d'Israele non è più Dio di Palestina, — neppure il Dio degli apostoli; il Dio d'Israele ha ripiegato le tende dalle antiche dimore e le piantò in Roma presso il palazzo del Vaticano; egli è il Dio dei preti. — I Fiorentini, da cui nacque Michelangiolo, che dopo tanto spazio di tempo sentì ed effigiò quel terribile legislatore degli Ebrei — Moisè, — i Fiorentini, che per pubblico partito si elessero Cristo principe della Repubblica, erano i nemici del popolo d'Israele, gli avversarii, i ribelli a Dio, i maledetti da lui, per l'esterminio dei quali il padre dei fedeli dava la spada santa all'imperatore. O sacerdoti, quanto fareste ridere, se non aveste fatto piangere cotanto!

      E Cesare nudò il ferro e tre volte ne percosse l'aria ed altrettante ne declinò la punta verso il suolo, — forse per dimostrare ch'egli intendeva sulla terra dominare, e nel cielo. Strinse lo scettro, pegno di fede e di virtù che non aveva, colla mano destra; nella manca il papa gli pose il mondo in simbolo della facoltà ch'e' gli dava per governarlo.

      Queste consegne di tutto o parte del mondo operate dai sommi pontefici, siccome efficacissime nel diritto, non furono sempre, o quasi mai, praticabili in fatto. Chi può contenderne loro la facoltà? Dio esiste signore del creato, il papa vive in Roma vicario di Dio nel mondo; dunque il papa può disporre di quanto in esso si comprende. Questo sillogismo ha la sua promessa, la sua minore, la sua conseguenza; a me pare tutto e in ogni sua parte perfetto. La luna, il sole, le stelle, le comete, poichè non sono contenute in questa terra, rimangono escluse, quantunque non sia chiarito bene: le altre cose tutte senza eccezione di sorta stanno sottoposte al papa; tanto il Lappone come l'Ascolano, l'abitante del Kamciatka come quello delle paludi pontine: — ma questi non udirono mai favellare di lui, nessuno annunziava loro il regno dei cieli, non conoscono il Dio del papa di Roma. — E che importa se non lo conoscono? Peggio per loro; andranno dannati nell'inferno, ma non per questo rimarranno meno fermi i diritti della Santa Sede Romana. Se così non fosse, si chiamerebbe ella cattolica, che significa universale? Dove la cosa non istesse per l'appunto come io la diceva, avrebbe potuto Martino V concedere al re di Portogallo tutte le terre che loro riuscisse scoprire dal capo Baiador alle Indie? Ed Alessandro VI, il papa di santa memoria, avrebbe potuto con la famosa sua bolla tirare la linea da un polo all'altro e largire ogni paese scoperto dalla parte di occidente agli Spagnuoli, l'altro da oriente ai Portoghesi? Uno scrittore eretico osserva come non occorresse alla mente del santo pontefice il pensiero, che, ciascuno seguitando dal suo lato la continuazione delle scoperte, potevano un giorno ritrovarsi a contatto e rinnovare agli antipodi la questione di proprietà[86]. L'eretico ha torto, perchè non sa essere li sommi pontefici, siccome ispirati dallo Spirito Santo, infallibili.

      Finalmente il santo padre gli cinse le chiome della corona imperiale. Carlo allora, giusta le formalità, si prostrava curvandosi al bacio dei piedi santi. Era però convenuto che il papa non gli lascerebbe compire l'atto, e rilevatolo a mezzo, lo avrebbe stretto tra le braccia e baciato nel volto. Ma come resistere alla compiacenza di vedersi innanzi prostrato un signore di tante provincie? Non tutti i giorni si trovano imperatori da rinnovare cotesto ossequio; e poi, Clemente lo aveva già detto, si sarebbe di tanto rialzato il sacerdozio quanto abbassato l'impero. Si dimenticava pertanto del convenuto: il coronato stette lunga pezza nell'attitudine dello schiavo: in quel punto la corona gli pesò sul capo non altrimenti che se fosse stata una montagna; allora gli parve che il mondo, poc'anzi da lui sorretto nella mano, adesso di tutto il suo peso gli gravitasse sul corpo: — come il serpente della Scrittura, egli si nudrì di cenere e la sentì amara, — senza misura amara; sicchè il suo cervello, compresso dal pentimento, dalla umiliazione e dalla rabbia, stillò una goccia di sudore, la quale, come quella dell'anima dannata dello scolare apparsa al suo maestro di filosofia, secondo che racconta frate Iacopo Passavanti nello Specchio della vera penitenza, avrebbe avuto virtù di traforare da una parte all'altra con insanabile piaga i piedi del pontefice, se per avventura vi fosse sopra caduta[87].

      Ciò che riferiscono intorno alla proprietà letifera dello sguardo di alcuni animali e' vuolsi tenere per favola; imperciocchè il basilisco non abbia guardato mai in maniera

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