L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

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L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi

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Sorga tra loro arbitra la giustizia della spada...»

       «Avanti.»

      «Tutti i capitani e soldati tanto a piè quanto a cavallo delle terre della Chiesa allo stipendio dei Fiorentini sotto la condotta del signor Malatesta sieno perdonati; i beni salvi; se presi adesso, restituiti senza spendio di sorte alcuna.»

      «Ancora.»

      «Il signor Malatesta, con qualsivoglia grado e dignità e con suoi parenti, seguaci, complici e aderenti, possa a suo beneplacito liberamente tornare a Perugia e quivi commorare in buona grazia di Sua Santità.»

      «Questo non era mestieri domandare; — ben lo aspettavamo noi: — la presenza del signor Baglioni reca onore e decoro al dominio della Chiesa.»

      «Tanto meglio: rimesso il bando al capitano Prospero della Cornia per l'omicidio di Jeronimo degli Oddi e i suoi figliuoli.»

      «Il Figlio di Dio», riprese il Papa additando il Cristo, «perdonò a coloro che lo sospesero in croce; — a santa Chiesa sua sposa imitare gli esempi divini è soave: chieda il capitano Prospero col cuore pentito, il perdono del misfatto al cielo, noi lo abbiamo perdonato....»

      «Si conceda indulto al conte Sforza da Scarpeto pei maleficii commessi, e gli sieno restituite le possessioni.»

      «Abbia l'indulto e i beni.»

      «La Santità Vostra conceda pieno assoluto dominio al signor Malatesta di Nocera sulla Valle Toppina, Bevagna, Tunigiana, Castellabono col titolo di duca; Rota Castelli e la metà di Chiusi libero; — un vescovato di diecimila scudi d'entrata l'anno per lo nipote; — la figlia del duca di Camerino per Ridolfo suo figliuolo; — e finalmente componga a suo favore le differenze pei castelli con gli Orvietani.»

      «Avanti.»

      «Per lui non ho a chiedere più nulla. — Se nella vostra larghezza voleste donare anche a me qualche beneficio... meglio dei vostri abbati sapremo governare una badia... ed io, vedete, sono stracco dei travagli del campo, — e sento che il cielo mi chiama proprio alla vita contemplativa...»

      Il Papa, rammentandosi allora di avergli nella prima caldezza del sangue donato, un anello di troppo grande valore, e se ne pentendo adesso, punto dall'avarizia, della richiesta di Cencio, immaginava fare suo pro, e quindi rispondea:

      «A questo avevamo pensato noi: — sta per pacificarsi l'Italia; e ci conviene provvedere allo stato di uomini leali che militarono in vantaggio della Chiesa: anzi, ora che ci ricorre in mente, e' ci pare che tu faresti bene a restituirci l'anello. — Egli è troppo piccolo dono ai meriti tuoi. — Per una volta che renderai adesso, ti ristoreranno in futuro dieci volte cento. Ancora avverti che te lo potrebbero trovare indosso e farti capitare male, ben conoscendosi alla forma come appartenente a vescovo o prelato.»

       «Deh! Padre Santo», fingendo devozione favella Cencio, «lasciate che per la salute dell'anima mia non me ne scompagni: io m'accorgo dovere contenersi in lui virtù mirifica da salvare da incantagioni e malìe; ed io ho tanta paura del demonio che mi par di morire al solo sentirmelo rammentare davanti! — Che mi faccia capitare male non dubitate: io lo terrò celato, nè me lo terranno vivo; e quando sarò morto, voi sentite che peggio non mi potrà accadere.»

      «Bene, sia. Torna tosto al suo signor Malatesta e raccomandagli si affretti; — avrà piena la mercede secondo le sue inchieste, e a noi spetta concedergliela anche maggiore: egli ci parve umile troppo e rimesso; si affidi alla larghezza medicea. Al nepote potremmo anche concedere il cappello rosso. — A lui... il gonfaloniere di santa Chiesa conta circa settant'anni; egli, se giunge, non sorpassa i quarantacinque...»

      «Malatesta vi prega che la Santità Vostra, così per ricordo, si degni porre il nome qui sotto questa cedola...»

      «Di gran cuore.» — E il papa firmò senza pure guardarla.

      «Poi mi disse ancora: Cencio, bada, il proverbio spagnuolo insegna: parola e penne il vento le porta via, — la promessa grave sfonda la carta dove sta segnata... sicchè procura farti dare tanto in mano che mi assicuri. — Io, ben me ne accorgo, sono un mal destro negoziatore: e queste cose non ve le dovrei dire, o dirvele in maniera più soave, ma per me, quando si può andare per la piana, fuggo l'erta e la scesa. — Patti chiari, amicizia lunga...»

      «Ah! Malatesta pretende sicurezze?»

      «Le pretende!... no, le desidera. Siccome egli è bellissimo novellatore, costui sovente costuma di raccontarmi che male hanno dipinto i pittori il Tempo in sembianza di vecchio con la falce in mano; dovevano, egli dice, invece immaginarlo giovane e poderoso con una granata con la quale dì e notte infaticabilmente spazza stelle, spazza dii, spazza vite, amori, odii, gratitudine, e tutto spazza, e fattone mucchio lo getta dentro certa riviera che si chiama l'oblio...»

      «Digli che rimarrà a Fiorenza con la sua gente finchè non abbia adempito ai trattati. Accostati! guarda quest'uomo in faccia.»

      «L'ho guardato.»

      «Bada non dimenticarne il sembiante.»

      «State sicuro; — non potrei dimenticarlo volendo: ha qualche cosa in volto che mi rammenta il mio signore Malatesta.»

      La fronte di Giovanni Bandini diventò livida; le sue labbra tremarono.

      «Questi verrà in campo, nostro commissario segreto; — il tuo signore e tu stesso manterrete le pratiche con lui: — secondo che l'occasione vi si offra, corrisponderete insieme intorno alle cose a sapersi necessarie. — Or va'... va' con Dio.»

      «Messer lo Pontefice, statemi sano», riprende Cencio e fa atto di stringergli la destra. Clemente la tira a sè con disdegno; e l'altro, senza pure accorgersene, continua: «A rivederci, e non in Pellicceria, come disse la volpe al suo cugino lupo: a rivederci per darci tempone e bere un gotto alla memoria della libertà di Fiorenza.»

      Il Pontefice tendendo il braccio comanda:

      «Giovanni, date commiato a questo capitano.»

      «Mi paiono mille anni di farmi frate; — la barbuta comincia a pesarmi sulle tempie: oh la bella vita ch'è la vita da abbate...!»

      «Soldato!» esclama Clemente richiamando indietro Cencio, «vorresti mutare l'anello che noi ti donammo con mille ducati d'oro del sole? — tu ci miglioreresti di un terzo.»

      «Che è, che fa a me il terzo? Forse io conservo per intendimento mondano l'anello che toccò il dito della Vostra Beatitudine? Io me lo tengo caro, perchè mi preservi dalle tentazioni del demonio e dal peccare più oltre; — i miei peccati mortali, vedete, sono più di sette...»

      «Or dunque vattene.»

      Giovanni Bandini, posto ch'ebbe fuori della stanza costui e chiuso diligentemente le porte, tornò indietro e disse:

      «Incomportabili cose a cotesti ribaldi concedeste, Santità.»

      «Non rammentate voi il consiglio di Guido da Montefeltro a papa Bonifazio VIII?

      Lunga promessa coll'attender corto

      Ti farà trionfar nell'alto seggio[103].»

      «I benefizii dunque?»

      «Lui ordinerò diacono, e Malatesta suddiacono, quando il demonio celebrerà la messa.»

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