L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 41
«Se a voi importa la vostra quanto a me la mia vita, lasciatemi favellare. Alla patria non può avvenire peggio di quello che adesso le avviene. Le mie parole rimarranno come testimonianza tra i posseri; e non sia detto che, mentre tanti liberi petti cimentano la vita in pro della patria, nessuno tra noi sia stato valente ad esprimere generose parole. — Giulio dei Medici, molti avete dedotto gravami contro la vostra terra, molte vi lasciai discorrere menzognere lodi in vantaggio della vostra famiglia. Ora sappiate la vostra casa essere stata tra noi come l'insetto della nuova Spagna, il quale penetra nella pelle sottile quanto una corona d'ago e poi s'ingrossa sì che t'uccide[107]. Tre volte in novantaquattro anni noi lo cacciammo, perchè volle i suoi concittadini ridurre in servitù, la patria convertire in mensa dove noi, i nostri figli, le facoltà nostre potesse divorare a bell'agio. Meglio per noi se i padri nostri avessero avuto più crudeltà nello spengerla affatto, o meno debolezza per richiamarla. Ogni anno la famiglia vostra ha svolto una spira per avvilupparci dentro, come fecero i serpenti di Laocoonte e dei suoi figliuoli. Lorenzo si usurpò la fama di grande, Lione eziandio: hanno eglino forse creato il proprio secolo? Nessuno uomo è potente a creare un secolo; — Dio solo lo crea, e la fortuna. Lorenzo, se ai virtuosi sovvenne, ciò fu per libidine di fama e con danari non suoi: — a Roma lo avrebbero punito come reo di peculato, — noi deboli e stolti lo salutammo col nome di ottimo, liberalissimo. A che parlate di sangue? A che rinnovate la memoria degli antichi delitti? Interrogate le tombe e, per ogni stilla di sangue dei Medici versato, sorgeranno spettri a presentarvi tazze colme del sangue loro sparso dai vostri maggiori. E per venire a noi, perchè adoperate adesso e lusinghe e ambagi e minacce? Perchè vi sta immobile nella mente il fiero disegno di fare schiava la vostra patria infelice? Se alcuni giovani protervi guastarono nell'Annunziata le statue della vostra famiglia, se la vostra immagine tolsero da San Pietro Morone, quale colpa è nello stato? Forse un reggimento sta mallevadore per le azioni dei singoli cittadini? Dove la Sedia vostra Apostolica avesse a pagare pei delitti di coloro che vi seggono sopra, ora (tacendo degli altri), pei misfatti di Alessandro VI, dove l'avrebbe condannata la giustizia di Dio? I signori Otto di Guardia ordinarono si atterrassero le vostre armi; e bene ordinarono, come quelle che non s'innalzavano a decoro della famiglia, bensì in segno di principato. — I beni della Chiesa alienammo, poichè due vostre bolle o brevi ce ne somministravano facoltà[108]. — E che? — Scrollate il capo? Forse mentisco io? Le bolle non si ponno negare, a meno che a voi non piaccia interpretarle, secondo il vostro costume, efficaci ad alienare i beni ecclesiastici per combattere la patria, non già per difenderla. — Aprite, Giulio, l'animo vostro intero. Ormai non ingannate nessuno, nè uomini nè santi. Voi intendete assoluto signore dominare su Fiorenza. Voi vorreste le nostre teste scalini per salire sul trono e quindi le prime ad essere calpestate. «Or bene, dunque sappiate, poichè la Repubblica non ha potuto impetrare mercede alcuna da voi per liberarsi da sì gran danni che le fa attorno l'esercito vostro, averci ella commesso di far intendere alla Santità Vostra, essere in tutto deliberata a sostenere la sua libertà fino alla morte. In tanto giusta causa non trovando pietà appresso voi, come si converrebbe a vicario di Cristo, ricorre al trono di Dio e lo supplica che, viste le ragioni dell'una parte e dell'altra, dia di noi quel giudizio che gli parrà giusto. Sappiamo che nella difesa che fa la città, la quale è pur vostra patria, difende in prima la libertà, dono largito da Dio ai mortali per lo più bello e più maraviglioso ch'egli mai conceda dopo la vita; dipoi vi si difende la religione, i figliuoli, la roba, cose sopra tutte carissime, le quali dal vostro esercito, composto di barbare nazioni, ci sono disperse, parte ammazzate, parte messe in pericolo, senza scorgersi in voi non dico ombra di misericordia, anzi scorgendosi in voi ognora più una grandissima crudeltà contro di lei nella quale nato, allevato e per suo mezzo a così alto grado condotto vi siete. Dalla pietà di questa condotta in tante miserie se non vi muovete, quale altra cosa vi muoverà a compassione? Non posso, rimettendomi nella memoria i crudi strazii ch'ella patisce, contenere il pianto e non dirompermi di tal maniera nelle lagrime che più non possa, non dico parlare, ma sostenere questa infelicissima vita. E voi, che dite tenere il luogo in terra del Redentore piissimo dell'universo, non vi commovete e non comandate che si lasci stare quella patria innocente, che più non si affligga con tanta rovina...»[109]
A tante e tanto gravi parole il Pontefice si era lasciato andare genuflesso davanti la immagine di Cristo, e quivi a braccia aperte, fingendo singhiozzare come preso da immenso dolore, orava;
«O mio divino Redentore, senza mormorare mi sottopongo alla dura prova con la quale intendi cimentare gli ultimi anni della mia vita. Ella è superiore però alla mia natura, sicchè vi soccombo sotto. A me la taccia di crudele? Non amo la mia patria io? Tiranno io, o coloro che, ridotta in pochi Arrabbiati la pubblica autorità, i meglio autorevoli cittadini bandirono o imprigionarono?...»
«Alzatevi! alzatevi!» esclama il Guicciardino, «tanto Dio non ingannerete voi. Oh! meglio che pregare ipocritamente il divino Redentore, a voi potenti della terra gioverebbe lealmente imitarlo...»
«Messere Iacopo, io ricevo col cuore umiliato la tribolazione che l'Altissimo per la bocca vostra mi manda. In voi discerno uno strumento della volontà divina e vi onoro. Quando pure non fosse così, questo mio Dio, che pregò pei suoi uccisori perchè non sapevano quello si facessero, mi conforterebbe a pregare per voi che non sapete quello che vi diciate.»
«Non so quello ch'io mi dica io? O papa Clemente, trema che cotesta effigie del Redentore non si animi per miracolo; temi quella lingua si sciolga e riveli intiere le cupezze dell'animo tuo. Se Cristo stacca di croce la sua destra inchiodata.... trema.... non la leverà per benedirti....»
«Orsù», interrompe il Pontefice levandosi in piedi, «tregua alle parole; oramai ne proferimmo anche troppe. Iacopo, la vostra lingua è riottosa come le acque di un torrente. Voi ponete la vostra causa nelle mani di Dio, ed ancora io ve la pongo; discerna egli e giudichi: — dacchè traemmo la spada, — la spada dunque difinisca la lite.»
«Tu hai raccolto tutti i venti del settentrione per divellere dal tronco la fronda inaridita. Come Faraone, superbisci pei tuoi cavalli, per le tue molte milizie: — bada al mar Rosso! — Dio può rendere la fronda inaridita tenace quanto la querce delle Alpi. Ai buoni è concesso dai colpi di fortuna appellare all'Eterno. — Alle vittorie dei tristi esultano i dannati. Se talvolta un consiglio profondo esalta l'empio, ciò il fa perchè senta più fiero il dolore della rovina. Tranquilli, se non lieti, ci diamo in balia degli eventi, perchè, vincendo, ci aspetta la fama di avventurosi e di onorati; soccombendo alla impresa, il mondo ci chiamerà infelici, ma onorati pur sempre. — Tu poi affacciati al futuro, ardisci con occhi aperti contemplare il tempo che viene.., e di'... qual cosa tu vedi?... Portiamo via, liberi uomini, da questa reggia, chè non ci sobbissi sul capo, dacchè l'ira di Dio ci gravita sopra. — Fin qui le preghiere e gli scongiuri furono carità patria, adesso sarebbero turpitudine e miseria. Il David del Buonarotti si moverà prima a difendervi che il cuore di questo Filisteo si ammolisca. Venite a giurare nella chiesa di Santa Maria del Fiore di liberare la patria o seppellirci sotto le rovine di lei.»
E concitato lo sdegno, da dolore e da impeto inestimabile, pone la mano sul battente della porta per uscire.
«Iacopo, fermatevi», esclama il Papa, «e udite le mie estreme parole. Sieno i Medici per autorità nello stato vostri compagni non principi; componete di quarantotto famiglie un senato, e in quello risieda il potere di governare...»
«Se il mio antico genitore mi avesse proposta infamia e delitto siffatti, io mi adopererei a fare sì che la scure del carnefice insanguinasse i suoi capelli bianchi.»
E senz'altre parole aggiungere usciva della sala.
«Voi, messere Nicolò dotato come siete di più temperata natura», riprende Clemente, «considererete col buon giudizio vostro la mia offerta; — non vogliate delle cose l'estremo: accomodatevi ai tempi; — dominiamo insieme.»
«Le