L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 45
In questa le guardie della milizia fiorentina tornarono; e chi sorridendo, quale imprecando, depositano le armi: se non che, vista la desolazione della fanciulla, si acquetarono tutti, ed uno di loro soltanto raccontò: causa del trambusto una squadra di cavalleggeri uscita a foraggiare, che tornando carica di preda aveva trovato la porta ingombra di gente del contado, di carra, di somieri e di masserizie, con le quali fuggendo riparavano alla città; che, non essendo riuscita, ad ottenere per amore si slargassero per lasciarla passare, si era cacciata di forza tra quel cumulo di uomini, di bestie e di cose, sicchè sbarattandolo e rovesciandolo era passata di galoppo tra mezzo. Poco il guasto o nessuno; qualche mulo o cavallo aombrato correre alla ventura per la città, ma presto lo avrebbero ritrovato; la fanciulla di certo caduta per urto di cima a qualche carro dove si stava addormentata: trattenerla nel corpo di guardia pareva il consiglio migliore, perchè non istarebbe guari la sua gente a venire per lei.
La fanciulla porgeva attentissimo l'orecchio, fissava arguto il suo sguardo nel volto del parlante, sospettosa non la dileggiassero; e quando le parve sincero, alquanto si assicurò: allora con ambe le mani traendosi dietro il capo i molti capelli caduti sulla fronte, disse:
«Faccia Dio che presto ritorni! — Ma dove mi hanno condotta? Dove mi trovo adesso?» E vedendosi circondata da tanti uomini i quali curiosamente la guardavano, arrossì vereconda e declinò le palpebre.
«Figliuola mia», le rispose Lupo, «già non voglio dire che non potresti stare con miglior gente, perchè la sarebbe soverchia presunzione cotesta; pure così come ti trovi, sei sicura quanto nel monastero delle Murate. — Tu stai in Fiorenza presso la porta San Nicolò, tra giovani costumatissimi e ascritti alle bande della milizia cittadina. — Io poi mi chiamo Lupo e sono bombardiere preposto alla colubrina piantata in cima alla torre della porta.»
«Signor Lupo», soggiunse con umil voce la donzella, «io mi abbandono nelle vostre braccia; — fatemi da padre finchè non abbia ritrovato il mio vero. — Di ciò vi avremo obbligo infinito tanto mio padre che io; e pregherò per voi la madre mia ch'è nei cieli.»
«Sta' pure di buon animo, figliuola mia; tu sei in mezzo a' tuoi. Anzi, ora che penso, onde diminuire le ansietà di questa povera fanciulla, e' sarebbe bene alcuno di voi, con buona licenza di messere Vico, si movesse in traccia di suo padre per le prossime vie.»
«Dio ve ne renda merito», disse la fanciulla; — e poi volgendosi a Vico e per la prima volta consapevole riguardandolo, volle parlargli, e si confuse anch'ella; onde si rimase in silenzio.
«Come volete, Lupo, ci poniamo in traccia del padre suo», notarono alcuni, «se i nomi di lei e di quello ignoriamo?»
«Andate», disse la fanciulla, «e se per la notte incontrate voce alcuna di pianto che chiami Annalena, — quegli è mio padre. Se non udite la voce, il dolore lo ha ucciso.»
«Orsù dunque voi, Marco Guidi e voi Pierfilippo, aggiratevi qui d'intorno e vedete se per sorte vi ci abbatteste. — Tornate presto e non passate l'Arno.»
Due uomini obbedivano al comando di Ludovico.
«Figliuola mia», riprese a favellare Lupo, «se io non ti rinnuovo troppo disperata memoria, dimmi a che termine si trova il nostro infelice contado?»
«Ahi! trista me! — I tormenti che videro questi occhi vincono le parole. — Atti nefandi, abominazioni da demonii, immanità efferate, delitti quali non dovrebbe tollerare la pazienza di Dio. Chiunque adesso percorresse le terre già tanto fortunate del nostro contado, gli parrebbero un deserto; — le tempeste dei cieli, i fulmini, li terremoti insieme raccolti non potrebbero apportare danno uguale a quello che hanno cagionato questi empi ladroni. Le vigne svelte, gli alberi abbattuti, la terra sconvolta non serba traccia delle fatiche dei campi. Le case ardono, le chiese rovinano: e tutti questi danni ed altri maggiori non uguagliano i tormenti dei miseri abitatori. Le donne tratte in ischiavitù, ad uffici vilissimi costrette, battute, ferite... gli uomini appiccati ai pochi alberi rimasti alla campagna, miserabile spettacolo dalla lontana, più misero da vicino, perocchè allora si conosca espresso quanti abbiano patiti crudelissimi strazi prima di morire...»
«Occhi di Dio, dove dunque guardate?» Muggì piuttosto con voce di toro che non urlasse con grido umano Lupo. E la fanciulla spaventata balzò in piedi per fuggire.
«Ah!» proseguiva Lupo, «tutto questo avviene perchè fummo codardi; — se avessimo tenuto fermo in Arezzo, il nemico non iscorazzerebbe adesso il contado: bene sta, dacchè non adoperammo le braccia a difenderci, forza è che gli occhi consumiamo a piangere.»
«Oh! non versate ancora tutte le vostre lacrime, perchè tale vi narrerò una sventura a cui se il piangere non manca, vi si spezzerà il cuore per troppa compassione. Mio padre ha stanza... e devo dire, aveva, — ma l'animo non sa credere come in un giorno possano tanti infortunii accadere che appena mesi basterebbero a immaginarli, e non pertanto avvennero in un'ora sola, e noi sopraviviamo, — mio padre aveva stanza in Val di Greve presso San Giusto: in certo luogo fuori di mano, ombroso per copia di piante, era fabbricata la casa nostra, asilo d'innocenza, per me di pace non interrotta, per lui di riposo agli antichi travagli, dacchè mio padre, da me in fuori non ha parenti al mondo, e spesso piagne sopra altri e la moglie defunta, e più sovente egli versa lacrime d'ira che mi fanno paura. Ora correranno tre notti il padre, accompagnandomi alla mia cameretta, mi baciò in fronte, mi benedisse e mi salutò dicendomi: Addio, a domani. — Poi, quasi un qualche presentimento lo funestasse, rifece i passi per rammentarmi assicurassi bene per di dentro le imposte, essendo la casa bassa, la contrada piena di ribaldi, molto il pericolo dei ladroni, più che soldati, dell'esercito della lega, le difese poche o nessuna. Ond'io, maravigliando dell'insolito sospetto, domandai: Perchè tanto temete? — Ed egli a me: Perchè mi sei sola in terra. — Siccome mi aveva consigliato, chiusi diligentemente le imposte, — poi mi prostrai davanti alla immagine della Madonna e le porsi le consuete preghiere pel padre, per tutti ed anche per me; — mi giacqui pacata proponendo levarmi mattiniera avanti l'alba per cogliere fiori, destare il padre spruzzandogliene sul volto la rugiada e irriderlo dei notturni terrori. — Il sonno mi vinse: all'improvviso, comechè tenessi le palpebre chiuse, uno splendore mi offende la facoltà visiva: dubbiosa di avere oltrapassata l'ora proposta, balzo a sedere ed apro gli occhi. — Pensate voi qual cuore fosse il mio quando vidi piena di fumo la stanza, — la fiamma sguizzare spaventevole lungo il soffitto! — Preso consiglio dalla paura, fatto fastello dei panni, scinta, scalza, scarmigliata i capelli, proruppi fuori. — La Madonna aveva miracolosamente preservata la cameretta della sua devota; — la rimanente casa in fuoco; — parte della scala, la inferiore, vacillante travolta in fiamme, ma sempre in piedi; la superiore caduta; ogni indugio sicurissima morte. — L'anima mia raccomandata al Signore, mi slanciai; il divino ajuto soccorrendomi toccai uno degli scalini rimasti; — bruciavano; — volai; — dall'ultimo gradino movendo il primo passo, sentii sotto il piede un corpo morbido, e mi parve ancora intendere un sospiro; — declinai lo sguardo: — uno dei piedi mi vidi contaminato di sangue, e nel corpo mi apparve la spettacolo miserabile di un servo infranto, mezzo arso dalle fiamme — forse egli precipitava dalla parte più alta della casa, dove aveva stanza.
«Affrettai il passo, non sapendo nè curando pensare in qual parte fuggissi: — unica cura fuggire. Risensando, mi trovai dietro la siepe foltissima del giardino, e dall'opposto lato scôrsi mio padre, il quale in mezzo ad una banda di scherani con le ginocchia piegate supplicava così: — Alfine anche voi una donna ha partorito; avete sembianza umana: lasciatevi piegare;