L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi

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L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi

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guardate, — adesso ve lo confermo con l'esempio. — Ah! il pianto mi toglie facoltà di raccontarvi partitamente com'ella, spiccato un salto, si precipitasse nel fiume: — come vedessimo ora apparire su le acque, ora scomparire sotto, la santissima donna; e tanta era in lei la voglia di preporre l'onestà alla vita che quante volte l'impeto dei vortici la respinse su a galla, altrettante ella mettendosi le mani sul capo si attuffava giù nel fondo. Urlando correvam lungo le rive dell'Arno, strappandoci i capelli e invocando Dio. Il capitano, improvvido di consiglio, rimase stupido di terrore. I suoi non si movevano; — egli poi, quando si riscosse ed ebbe trovato barche e corde per riaverla, trasse dal fiume un cadavere. — Scendeva intanto la notte. — Il corpo inanimato adagiarono sopra una bara: — portavano intorno due torce infiammate; e il capitano seguiva livido e muto. — Già ci accostavamo al campo quando vedemmo, quasi scaturito dal seno della terra, un uomo sordidato di fango, co' capelli scomposti sul volto, ardentissimi gli occhi, stringere una daga ed avventarsi contro il capitano Recanati gridando: — Rendimi mia moglie! — E il capitano, quasi agitato dalle medesime furie, trasse in un baleno il suo pugnale gridando più forte: — Rendimi l'amor mio! — L'uno contro l'altro correndo rovesciano un masnadiero che porta una torcia; — di subito li circondano le tenebre; — ne segue fiero scompiglio: — i portatori fuggono, la bara precipita rovesciando la morta sopra i due forsennati... Se quel tremendo avvenimento giungesse a separarli, se più infelloniti si uccidessero, io non so dirvi, perocchè anch'io mi detti alla fuga, — e tanto corsi, tanto mi affaticai che, quando per lassezza mi rimasi, la notte era alta; — intorno a me silenziosa la terra; solo da lontano mi veniva un rumore come di acque che si rompano per le pile dei ponti. Pensai movessero dal campo; e rinfrancata, quantunque mi sentissi rifinita di forze, ripresi il cammino opposto a quel suono. — Andai per un tempo alla ventura, poi, ravvisando strade a me note, deliberai tornare dove fu la mia casa, sperando rinvenire il corpo di mio padre, dargli sepoltura e quindi commettermi alla fede di taluno conoscente od amico. — Pur giunsi, — riconobbi i cancelli atterrati, il bel giardino svelto; — ma mi premeva altra cura. Dal terrore agitata e dalla pietà cercai per le fosse l'amato cadavere. Per quanta diligenza io vi adoperassi, non mi venne fatto trovarlo. — Mi avvio dolente verso l'aia dove surse la casa, adesso ingombra di frantumi e di ceneri. — Mentre più mi avvicino, odo un sospiro fievole, e subito dopo vedo un simulacro umano in mezzo a quelle rovine; intendo più alacre il guardo... e mi parve lo spettro di mio padre. Se pure fosse stato tale, amore mi consigliava di andargli incontro, ma la paura mi vinse, e fuggii prorompendo in altissimi stridi. — Nel tempo stesso la voce paterna mi percuoteva le orecchie chiamando: — Figliuola, figliuola! — Così vicini a riunirci per miracolo del cielo, di nuovo ci dividevamo, — e forse per sempre, — se all'improvviso il cane fedele, superstite a tante sciagure, non mi avesse, afferrando il lembo della veste, impedito di correre. Ci abbracciammo dimentichi dei sofferti mali; caduto era il padre non già di palla, bensì per essergli mancato il terreno di sotto i piedi, e al tempo stesso, sparando l'archibuso, parve rimanere ucciso, mentre per divina provvidenza la palla, strisciategli le vesti, appena l'offendeva. Precipito il racconto: albergammo in casa amica; ci ristorammo della fame e del disagio; e poi, così volle mio padre, saliti sopra poderoso cavallo, per lungo circuito, correndo a precipizio, ci riducemmo a Fiorenza. — Forse dieci miglia discosto incontrammo un convoglio di carra e di gente che abbandonavano il contado: infranta nella persona, desiderai adagiarmi sopra un carro pieno di strame e di leggieri me lo concessero i villani dabbene; qui presi sonno; mi risvegliai precipitando e caddi tra voi. — Ed ora mio padre dov'è? E perchè tarda? Qualche fiera avventura gli accadde, e voi me la celate pietosi. O padre mio!...»

      .... com'ella, spiccato un salto, si precipitasse nel fiume;.... Cap. VI, pag. 159.

      Una voce lontana penetrò nel corpo di guardia, che chiamava:

      «Lena! Annalena!»

      «Silenzio!»

      «Lena!»

      «Ah! padre, padre, padre!...»

      E tutti uscirono dalla porta a gola spiegata gridando:

      «Qua. — Da questa parte. — Venite oltre. — Qui è vostra figlia.» Cessa la voce, — s'intendono passi precipitati; arriva un vecchio ansante, si slancia con giovanile leggierezza fra le braccia della vergine, — ella di lui; e piangendo, mormorando parole slegate, alternando baci e carezze, godono piena la gioia umana, — la cessazione del dolore!

      Alcuno dei circostanti piegava altrove il volto, vergognando mostrarlo lacrimoso; Lupo rideva, non capiva in sè dalla contentezza.

      Poichè si furono alquanto rimesse quelle calde dimostranze di affetto, il vecchio con labbra ridenti e cuore devoto rendeva mercede agli ospiti della figlia.

      «Oh!» rispondeva Lupo, «qui non ci capiscono grazie; noi non abbiamo fatto altro che dirle buone parole... e queste costano tanto poco, e tante ne sprechiamo invano e per male che davvero non meritano pregio le pochissime proferite per bene. Io ve l'ho conservata, come padre; e sebbene la presenza vostra mi tolga la dolcezza di questo nome, siate ben venuto, buon uomo. Se però non vi offendesse la proposta, e voi voleste accoglierla con quell'animo col quale ve la offeriamo noi, starebbe a voi renderci gli uomini più lieti di questa terra (perdonate il rozzo dire alla sincerità delle intenzioni)... accettando parte delli nostri danari...»

      «Lupo ci vince in valore, in magnanimità, in anni, in tutto», esclamarono i giovani.

      «Per gli anni, sta pur troppo e, mio malgrado, bene; pel rimanente, e nasca quello che sa nascerne, voi mentite per la gola.»

      «Gente dabbene, la vostra cortesia supera la parola: io ve ne rendo con l'animo quelle grazie che so e posso maggiori. Dal naufragio della fortuna tanto ancora mi avanza da sostentare me e la mia figliuola finchè il nemico duri nelle nostre contrade. Allora spero che Dio vorrà concedermi tanto di vita da restituire in lieto stato le mie terre, rialzare la casa...»

      «Amen!» risposero i circostanti.

      «Però», disse Lupo, «vecchio come siete, era meglio che riparaste a Lucca o a Siena e vi toglieste ai disagi dell'assedio, come hanno fatto i nostri più doviziosi mercatanti.»

      «Il mercante non conosce patria; — i suoi affetti e le sue memorie stanno nel forziere. — Agevole cosa è pertanto trasportare un forziere. L'agricoltore pone nei campi l'amore, le fatiche, le ricordanze o liete o triste della vita; nè i campi possono da un luogo all'altro trasferirsi. A me bisogna rimanere in patria o morto o vivo.

      «Già non intendeva io consigliarvi ad abbandonarla, sibbene rimanervi lontano finchè durano i pericoli della guerra.»

      «Lontano o vicino, i pericoli della patria mi riuscirebbero del pari dolorosi e forse più gravi stando lontano, perchè accresciuti dall'ansia, dall'incertezza e dal timore. E che? Manca forse vigore a queste braccia per adoperarle in difesa del mio paese? Quella guerra è invincibile dove combattono per soldati il vecchio di sessant'anni e il giovanetto di quindici. Me avventuroso se potrò dare al dolce loco natio gli estremi giorni di questa mia vita angustiata per mille dolori! Scaverò ai fossi, porterò terra ai bastioni, porgerò le armi ai combattenti; — e, ogni via di salute disperata, precipitando dall'alto apporterò con la mia la morte di qualche nemico. Se, come spero, le ragioni della patria prevarranno, mi sarà di conforto nel morire il pensiero che la mia diletta figliuola sia commessa alla fede di madre amantissima, — voglio dire Fiorenza. — Se invece, (disperda Cristo l'augurio); rimane spenta la libertà, il vivere che monta? Tra morire e vivere da schiavo la differenza è questa: i morti non sentono nulla, i vivi si consumano sotto il peso delle catene. Lena mia, ti faccio manifesto il mio testamento alla presenza di questi valenti uomini; dove il lione coronato rimanga insegna della Repubblica, tu vivi, serbati agli affetti di sposa, — alle santissime

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