L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 52
Michelangiolo anch'egli non alitava, l'anima tutta gli si era trasfusa negli occhi; l'osservava in ogni suo moto nel girare dei muscoli, nello stringere delle ciglia. E non contento di starsi alla superficie, le penetrava oltre la cute e, per così dire, indovinava la recondita notomia di quel volto: dardeggiando veloce lo sguardo da lei ad un foglio e dal foglio a lei, con la mano rivelatrice dell'alto intelletto effigiava il tipo della parca che taglia la vita, la quale poi dipinse con le altre due compagne, meraviglia dell'arte, nella tavola che si conserva nella galleria di Palazzo Pitti a Fiorenza.
«Magnifici signori,» disse un mazziere della Signoria entrando in fretta, «gli oratori spediti a Bologna, arrivati a Porta San Gallo, hanno mandato un cavallaro innanzi per avvertirvi che scavalcheranno al Palazzo.»
«Ordinate che cessino di sonare la campana: — se vi aggrada, messeri, possiamo scendere in sala. — Voi, monna Ghita...» La donna era scomparsa; e quando nello scendere le scale, il gonfaloniere si accostò al balcone, la vide traversare veloce la piazza, come vogliosa di rimettere il tempo perduto.
Entrarono nella sala, assai diversa da quella che ai tempi nostri vediamo. Non per anche ella appariva contaminata su le pareti con le immagini di due atroci ingiustizie, una della Repubblica, l'altra del Principato, voglio dire le guerre di Pisa e Siena. — Non per anche i popoli, ponendo il piede dentro quel recinto, sentivano comprendersi dal ribrezzo al pensiero dell'incesto quivi commesso dal primo gran duca Cosimo dei Medici, d'iniqua memoria, sopra la sua figlia Isabella. — Ella era quale l'aveva ordinata frate Girolamo Savonarola al suo amico Simone detto il Cronaca, semplice, bassa, scarsa di lumi, col solaio scompartito a quadri di legnami, larga braccia trentotto, lunga novanta. Mai non avevano fabbricato in Italia sì vasta sala nè i Veneziani nè i papi nè i duchi di Milano o i re di Napoli. Quando la voce di frate Girolamo fece prevalere il reggimento popolare al governo dei pochi, che aveva durato sessant'anni in Fiorenza, provvidero si costruisse un locale capace di contenere tutti i cittadini adunati in consiglio generale. Il buon Simone con tanta prestezza attese si conducesse a termine che lo stesso Savonarola ebbe a dire «che gli angioli in quell'opera si esercitassero in luogo di muratori ed operai perchè più presto fosse finita[124].»
Quantunque io abbia affermato poc'anzi che il Savonarola[125] predicando facesse un reggimento largo e popolare prevalere allo stretto e dei pochi, già non si creda ch'ei partegiasse a rendere la plebe signora, dominio acerbo quanto quello del tiranno. Fu pei suoi conforti composto il Consiglio prima di ottocento trenta, poi di mille settecento cinquantacinque cittadini, oltre i trent'anni, amorevoli della repubblica, netti di specchio. Imperciocchè egli sapeva essere le adunanze della plebe istrumento certissimo di servitù; epperò quando i cittadini ambiziosi non potevano vincere co' modi legali, s'ingegnavano chiamare la plebe in piazza, rimettere in lei l'autorità del governo e lusingarla o costringerla ad eleggere alquanti uomini i quali avessero soli autorità di riformare lo stato quanta ne aveva il popolo di Fiorenza tutto insieme. I quali due modi si chiamavano parlamento e balía. E la storia aveva insegnato esserne derivati pessimi effetti, simili a quelli che anticamente partorirono nella repubblica romana e in tempi più recenti nel regno di Polonia, allorchè una Polonia stava in piedi, e i popoli si eleggevano un re. Frate Girolamo, che del reggimento degli stati, se quel suo zelo soverchio per la religione non l'offuscava, intendeva assaissimo, attese molto diligentemente a persuadere altro essere libertà, altro licenza, popolo non doversi confondere con la plebe, consiglio generale differire da tumulto in piazza; ed in ammaestramento perpetuo che la sfrenata larghezza dei consigli è madre certa di tirannide, volle nella gran sala a lettere maiuscole fosse scritta la stanza seguente:
Se questo popolar consiglio e certo
Governo, popol, della tua cittate
Conservi che da Dio ti è stato offerto,
In pace starai sempre e in libertate:
Tien' dunque l'occhio della mente aperto,
Chè molte insidie ognor ti fien parate,
E sappi che chi vuol far parlamento
Vuol tòrti dalle mani il reggimento[126].
Intorno alla mura della sala avevano ritta una ringhiera col piano alto tre braccia sopra il pavimento, balaustri davanti e seggi come in teatro; quivi dovevano sedersi i magistrati della città. Nel mezzo della parete volta a levante, sopra residenza più eminente, stavano il gonfaloniere di giustizia e i Signori: — nella facciata dirimpetto era l'altare, e accanto all'altare la tribuna, in quel tempo chiamata bigoncia, per gli oratori. Nel mezzo poi della sala si vedevano panche disposte in fila per i cittadini. Tal era, nei tempi di cui narro la storia, la sala del Palazzo della Signoria, ai giorni nostri volgarmente chiamato Vecchio.
Mi sia concesso con quella brevità ch'io potrò maggiore esporre quali si fossero i magistrati che partecipavano alla Pratica, come nascessero; quanto e quale potere esercitassero. Duri tempi ci stanno addosso; sicchè all'uomo, per ristorarsi delle presenti miserie, conviene che si volga al passato o al futuro. Tra le memorie e il desiderio noi trasciniamo vita piena d'amarezza; — il futuro si distende grande, infinito davanti a noi, ma vago, illuminato da splendore incerto, dove ogni creatura immagina a suo senno un fantasma. Il passato invece si mostra circoscritto, ai bisogni nostri incompleto, pur nondimeno distinto. Il passato è irrevocabile, — il tempo caduto nella eternità uscì dal dominio degli uomini e da quello di Dio. Del futuro non ispuntò anche l'alba del giorno fatale, e le generazioni, quasi disperate della lunga notte della doppia tirannide che le opprime, tengono da secoli la faccia volta all'oriente osservando se comparisce il raggio divino. — Quanto tarda a comparire quel raggio! A cui talenta spaziare pei campi dell'avvenire, vi s'immerga intiero e ci rallegri con illusioni, con isperanze, con vaticinii e, se gli riesce, con sicurezza di meglio, onde tre quarti del genere umano continuino il travaglioso pellegrinaggio della vita. In verità la nostra misura è colma, il peso grave, l'assenzio dell'anima senza fine amaro. Io punto da diversa voglia continuerò a ricercare nelle ceneri dei padri, a interrogarne i sepolcri. Ah! padri miei, voi premete un duro guanciale di terra; voi preme una grave coltre di terra; — voi forse ora siete tutta terra... e nonpertanto v'invidio perchè riposate.
Il magistrato dei Signori ebbe origine antica, fu ordinato nel 1282; — dapprima erano tre, poi sei, essendo la città divisa in sestieri; alla fine otto, quando la ridussero a quartieri. Ma, siffatto magistrato non bastando a frenare la prepotenza dei nobili, crearono nel 1292 il gonfaloniere di giustizia, al quale dettero sotto venti bandiere mille uomini, onde si trovasse sempre parato a favorire le leggi. Primo eletto fu Ubaldo Ruffoli; e trasse per la prima volta fuori il gonfalone per disfare le case dei Galletti, avendo uno di quella famiglia ucciso in Francia un popolano. Il gonfaloniere e la Signoria esercitavano, da principio, grandissimo potere, stando nella facoltà di quelli fare o non fare quanto loro meglio piacesse. Dal 1494 insino al 1512, e dal 1527 al 1530 poi, sibbene il Consiglio Grande fosse vero e legittimo signore, nondimeno cotesti due magistrati ritenevano gran parte della sua autorità. Uscito fuori dal bisogno e per avventura dall'ira, cotesto ufficio riunì un tempo entrambi i poteri che noi diciamo deliberativo ed esecutivo; in seguito, procedendo nella scienza di governare lo stato, l'autorità del deliberare fu, come si doveva, restituita ad ampia assemblea, ed essi ritennero il potere esecutivo, il quale nondimeno divisero in altri magistrati subalterni, come sarebbe a dire i Dieci, ai quali commisero l'incarico di vigilar su le cose della pace e della guerra, i Nove preposti a provvedere alle milizie del contado, gli Otto all'amministrazione della giustizia criminale, ed altri ad altre cose.
Dopo la Signoria, nel reggimento della Repubblica Fiorentina comparivano notabili i sedici gonfalonieri. È incerto se Giano della Bella nel 1292, o il cardinale da Prato, mandato nel 1303 da papa Benedetto XI a pacificare