L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
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Читать онлайн книгу L'assedio di Firenze - Francesco Domenico Guerrazzi страница 54
«Silenzio a tutti!» balzando in piede dal suo seggio prorompe il Carducci.» Non è luogo questo, nè qui foste adunati per celebrare o riprendere le azioni dei cittadini. Il predicatore al mortorio preconizzerà il defunto messere Nicolò; la storia lo giudicherà nei suoi volumi. Ambasciatori, esponete.»
«Quantunque», con voce concitata incominciò a favellare Iacopo Guicciardini, «a noi fosse più grave patirli che a voi ascoltarli, ci sia non pertanto permesso di tacere gli strazii vergognosissimi co' quali papa Clemente, il dabben cittadino, intese a renderci contennendi davanti i maggiori baroni della cristianità adunati a Bologna per la incoronazione dell'imperatore. Noi non mancammo, a seconda delle istruzioni ricevute, di visitare i cardinali Farnese, Santa Croce e Campeggio; in particolare colloquio raccomandammo la Repubblica al gran cancelliere, ma, secondo il costume di corte, avemmo cerimonie e c'industriammo ottenere la udienza promessa dal maggiordomo maggiore. Dopo lungo aspettare per bene quattr'ore, vilipesi e derisi nelle anticamere, fummo licenziati a cagione che, essendo sopravvenuto a Sua Maestà un subito negozio, non poteva darci ascolto[128]. Non mancammo però di complire monsignore di Nassau, il quale, poco intendendo, meno facendosi intendere, non so se per dileggio o per ignoranza, rispose non bisognare intercessione, però che il papa, essendo dei nostri, avrebbe certamente adoperata benignità alla sua patria. Don Francesco di Covos, commendatore maggiore di Lione, invece di confortarci, ci minacciava guai, se non avessimo convenuto con Sua Santità e presto. — Ah! cittadini miei, quanto io ami la patria, sapete; i sagrifizi che io sono pronto a fare per lei potrete uguagliare, non superare. A me poco premono gli averi, la vita nulla: e nondimanco io torrei piuttosto danni anche maggiori, se maggiori si possono apportare all'uomo, che soffrire un'altra volta tormento come questo, senza pari nel mondo. Per compire intiero l'ufficio doloroso, non volemmo tralasciare il confessore di Cesare, il quale distintamente ci rispose avere Sua Maestà fatto consigliare questa causa, tenerla giusta, tanto più poi persuadendola il vicario di Cristo e cittadino della nostra città; per la quale cosa doveva presumersi fosse non pure giusta, ma pia; inoltre avere Cesare obbligata la sua parola e non esserle per mancare giammai, sapendo egli confessore che Cesare era quanta fede fosse nel mondo. Ancora disse che la città, per avere stretto lega co' Francesi e mandato gente al campo di Lautrec a sovvenirlo nella impresa di Napoli, doveva considerarsi decaduta dai privilegi concessi dai passati imperatori.»
Un turbine di grida interuppe l'oratore, che si rimase con labbra tremanti, ansioso di proseguire; e alla domanda di Dante da Castiglione, la quale, malgrado il trambusto, gli percosse piena le orecchie al modo di tuono:
«E con qual fronte sosteneva costui siffatte scelleratezze?»
«Con fronte da frate», rispose il Guicciardino, «e con atti tali che sembrava crederle come appunto le diceva. Ma loro io non incolpo; — ai nemici non bisogna chiedere nulla: ben io mi dolgo e in pieno consiglio ricordo, affinchè i padri insegnino ai figli, i figli ai nipoti, ad abborrire eternamente i nomi dei cardinali Ridolfi, Salviati e Gaddi, fiorentini tutti, alla patria spietati, solo di sè curanti, nè a fame nè a lacrime e nè a disperazione credenti, purchè la mensa abbiano di vivande preziose imbandita e ascoltino i motteggi dei loro buffoni[129] o i suoni dei musici. Dalle istanze supplichevoli, dagli umili scongiuri che cosa acquistammo noi? Stolti conforti, come la gente chiericuta costuma di rassegnarci ai divini voleri, quasi Cristo predicatore alle turbe della libertà potesse mai volere schiavi i suoi figliuoli! — Ma qual bestemmia mi usciva di bocca? Io ti domando perdono, Gesù crocifisso, signore e padre della Fiorentina Repubblica. Tu nulla hai di comune con i preti di Roma; quando te invocano, quando te rammentono, certo col tuo stesso nome vogliono significare qualche altro Dio. Tu versasti il tuo sangue prezioso per la salute degli uomini, — i preti hanno raccolto quel sangue e lo hanno ministrato ai popoli misto di veleno...»
E proseguiva con inestimabile dolcezza di quanti Piagnoni si trovavano nella sala, i quali, ricordando il fiero piglio di frate Girolamo e quel suo ardente predicare, già cominciavano a singhiozzare sommessi, ed era da temersi che all'improvviso cadendo in ginocchio non prorompessero nelle voci di viva Cristo, e cantassero in coro la strana canzone del Benivieni:
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