Novelle e riviste drammatiche. Arrigo Boito
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—Povero Oncle Tom! Quel suo fratello a quest'ora potrebbe già essere stato decapitato dalla ghigliottina di Monklands. Le ultime notizie delle colonie narrano d'una tremenda sollevazione di schiavi furiosamente combattuta dal governatore britannico. Ecco intorno a ciò cosa narra l'ultimo numero del Times: "I soldati della regina inseguono un negro di nome Gall-Ruck che si era messo a capo della rivolta con una banda di 600 uomini ecc. ecc."
—Buon Dio!—esclamò uno voce di donna,—e quando finiranno queste lotte mortali fra i bianchi ed i negri?!
—Mai!—rispose qualcuno dal buio.
Tutti si rivolsero verso la parte di chi aveva profferito quella sillaba. Là v'era sdraiato su d'una poltrona, con quella elegante disinvoltura che distingue il vero gentleman dal gentleman di contraffazione, un signore che spiccava dall'ombra per le sue vesti candidissime.
—Mai,—riprese quando si sentì osservato,—mai, perché Dio pose odio fra la razza di Cam e quella di Iafet, perché Dio separò il colore del giorno dal color della notte. Volete udire un esempio di questo antagonismo accanito fra i due colori?
—Tre anni fa ero in America e combattevo anch'io per la "buona causa", volevo anch'io la libertà degli schiavi, l'abolizione della catena e della frusta, benché possedessi nel Sud buon numero di negri. Armai di carabine i miei uomini, dicendo loro: «Siete liberi. Ecco una canna di bronzo, delle palle di piombo; mirate bene, sparate giusto, liberate i vostri fratelli». Per istruirli nel tiro avevo innalzato un bersaglio in mezzo ai miei possedimenti. Il bersaglio era formato da un punto nero, grosso come una testa, in un circolo bianco. Lo schiavo ha l'occhio acutissimo, il braccio forte e fermo, l'istinto dell'agguato come il jaguar, in una parola tutte le qualità del buon tiratore, ma nessuno di quei negri colpiva nel segno, tutte le palle escivano dal bersaglio. Un giorno, il capo degli schiavi, avvicinandosi a me, mi diede nel suo linguaggio figurato e fantastico questo consiglio: "Padrone, mutate colore; quel bersaglio ha una faccia nera, fategli una faccia bianca e colpiremo giusto". Mutai la disposizione del circolo e feci bianco il centro; allora su cinquanta negri che tirarono, quaranta colsero così….,—e dicendo queste ultime parole il raccontatore prese una pistoletta da sala ch'era sul tavolo, mirò, per quanto l'oscurità glielo permise, ad un piccolo bersaglio attaccato al muro opposto e sparò. Le signore si spaventarono, gli uomini corsero alla fiamma del samovar, la presero e andarono a constatare da vicino l'esito del colpo. Il centro era forato come se si fosse tolta la misura col compasso. Tutti guardarono stupefatti quell'uomo, il quale con una squisita cortesia domandò perdono alle dame della repentina esplosione, soggiungendo:—Volli finire con una immagine un po' fragorosa, altrimenti non mi avreste creduto.
Nessuno ardì dubitare della verità del racconto.
Poi continuò:—Ma combattendo per la libertà dei negri, mi sono convinto che i negri non sono degni di libertà. Hanno l'intelletto chiuso e gli istinti feroci. Il berretto frigio non dev'esser posto sull'angolo facciale della scimmia.
—Educateli—rispose una signora—e il loro angolo facciale si allargherà. Ma perché ciò avvenga non opprimeteli, schiavi, con la vostra tirannia, liberi, col vostro disprezzo. Aprite loro le vostre case, ammetteteli alle vostre tavole, ai vostri convegni, alle vostre scuole, stendete loro la mano.
—Consumai la mia vita a ciò, signora. Io sono una specie di Diogene del Nuovo Mondo: cerco l'uomo negro, ma finora non trovai che la bestia.
In questo momento comparve sull'uscio un cameriere con una gran lampada accesa; tutta la sala fu rischiarata in un attimo. Allora si vide in un angolo, seduto, immobile, l'Oncle Tom. Nessuno sapeva ch'egli fosse nella sala, l'oscurità l'aveva nascosto; quando tutti lo scorsero fecesi un lungo silenzio. Gli sguardi degli astanti passavano dal negro all'Americano. L'Americano s'alzò, parlò all'orecchio del cameriere e tornò a sedersi. Il silenzio continuava. Il cameriere rientrò con una bottiglia di Xeres e due bicchieri. L'Americano riempì fino all'orlo i due bicchieri, ne prese uno in mano; il cameriere passò coll'altro dal negro.
—Signore, alla vostra salute!—disse l'Americano al negro, alzando il bicchiere verso di lui come insegna il rito della tavola inglese.
—Grazie, signore; alla vostra!—rispose il negro e bevettero tutti e due. Nell'accento del negro v'era una gentilezza tenera e timida e una grande mestizia. Dopo quelle quattro parole si rituffò nel suo silenzio, s'alzò, prese dal tavolo de' giornali l'ultimo numero del Times e lesse con viva attenzione per dieci minuti.
L'Americano, che cercava un pretesto per ritentare il dialogo, si diresse verso l'angolo dove leggeva Tom, e gli disse con delicata cortesia:—Quel giornale non ha nulla di gaio per voi, signore; potrei proporvi una distrazione qualunque?
Il negro cessò di leggere e s'alzò con dignitoso rispetto davanti al suo interlocutore.
—Intanto permettete ch'io vi stringa la mano,—riprese l'altro;—mi chiamo sir Giorgio Anderssen. Posso offrirvi un'avana?
—Grazie, no; il fumo mi fa male.
Allora l'americano, gettando lo zigaro che teneva fra le labbra, tornò a dimandare:
—Posso proporvi una partita al bigliardo?
—Non conosco quel giuoco; vi ringrazio, signore.
—Posso proporvi una partita agli scacchi?
Il negro titubò, poi rispose:—Sì, questa l'accetto volentieri,—e s'avviarono ad un piccolo tavolo da giuoco che stava all'angolo opposto della sala; presero due sedie, si sedettero l'uno di fronte all'altro. L'Americano gettò i pezzi e le pedine sul panno verde del tavolino per distribuirli ordinatamente sulla scacchiera. La scacchiera era un'arnese qualunque a quadrati di legno grossamente intarsiati, ma gli scacchi erano dei veri oggetti d'arte. I pezzi bianchi erano d'avorio finissimo, i neri d'ebano, il re e la regina bianchi portavano in testa una corona d'oro, il re nero e la regina nera una corona d'argento, le quattro torri erano sostenute da quattro elefanti come nelle primitive scacchiere persiane. Il lavoro sottile di questi scacchi li riduceva fragilissimi. All'urto che presero quando l'Americano li riversò sul tavolo, l'alfiere dei neri si ruppe.
—Peccato!—disse Tom.
—È nulla,—rispose l'altro;—s'aggiusta subito.—E s'alzò, andò allo scrittoio, accese una candela, pigliò un pezzo di ceralacca rossa, la riscaldò, intonacò alla meglio i due frammenti dell'alfiere, li ricongiunse e riportò al compagno lo scacco aggiustato. Poi disse ridendo:—Eccolo! se si potesse riattaccare così la testa agli uomini!
—Oggi