Beatrice Cenci: Storia del secolo XVI. Francesco Domenico Guerrazzi
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[13] La dote di Luisa Vellia, moglie di don Giacomo Cènci, fu di scudi diecimila, come si ricava dal chirografo del luglio 1600 col quale Clemente VIII conferisce facoltà a Monsignore Taverna di transigere le liti dei Cènci: et præsertim quod ejus dotem scutorum 10m. eidem Jacobo præsolutam usque modo recuperare minime potuit.
[14] Riccardo Cuore di Leone della iniqua sua stirpe diceva: «Non esse mirandum si de tali genere procedentes mutuo se infestent tanquam de diabolo revertentes, et ad diabolum transeuntes. BROMTON apud MICHELET, Storia dei Francesi, t. III p. 379.—Le infamie della famiglia dei Cènci, pur troppo in cotesti tempi comuni a parecchie famiglie d'Italia, assai si rassomigliano a quelle dei Plantageneti. La barbarie, o la società corrotta sogliono partorire i medesimi frutti. Onde non paia, che per noi la malvagità umana venga esagerata, leggasi la famiglia Plantageneta qual fosse, secondo che ci racconta il medesimo MICHELET nel luogo citato: «Fu casa piena di sangue, e di perfidia. Certa volta, che il re Enrico venne a conferenza co' figli suoi, i soldati loro trassero le armi contro di lui. I figli di Guglielmo il Conquistatore più di una volta nel paterno petto puntarono la spada. Folco aveva messo il piè sul collo al figlio debellato. La gelosa Eleonora, veemente e vendicativa come donna di paese meridionale, coltivò la turbolenza e la ribellione dei figli educandoli al parricidio. Questi figli, nei quali si mescolava il sangue di tante diverse razze normanna, aquitana e sassone, pareva riunissero, oltre l'orgoglio dei Folchi di Angiò e dei Guglielmi d'Inghilterra, tutte le opposizioni, gli odii e le discordie delle razze donde uscivano. Non seppero mai se derivassero da mezzogiorno, o da tramontana: quello che sapevano si era, che uno odiava l'altro, e il padre odiavano più di tutti. Riandando la genealogia loro incontravano in qualunque grado o stupro, o ratto, o incesto, o parricidio. Un santo uomo profetò all'avo di costoro, quando certa femmina rapita al suo consorte gli partorì Eleonora: «da voi non può nascere nulla di buono». Eleonora fu druda del padre di Enrico III, e i figli ch'ella ebbe da questo correvano pericolo di trovarsi fratelli del proprio padre. Intorno a lui citavano il detto di santo Bernardo: «dal diavolo viene, al diavolo ritornerà.» Riccardo, uno di questa stirpe, affermava altrettanto. Quando un Chierico con la croce in mano andò a scongiurare Goffredo di riconciliarsi col padre, e non imitare Assalonne: «E che? rispose il giovane, vorresti tu ch'io mi spogliassi del mio diritto di nascita?» A Dio non piaccia, signor mio, rispose il Sacerdote; io non voglio cosa, che vi apporti danno. «Tu non comprendi le mie parole, soggiunse il Conte di Brettagna; è destino della nostra stirpe odiarci, e veruno di noi renunzierà a questo retaggio». Correva certa tradizione popolare intorno ad una antica contessa di Angiò ava dei Plantageneti, la quale era questa: suo marito, dicevano, aveva notato che di rado andava a messa, e sempre usciva alle segrete: deliberò pertanto di farla tenere in quel punto da quattro scudieri: ma ella lasciò loro il mantello nelle mani, e volò via dalla finestra senza comparire più». Nei tempi in cui visse Francesco Cènci, per tacere di moltissimi fatti, Darnley re di Scozia ammazza Riccio in camera di sua moglie Maria Stuarda la quale adultera con Bothwell, e fa ammazzare il marito Darnley. Elisabetta commette ad Amia Paulet avvelenare Maria Stuarda; questa consente, che Elisabetta venga trucidata da Sauvage, ed altri sei gentiluomini. Enrico III fa scannare a tradimento il Duca, e il Cardinale di Guisa. Filippo II commetteva ad Antonio Perez suo ministro l'omicidio di Escovedo segretario di Don Giovanni di Austria; e basta. Ora quando i principi sono violenti, traditori, fedifraghi, qual maraviglia è mai che i sudditi gl'imitino? Il pesce incomincia a infracidire dal capo, dice il proverbio greco, e due esempii buoni fanno più profitto di una dozzina di ammonimenti.
[15] La empietà dei Cènci non era derivata da una sola setta, bensì partecipava di tutte, e ne aggiungeva di suo. Lo spregio dell'ostia sembra che lo imparasse dagli Albigesi, specie di Manichei di Linguadoca, i quali «annullavano i sacramenti della Chiesa così alla ricisa, che pubblicamente insegnassero: non correre divario alcuno fra l'acqua del battesimo, e quella del fiume; l'ostia del santissimo corpo di Gesù Cristo pane comune, insinuando alle orecchie dei semplici questa bestemmia orribile: che quando ancora il corpo di Gesù Cristo fosse stato grande come le Alpi, da lungo tempo l'avriano logoro tutti quelli che ne avevano mangiato ec. Estratto di un antico registro della Inquisizione di Carcassona apud MICHELET, Op. cit. t. III, p. 417.—Ma figlia del perverso pensiero del Conte Cènci era la empietà, che si affaticava stillare nell'animo di Beatrice, per vincere il suo errore da commettere incesto, come dal connubio del padre con la figliuola nascessero santi; anzi i maggiori santi, che sieno vissuti nel mondo, avere avuto per padre il proprio nonno. Manoscritto intorno alla scellerata vita, e miserabile morte del conte Francesco Cènci—presso di me—p. 2.
CAPITOLO VIII.
DISPERAZIONE.
Che fai? Che pensi? A che pur dietro guardi
Nel tempo, che tornar non puote omai,
Anima sconsolata!….
Cerchiamo il ciel, se qui nulla ne piace.
PETRARCA.
Il vento di scilocco umido e grave soffia dalla marina, spingendo contro Roma nuvole sopra nuvole, che si succedono paurose e sinistre come i cavalli dell'Apocalisse. Coteste nuvole sono pregne d'ira di Dio, però che portino in grembo la gragnuola, la malaria, e forse il fulmine per qualche testa consacrata. Intanto a quel soffio molesto i corpi s'indeboliscono, e s'irritano; le pareti e le masserizie grondano umidità; i capelli si attaccano giù alle guance; intorno al collo ti reca fastidio un senso di freddo sudore: le anime facilmente trascorrono alla ira, le parole suonano amare, le voci più dolci ci rabbrividiscono come il raschiare dei marmi, o il disanellare dei chiavacci:—invenzioni infernali! Stando chiusi ti opprime l'affanno; aprendo le finestre fogli, panni ed oggetti altri siffatti si aggirano a rifascio per tutta la casa; oltre la polvere fine che penetra nei capelli, nelle pieghe della camicia, e logora gli occhi. Durante simile notte, entro povera stanza si trattenevano ragionando moglie e marito: in mezzo a loro era posta una tavola rozza di legno bianco senza tingere, e su la tavola si consumava tristamente, a modo di tisico, una candela di sego, scarsa a rischiarare il luogo, e non per tanto bastevole a palesare scambievolmente le loro sembianze. Quelle dell'uomo erano abbattute; aveva il braccio steso su la tavola, e la mano giù penzoloni, come persona scorata; la donna attrita dai patimenti, ma con un tal quale piglio di fierezza romana, che in quel punto si faceva più manifesto, imperciocchè sembrasse aver udito o sofferto cose che l'accendessero tutta. Infatti con gesti e voce impetuosi ella diceva:
—No, voi non mi darete ad intendere queste scelleratezze mai… Ma che vi pare egli? fermerebbero il sole…
L'uomo era Giacomo Cènci, la donna Luisa Vellia. Giacomo, come avvertimmo, toccava appena gli anni ventisei; di persona era piuttosto grosso e corto, che no; ma adesso dimagrato fuori di modo. Crebbe alla scuola dei crucci paterni; e, male istruito nelle discipline gentili le quali hanno virtù di mansuefare il cuore, sarebbe per avventura, in forza del tristo esempio, riuscito poco dissimile dal padre, se lo amore non avesse inspirato tempestivamente nell'anima sua dolcissimo affetto. S'invaghì di Luisa leggiadra e valorosa fanciulla, ma di piccolo, quantunque agiato, lignaggio; ed ella gli corrispose non perchè appartenesse a potente famiglia, ma perchè lo sapeva fuori di misura infelice.
Così