Fiore di leggende. Anonymous
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Tutta la gente, che d'intorno stava, cridavan:—Viva il cavalier vermiglio!—e la donzella si maravigliava, e colle dame faceva consiglio: ed in quel punto nel suo cuor pensava: —Sed e' ci torna, io gli darò di piglio!— E dice a l'altre:—Deh! guatate donde dello stormo esce e dove si nasconde.—
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La Fata bianca, al cavalier pensando, addormentar non si puote la notte, e nel suo cuore giva immaginando: —Chi sare' que' che vien pure a sodotte? Quando lo stormo ha vinto, tal domando, par che nascoso sia sotto le grotte! Il cuore in corpo tutto mi si strugge di voglia di saper perché si fugge.
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E uno pensier nel core levo adesso: sarebbe questi il mio antico sposo? Io lo 'nprometto a Dio, che, se fosse esso, altro marito che lui i' tôr non oso, conciosacosa ch'io gliel'ho inpromesso: senza lui ma' non credo aver riposo.— E disse:—Signor mio, datemi grazia, ch'io abbia del suo amor la mente sazia!—
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E, quando il giorno chiaro fu apparito, fece sonar le trombe e li stormenti. I cavalieri furno al cerchiovito, e molti fan pensier d'esser vincenti. A tanto giunge il cavaliere ardito, ciò fu il soldan, con altri sofficienti, che per un suo nipote combattea, che per marito a lei darlo credea.
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Quando le schiere furon tutte fatte, presente quella ch'è cotanta chiara, il soldan, che in sul campo combatte, fa tristo quel che innanzi gli si para, però che del destrier morto l'abatte, e tal ventura a molti costa cara. E molta gente gli fuggiva innanzi, sicché è mestier che tutti gli altri avanzi.
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Veggendo la donzella che il soldano gli altri baron di prodezza avanzava, pensando aver per marito un pagano, nella sua mente forte dubitava, e spesse volte a l'alto Iddio sovrano nella suo mente si raccomandava, e dicea:—Signor mio, se t'è in piacere, fa' ritornare il franco cavaliere!—
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E lo Bel Gherardino niente tarda; coll'arme bianca uscíe della trabacca. E la donzella, che da lunge il guarda, che correndo il cavallo venne in stracca, fra l'altre dice, di color gagliarda: —Questo soldano ci è omai per acca, ch'io veggio il cavalier, ch'è cosí franco, a lo stormo tornar vestito a bianco.—
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Come a lo stormo il Bel Gherardin giunse, riconobbe il soldano a l'armadura, e 'l buon destriero degli sproni punse: abbassa l'asta e inver' di lui procura, e co' la lancia in tal modo l'aggiunse, che il fe' cadere in su la terra dura. E, qui ismontando, di franchezza giusto, e' tagliolli la testa da lo 'nbusto.
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E rimontò a cavallo arditamente; piú presto che non fu giammai levriere, innanzi li fuggia tutta la gente, gridando:—Viva il franco cavaliere!— Cosí del campo rimase vincente, come il lion, signor de l'altre fiere. Incoronato insieme fue co' lei, con tal onor che contar nol potrei.
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Po' ch'a la Fata ebbe dato l'anello, gran festa fae che l'hae ricognosciuto. E la serocchia diede a Marco Bello, ed hallo sempre con seco tenuto. E quella del soldan diede a un donzello di gran legnaggio, cortese e saputo; e novanta anni vivette signore. Questo canto è compiuto al vostro onore.
II
PULZELLA GAIA
CANTARE PRIMO
1
Intendete me ora tutti quanti in cortesia ed in buona ventura: dire vi vo' de' cavalieri erranti, ch'al tempo antico andava all'avventura. In corte allo re Artú sedean davanti, secondo come parla la scrittura, incominciando di messer Troiano, che fece un vanto con messer Galvano.
2
Messer Troiano disse:—O compagnone con teco i' voglio impegnare la testa, chi addurrá piú bella cacciagione di nullo cavalier di nostra gesta.— Quando elli fecion la impromissione, al re e alla reina fe' richiesta; e ciaschedun la lesta sí impegnava, chi cacciagion piú bella appresentava.
3
Entrati i cavalieri a quelle imprese, inverso 'l bosco preson lor cammino. Messer Troiano una cerva sí prese, ch'era piú bianca di un armellino. E tuttavia la menava palese: veder la potea grande e piccolino. Davanti lo re Artú saluta e inchina; poi presentolla a Ginevra regina.
4
Messer Galvan cavalca alla boscaglia: allo levar del sole ebbe trovato una serpe, che 'l chiese di battaglia; sopra lo scudo ella li s'ha gittato. Messe mano alla spada, che ben taglia, credélla aver ferita nel costato: la serpe, che sapeva ben scremire, messer Galvan non la puote ferire.
5
Infin a mezzogiorno ha contrastato messer Galvan con quella sozza cosa; un solo colpo non li può aver dato, tant'era quella serpe poderosa. L'elmo e lo scudo aveva infiammato; messer Galvano non trovava posa. Messer Galvano disse:—Aimè lasso! che sozza cosa m'ha condotto al basso!—
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Messer Galvano a terra si smontava, e disse:—Lasso! ch'io mi rendo morto. La serpe andava a lui e sí parlava, e disse:—O cavalier, prendi conforto.— E dolcemente lei lo addimandava: —Dimmi la veritade, o giglio d'orto, per cortesia e per amor di donna: saresti della Tavola ritonda?—
7
Messer Galvano allor li rispondía, e nello cuore avea fuoco ed ardura; delle man per lo viso e' si fería, vedendo quella sí sozza figura: —Della Tavola esser mi credía; or non son piú, per la disavventura, a dir ch'io sia, e non avere ardire sí sozza cosa conduca al morire!—
8
La serpe disse:—Deh! non ti sdegnare, o cavaliero, se tu non m'hai morta. Quanti n'è qui e n'è di lá dal mare de' piú pro' cavalieri che arme porta, un solo colpo non mi potria dare, tanto io sono poderosa e accorta. Giá piú di mille aggio discavalcati: tu se' lo fior di quanti n'ho trovati.—
9
Disse messer Galvano:—Io non mi sdegno se non per tanto ch'io non ho la morte, da poi che piace all'alto Dio del regno che la sventura mia sia tanto forte, che cosí sozza cosa con suo ingegno m'abbia condotto a cosí mala sorte. Dammi la morte e piú non indugiare, ch'io non ti vo' veder piú, né parlare.—
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La serpe disse:—O sire, in cortesia, dimmi 'l tuo nome e non me lo celare; ch'è un gentil cavaliere in fede mia, che lungo tempo l'ho avuto a amare. Se tu se' desso, o dolce anima mia, di ricche gioglie t'averò a donare; che mai piú ricca gioglia né piú bella non ebbe cavalier che monti in sella.—
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Messer