Fiore di leggende. Anonymous
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E la reina disse a tutti quanti: —Lo bando della corte ora intendete, conti e baroni e cavalieri erranti, piccoli e grandi, quanti voi qui sète. Ciascheduno che s'hanno dato vanti, il terzo giorno a me ritornerete. Chi s'è vantato, e nol possa provare, tosto la testa li farò tagliare.—
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La baronia di corte fu partuta; messer Galvano in suo zambra fu ito, ed all'anello disse:—Ora m'aiuta! tosto ti muovi, o messaggiero ardito, e la Pulzella Gaia mi saluta: di' ch'ella vegna col viso chiarito.— La vertú dell'anello era mancata, per quella gioia c'ha manifestata.
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Messer Galvano forte lagrimava,
e disse:—Lasso! ch'io mi rendo morto.—
E a quell'anello pur si richiamava:
—Di quel ch'io dissi i' non mi fui accorto!—
e fortemente lui lo scongiurava:
—Or mi soccorri, ch'io son a mal porto!—
All'anel non valea lo scongiurare,
ché piú vertude e' non poteva fare.
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E 'l terzo giorno disse la regina:
—Ciascuno del suo vanto sia fornito.—
Messer Galvan di pianger non rifina,
e nello viso tutto era smarrito.
E sí chiamava:—O giovane fantina,
Pulzella Gaia dal viso chiarito:
se a te pur piace ch'io non sia morto,
ora mi scampa, ch'io son a mal porto!—
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Del terzo giorno fu il termin passato, all'anel non valea lo scongiurare; e per Galvano allora fu mandato, che tosto ei si dovesse apparecchiare venire a corte, dove è giudicato che a lui bisogna la testa tagliare. Drappi di seta nera ei s'è vestito: messer Galvano alla corte fu ito.
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Disse lo re Artú:—Vegnami avanti lo ciocco, e la mannaia, e la mazza, con i baroni e cavalieri erranti, e tosto tutti vadan ver' la piazza.— Piangendo se ne andavan tutti quanti; messer Galvano ciascuno sí abbraccia. Donne e donzelle, tutte allor piangea d'un sí pro' cavalier ch'elli perdea.
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Messer Galvan, lo nobile barone, lo ciocco e la mannaia lui portava; e questo fea perch'elli era ragione; ed aveal tolto a colui che 'l guidava, dicendo:—Poi ch'i'ho fatto tradigione alla Pulzella, che tanto mi amava, dappoi ch'i'ho fallato allo mio amore, ben è ragion ch'io muora con dolore.—
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Messer Galvano alla piazza ne andava: di seta un drappo li fu appresentato. Messer Galvano suso si montava, lo ciocco e la mannaia have posato. Tutti li cavalier gran duol menava del buon Galvano, cavalier pregiato; e poi ciascuno indrieto torna presto: sua cruda morte non vuol aver visto.
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Messer Galvano sí prese a parlare, e disse allo re Artú:—Or m'intendete: la baronia fate presto tornare; questa grazia, per Dio, mi concedete! Da tutti quanti mi vo' accombiatare; sarò contento, se 'l don mi farete. Tutti i baroni che son scritti in corte sí vegnano a vedere la mia morte.—
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Lo re Artú sí li fece tornare; tutti a messer Galvan furono intorno; e tutti quanti aveano a lagrimare, e da messer Galvan s'accombiatôrno. Messer Galvano si prese a parlare: —Della mia morte non sono musorno. L'anima mia ne raccomando a Dio: morir vo', giacché piace all'amor mio.—
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Galvano al ciocco allor s'inginocchiava, e sí chiamava:—O rosa imbalconata, poi che t'è a grado, morir non mi grava, la mia morte si fu ben meritata. Merta morire mia persona prava. Dove sei tu, o donna delicata? Pure una volta veder ti vorria; poi di morir non mi rincresceria.
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Allora la Pulzella con pietade, per camparlo da morte e darli vita, tosto sí corse inver' quelle contrade; drappi di seta nera fu vestita. Molto gioiosa per quei sentier vade; mai non fu vista donzella sí ardita. E, per camparlo, lei si messe in via con molta gente e gran cavalleria.
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E la Pulzella fece suo' richieste, ben trentamila giovani donzelle; tutte di seta nera fûr suo' veste, e quelle eran lucenti piú che stelle; e via cavalcan per ogni foreste. Ben eran venti schiere tutte belle; ciascuna aveva mille cavalieri, e buone arme e correnti destrieri.
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Allora la Pulzella molto presta tostamente cavalca in quella parte, appresso a Camellotto senza resta, secondo come dicono le carte; tamburi e trombe, che parea tempesta; e queste gente fea venir per arte. Lo re Artú, quando questo ascoltava, al buon Galvano la morte indugiava.
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Tutti li cavalier della ventura vedere andavan quella turba magna. Tosto elli corson, preson l'armadura, e cavalcâro verso la campagna. Di quella gente avevan gran paura, che coverto era 'l piano e la montagna. Messer Galvan davanti dalle schiere feridor lui vuoi esser lo primiere.
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Pulzella Gaia sua magna bandiera in questa ora lá fece fermare. Quando lá apparve la chiarita spera, tutta la gente fe' meravigliare. E lei si trasse fuori d'ogni schiera, e fortemente prese a biastemare: —O cavalier, cattivo e disliale, che l'alto Iddio si ti metta in male!
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O dislial, perché m'hai palesata? Mala ventura a chi ti cinse spada! La piú gentil donzella hai ingannata che si trovasse per ogni contrada; onde per te io sono imprigionata; ben vo' morir, dappoi ch'ella t'aggrada. Mia madre mi dará prigion sí forte, che meglio mi saría aver la morte.—
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E l'uno e l'altro sí forte piangía, e intrambi duo sí si abbracciava. Lo re, tutta la corte li vedia, di suo' bellezze si meravigliava. E la Pulzella Gaia in quella dia dal buon Galvano sí s'accombiatava. E disse:—Amanza ti convien trovare: piú non potra'mi veder né parlare.—
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Pulzella Gaia di qui fu partuta, e ritornò alla savia Morgana. Quando la madre allora l'ha veduta, sí li disse:—Or donde vieni, puttana?— E po' in prigione lei l'ebbe mettuta in una torre, ch'è tanto sottana; non vedea luce, sol, luna né stelle, e stava in acqua fino alle mammelle.
CANTARE SECONDO
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Lo re Artú al cavalier parloe, e disse:—Ahi, messer Galvan giocondo! piú bella amanza tu ingannasti mòe, ch'avesse cavalier di questo mondo. Piú lucente che stella questa foe,