I Robinson italiani. Emilio Salgari

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I Robinson italiani - Emilio Salgari

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      — Ai vostri posti, o vi faccio sentire come pesa quest'arma!... —

      L'equipaggio sapeva per prova, che il comandante non era uomo da scherzare. Dopo una breve esitazione tornò alle pompe, mentre due o tre altri marinai, che non potevano trovare posto alle traverse, s'impadronivano dei mastelli.

      La colonna di fuoco, dopo d'aver minacciato d'incendiare la gran gabbia, si era abbassata, rientrando a poco a poco nella stiva, ma dal boccaporto spalancato irrompevano, ad intermittenze, pesanti nuvoloni di fumo denso e nero che una calma assoluta manteneva quasi sopra la tolda, e nembi di scintille le quali s'alzavano lentamente, disperdendosi sui neri flutti dell'oceano.

      Passato il primo istante di terrore, tutti si erano messi alacremente al lavoro, sapendo che se non riuscivano a spegnere l'incendio una morte orribile li attendeva, non essendovi ormai a bordo più nessuna scialuppa.

      Le pompe funzionavano rabbiosamente senza posa, versando torrenti d'acqua nelle profondità ardenti della stiva, mentre gli uomini dei mastelli s'affannavano a vuotare i loro recipienti, avanzandosi fra il fumo e le scintille.

      Il capitano ed il secondo, ritiratisi a poppa, stavano abbattendo, a gran colpi di scure, una parte della murata di babordo. Pareva che avessero intenzione di allestire il materiale per la costruzione d'una zattera.

      Stavano per assalire la murata del cassero, quando un nuovo personaggio, uscito allora dal quadro, comparve sulla tolda.

      Era un uomo che aveva varcato la trentina di qualche anno, di statura bassa, un po' inferiore alla media, con petto assai sviluppato, larghe spalle e membra muscolose senza però essere grosse.

      Il suo viso largo, un po' angoloso, col mento appuntito, era pallido, leggermente abbronzato dalla salsedine del vento marino; la sua fronte ampia, appena segnata da una ruga precoce, indicava che quell'uomo era inclinato alla riflessione; i suoi occhi, sormontati da due sopracciglia folte, dall'ardita arcata, erano profondi, ma talora scintillavano e pareva allora che volessero penetrare nel più profondo dei cuori; le sue labbra strette, ombreggiate da un paio di baffi rossicci, indicavano che quello sconosciuto doveva possedere una incrollabile energia.

      Vedendo quelle nubi di fumo e quelle folate di scintille che s'innalzavano attraverso l'alberatura del veliero, e quei riflessi sanguigni che si proiettavano sul viso dei marinai, corrugò la fronte, ma senza manifestare alcuna impressione di terrore.

      — Un incendio? — diss'egli, volgendosi verso il capitano. — Se non mi svegliavo, mi lasciavate adunque arrostire tranquillamente nella mia cabina?

      — Siete voi, signor Emilio? — chiese il comandante sporgendosi dal cassero.

      — In persona, comandante.

      — Venite ad aiutarci, se vi preme la pelle.

      — La cosa è grave?

      — Gravissima, signore. La stiva è piena di fuoco e....

      — Che cosa?

      — Corriamo il pericolo di saltare in aria, — disse il capitano a voce bassa, per non farsi udire dai marinai.

      — Dite?...

      — Che vi sono sei quintali di polvere sotto il carico di cotone. —

      Colui che veniva chiamato il signor Emilio, trasalì, poi balzando sulla scaletta del cassero con un'agilità sorprendente, da farsi invidiare dal più svelto gabbiere di bordo, raggiunse i due comandanti.

      — Siamo nelle mani di Dio, adunque, — diss'egli, impugnando una scure.

      — Sì, e non so se avremo il tempo per finire la zattera.

      — Un tempo sono stato ufficiale di mare come voi, capitano e di tali costruzioni me ne intendo. In acqua la boma della randa e poi picchiamo dentro all'albero maestro. Ci potranno servire per un primo punto d'appoggio.

      — Ben detto, signor Emilio. —

      La boma, staccata alla base, fu gettata in mare tenendola attaccata ad un gherlino, poi i tre uomini assalirono vigorosamente l'albero maestro.

      Ormai non si illudevano più sulla salvezza del veliero. L'incendio, quantunque vigorosamente combattuto dall'equipaggio, il quale non cessava un solo istante dal manovrare le pompe, guadagnava rapidamente e minacciava l'intera alberatura.

      La grande fiamma, per un istante domata, tornava a irrompere attraverso il boccaporto, bruciando le vele ed i cordami. Da un istante all'altro poteva avvenire la spaventevole esplosione.

      Il capitano ed il secondo, pur continuando a maneggiare con furore le scuri, impallidivano a vista d'occhio ed anche il loro compagno cominciava a perdere la sua ammirabile calma. Vi erano certi momenti in cui s'arrestavano per tendere gli orecchi onde meglio raccogliere i sordi brontolii delle fiamme divoratrici o gli scricchiolii dei corbetti che si fendevano o il fragore dei puntali che cadevano a due a due per volta.

      — Presto!... presto!... — ripeteva il capitano.

      L'albero, reciso, ad un tratto oscillò con un lungo crepitìo, poi l'enorme tronco piombò sulla murata di babordo fracassandola e immerse nelle onde illuminate la punta dell'alberetto, seco trascinando pennoni, vele e cordami.

      Quasi nel medesimo istante una sorda detonazione echeggiò nel ventre infiammato del legno. Era scoppiata una parte della polvere?...

      Il capitano gettò un urlo d'angoscia.

      — Tutti in acqua!... La polvere! la polvere! la po.... —

      Non finì. Mentre alcuni uomini, più agili degli altri, balzavano sopra le murate, uno spaventevole scoppio rimbombò sul mare.

      Una fiamma gigantesca, livida, irruppe dal boccaporto; il ponte ed i fianchi del veliero si squarciarono con indicibile violenza e l'intera massa galleggiante fu sollevata sui flutti.

      Per alcuni istanti una enorme nuvola ondeggiò sull'oceano, poi una pioggia di rottami incandescenti piombò sulle onde sibilando, e la carcassa del veliero, sventrata, invasa dalle acque irrompenti attraverso alle squarciature, scomparve nei profondi baratri del mare di Sulu.

       Indice

      La Liguria era salpata da Singapur il 24 agosto del 1840 diretta ad Agagna, la città più popolosa delle isole Marianne, con un carico di cotoni lavorati, destinati ai capi di quelle isole ed una grossa partita d'armi e sei quintali di polvere per i presidii spagnuoli.

      Quantunque fosse stata varata in un cantiere genovese nove anni prima, era in quell'epoca ancora un bel veliero, saldo di costole, di forme eleganti come lo sono tutti i navigli che si costruiscono dai Liguri, con un solido sperone e portava splendidamente la sua alta alberatura da brigantino a palo.

      Il capitano Martino Falcone, uno di quei lupi di mare della riviera, pieno d'audacia e d'energia, l'aveva acquistato coi suoi risparmi, e da vero discendente del grande Colombo, aveva intrapreso le lunghe navigazioni, più pericolose sì ma ben più rimunerative del grande e piccolo cabotaggio.

      Formato un equipaggio

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