Dopo il divorzio. Grazia Deledda

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Dopo il divorzio - Grazia Deledda

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Costantino era stato trasportato alle giudiziarie di Cagliari; poi venne una sua lettera breve e triste. Diceva d'aver fatto buon viaggio, ma che a Cagliari si soffocava per il caldo, e che certi insetti rossi ed altri di vario colore lo tormentavano notte e giorno. Mandava un bacio al bambino, pregando Giovanna di allevare Martineddu nel santo timor di Dio. E salutava anche il suo amico Isidoro.

      Finita la Messa, zia Bachisia attese che il povero pescatore terminasse di cantare con la sua voce sonora le laudi sacre, per passargli i saluti di Costantino.

      Prete Elias rimase inginocchiato sui gradini dell'altare, pregando, col volto pallido estasiato; Isidoro continuava a cantare, ma la gente cominciò ad andarsene.

      Davanti a zia Bachisia passò zia Martina col suo passo fiero di cavalla vecchia ma ancora indomita: passò Brontu, vestito di nuovo, coi capelli lucidi di grasso (egli parlava male dei preti, ma la domenica andava alla messa) e passò Giacobbe, con un paio di calzoni di tela nuova, rude, non lavata, che puzzavano ancora di bottega.

      Isidoro continuava a cantare.

      La chiesa finì col restare quasi deserta ed egli cantava ancora. La sua voce sonora risuonava fra le bianche pareti polverose, sotto il tetto composto di travi e di canne, fra gli altari umili, coperti di rozze tovaglie, adorni di fiori di carta, su cui guardavano melanconici santi di legno colorato.

       Quando zio Isidoro finì di cantare non c'era più nessuno tranne il sacerdote e un ragazzo che finiva di smorzare i lumi, zia Bachisia e un vecchio cieco.

      Isidoro dovette ripetere da solo il ritornello delle laudi, poi si alzò, depose il campanello del quale si serviva per segnare le poste del rosario, e s'avviò. Zia Bachisia l'aspettava vicino alla porta; uscirono assieme ed ella gli diede i saluti di Costantino, poi gli chiese un favore; di pregare prete Elias perchè si degnasse d'andare a trovar Giovanna e farle una predica onde distoglierla dalla sua disperazione.

      Egli promise e zia Bachisia si allontanò; nello stradale fu raggiunta da Giacobbe Dejas che era rimasto sull'alta spianata della chiesa guardando il villaggio ed i campi gialli inondati di sole.

      — Come state? — chiese il servo a zia Bachisia.

      — Ah, Dio mio, stiamo male senza esser malate! E tu come ti trovi coi nuovi padroni?

      — Ah, ve l'ho già detto! Son caduto dalla padella nella brace. La vecchia è avara come il diavolo; vorrebbe che mi cascassero le viscere a furia di lavorare, e mi permette di tornare in paese, appena per ascoltar la Messa, ogni quindici giorni.

      — E il padrone?

      — Ah, il piccolo padrone? È un animale, ecco tutto!

      — Cosa dici tu, Giacobbe?

      — Ecco, dico la verità, uccellino di primavera. Egli si arrabbia come un cane per ogni piccola cosa, si ubriaca, ed è bugiardo come il tempo. Ecco, anzi Isidoro Pane vi avrà detto...

       Egli tacque, sospeso, e zia Bachisia lo fissò coi suoi occhietti verdi, pensando che se egli parlava tanto male del padrone aveva uno scopo.

      — Ecco, — egli riprese, — Isidoro Pane vi avrà detto... sì certo, ve lo avrà detto... che Brontu era ubriaco quella sera. Qui, ecco, proprio qui, egli s'è messo a gridare: «Dirai a Giovanna Era che se fa divorzio, io la sposo!» Una bestia! Proprio una bestia! Egli beve l'acquavite a barili.

      Di tutto questo zia Bachisia capì soltanto che Brontu aveva detto: «Se Giovanna Era fa divorzio la sposo». I suoi occhietti verdi scintillarono. E disse con fierezza:

      — E tu, Giacobbe, tu non vorresti?

      — Io? Che importa a me, uccellino di primavera? Ma voi dovreste vergognarvi di dire simili cose, zia nibbio, appena dopo due settimane...

      — Io non sono un nibbio... — strillò la vecchia, offesa.

      E l'altro rise, ma la donna capì che egli schiantava di rabbia.

      — Aspettate almeno che arrivi l'appello, — disse Giacobbe. — E poi divorate Costantino come si divora l'agnello immacolato; divoratelo pure, ma Giovanna sposerà una botte di acquavite e voi, finchè vivrà Martina Dejas, morrete di fame peggio di prima...

      — Ah, cocuzzolo spelato... — cominciò a gridare zia Bachisia; ma l'altro si allontanò rapidamente, ed ella dovette contentarsi di borbottargli dietro un mondo di vituperi.

       Nonchè essa pensasse già di far divorziare la figlia, Dio ne liberi, mentre il povero Costantino era ancora sotto appello, chiuso in una fornace ardente, divorato da immondi insetti, no... ma perchè quel vile servo parlava così? che importava a lui del padrone? Zia Bachisia si fissò in mente che Giovanna piacesse a quel vecchio corvo spelato, e facendo di questi maliziosi pensieri rientrò a casa.

      Voleva raccontare ogni cosa a Giovanna, ma per la prima volta, dopo quindici giorni, la vide a lavarsi e pettinarsi tranquillamente i lunghi capelli scarmigliati, che le cadevano in gran quantità, e non osò dirle niente.

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