La Principessa. Jarro

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La Principessa - Jarro

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all'ergastolo.

       Tutta Napoli comprese il dubbio che avea assalito i giudici.

      Il vecchio Jannacone, venuto a Napoli, volea recarsi al cospetto del Re: chieder grazia: potè finalmente presentar la sua domanda, ma fu respinta.

      Nella popolazione napoletana il processo destò una certa effervescenza, che poi subito quetò. Altre cure, altri dolori, e la tendenza all'oblìo, forse, la sola cosa che renda la vita tollerabile, fecero scordare il delitto del parco di Mondrone.

      In breve non si parlò più nè di Roberto, nè del conte di Squirace.

      Ciccillo Jannacone tornò al suo lavoro: stette mesi senza dir parola, sempre convinto della innocenza del figlio. Domandò di vederlo: gli fu negato. Egli non malediceva: non imprecava. Lo ritroveremo, a suo tempo.

      Roberto era entrato nella prigione con un solo pensiero:—che ne sarebbe presto o tardi uscito, malgrado la condanna a vita, malgrado tutte le sentinelle, destinate a vegliar su di lui, malgrado tutti i rigori—e sarebbe tornato in Napoli, e magari a Mondrone, a esercitare le sue vendette.

      Il desiderio di fuga dovea esser acresciuto in lui da un caso che esporremo nella seconda parte del nostro racconto: del quale questa prima parte forma come chi dicesse l'antefatto.

      ————

      Circa sei mesi eran corsi dalla condanna di Roberto, ed Enrica una sera, parlando con la sua fida Cristina, le rivolgeva una domanda che le aveva già ripetuto in altre occasioni:

      —Come sta la bambina?

      Cristina avea saputo da Domenico che egli avea ritrovato la bambina morta nella carrozza.

      Subito gli avea fatto giurare di non dir verbo: e avea cercato modo di allontanarlo dal castello. Gli fornì, di tratto in tratto, molti denari, che servirono a Domenico, com'ella prevedeva, per ingolfarsi nel suo vizio prediletto.

      Vi furono scenate, scandali al castello: e finalmente Domenico fa pregato di trovarsi altro servizio: egli vi si adattò a malincuore, poichè a Mondrone i servitori stavano bene, ma dovè prendere commiato, non ostante che Cristina facesse sembiante di difenderlo a tutta possa; ed egli le professava la maggior gratitudine.

      Ma Cristina, invece, avea soffiato nel fuoco: era stata la causa ch'egli dovesse abbandonare il buon servizio.

      Essa avea più volte spinto Domenico ubriaco nelle stanze di Enrica, col pretesto ch'egli portasse i fiori degli splendidi giardini, a lui affidati: e quindi Enrica stessa avea sollecitato il duca perchè lo allontanasse.

      Cristina l'avea poi consigliato a lasciar Napoli, ove godea sì mal nome: e Domenico che le obbediva, credendo ella volesse soltanto il suo bene, si allogò con una famiglia d'inglesi che partiva per la Calabria.

      Anche Roberto, d'ordine superiore, forse per riguardo alla famiglia degli Squirace, forse per zelo di qualche assiduo cortigiano e commensale del duca, era stato inviato in Calabria: e in una delle più dure prigioni: nella prigione di ***.

      Enrica, dunque, domandava di tanto in tanto notizie della bambina. L'astuta cameriera le rispondeva che la bambina prosperava: le parlava sempre delle ingentissime spese che occorrevano a mantenere il segreto: e poi la creatura era sì malaticcia…. la gente, che l'avea in cura, ingordissima…. Essa l'avrebbe adottata come le avea promesso: stesse tranquilla.

      Già Enrica era in vere angustie per procurarsi tutto il denaro che Cristina le domandava. Non poteva chiedere forti somme al duca senza eccitarne i sospetti. Cristina diveniva esigente, imperiosa.

      Ah, se Enrica avesse potuto sapere in quali mani si trovava davvero la sua bambina!

      Una sola persona era a parte del terribile segreto: Roberto Jannacone, poichè egli era l'uomo nascosto fra le rovine del casolare, allorchè vi erano andati a tenere il loro conciliabolo il marchese di Trapani e Marco Alboni.

      Ma a Roberto Jannacone mancava allora un punto: sapere chi fossero il padre e la madre della bambina, che i due bricconi aveano trafugato.

      FINE DELLA PARTE PRIMA.

      PARTE SECONDA.

       Indice

      I.

      In uno de' più bei palazzi della via di Toledo abitava la principessa

       Enrica Gorreso di Caprenne.

      La figlia del duca di Mondrone avea sposato da circa undici anni il principe, che le facea la corte nel periodo di tempo in cui ella accusava Roberto e compariva dinanzi a' giudici per deporre contro di lui.

      Il duca era morto da alcuni mesi, e la principessa non avea ancora dismesso il più stretto lutto.

      Nominata fra le elegantissime e bellissime dame di Napoli, essa era desiderata indarno ne' ricevimenti più signorili, agli spettacoli, cui era assidua per lo innanzi, e ne' quali la sua bellezza riceveva tante e sì ardenti ammirazioni, che a lei piacevano.

      Quella mattina, benchè appena fosser suonate le sette, la principessa era nel suo salotto e il principe con lei.

      Sedevano a un tavolino, coperto da uno sfarzoso tappeto della Cina, e sul quale erano, un po' in disordine, i varii pezzi di un servizio da tè, in argento.

      Le fiammelle azzurre si alzavano sotto il gran vaso, nel quale il tè bolliva, gorgogliando.

      —Siete molto gentile,—disse la principessa al marito.—Non posso dirvi quanto vi sono riconoscente d'esser venuto così di buon'ora, a farmi una visita nel mio appartamento…. Mi sono levata stamani, prestissimo: e mi annoiavo…. Avevo leggiucchiato qualche libro (sulla tavola erano sparsi varii volumi): ma sapete che la lettura mi stanca presto….

      —Mi sembra che tutto vi stanchi, cara Enrica: tutto ciò che è veramente bello, che inalza l'animo e consola, o rallegra agli altri la vita…. Siete una donna molto originale…. Noi stiamo insieme da undici anni, o per dir meglio da undici anni siamo marito e moglie, perchè siamo stati ben poco insieme…. Ma ci fu in voi molto, che io non son riuscito mai ancora ad intendere: c'è una parte del vostro carattere, che per me rimane misteriosa…. In un punto voi siete infaticabile, nel soddisfar a' vostri capricci….

      Il principe diceva ciò in tuono leggero, sorridente, e anche la principessa, guardandolo, sorrideva e gli mostrava i suoi denti nitidissimi.

      Il principe era un uomo gaio, simpatico, dissipatissimo, ma che avea, tra le dissipazioni, serbato fortissimo il coraggio, il sentimento dell'onore, la dirittura de' criteri.

      Era egli stesso il primo a condannare in sè il genere di vita nel quale s'ingolfava: ma, pur troppo, ogni giorno, vi si sentiva più attirato.

      Nel suo matrimonio non avea trovato la felicità che egli cercava. Studioso, appassionato della letteratura, coltissimo nelle arti, non avea trovato nella moglie alcuna rispondenza a questi sentimenti. Enrica capiva ben poco di tutto: appena quanto si richiedeva a non parer grossolana: la tediava ogni conversazione, in cui si toccasse d'argomento artistico o letterario. Per quella donna bella e robusta non avea attrattive se non la vita prettamente sensuale.

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