La Principessa. Jarro

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La Principessa - Jarro

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nel suo massimo vigore, senza ch'ella avesse perduto della sua freschezza. I giovani di Napoli, e anche i vecchi, accorrevano a uno spettacolo, a una festa sol per vedere le sue spalle, le sue braccia, il suo seno meraviglioso. Ella non era punto avara di mostrarsi: avea inventato, di concerto con il suo sarto parigino, una scollatura, che facea inorridire, tutte le donne: in ispecie le brutte. Alcune di quelle che più la biasimavano, aveano cercato imitarla, ma scopriva troppo i difetti: a usarla, senza eccitar il riso o la compassione, ci volevano le perfezioni scultorie della principessa.

      Il principe, al contrario, era snello, delicato.

      La principessa, come sa il lettore, era collerica, impetuosa, poichè in nulla tralignava dalla sua prima giovinezza; il principe, fine, ponderato anche ne' suoi risentimenti.

      Come si fossero amati, poichè offrivano fra loro sì spiccato contrasto, non si sapeva: o troppo si sapeva dall'alta società napoletana, nella quale si buccinava che Enrica avesse sposato il Caprenne per vanità: e il principe, Enrica per rimpinguare il suo patrimonio, nel quale aveva fatto grandi breccie.

      Ma il principe, nell'ammogliarsi, era, ripetiamo, di buona fede. Le gioie della famiglia aveano per lui una vera attrattiva: vagheggiava, dopo tante dissolutezze, dopo tante rischiose avventure, tutte cause d'inquietudini, una vita tranquilla, volta a nobile scopo: per esempio all'affetto, all'educazione dei figli. Ma la principessa non gli avea dato figli: era stata sempre fredda con lui, salvo i suoi impeti di sensualità selvaggia: non gli avea reso possibile la vita intima: aveva empito la sua casa di rumore, di distrazioni, di frivolezze, sino allo stordimento. Intorno a Enrica, o nel palazzo in città, o nella villa nel parco di Mondrone, ove si recavano qualche volta, v'era sempre un che di vertiginoso. Il principe viveva assai più quieto, e lo pensava, allorchè era scapolo.

      Bisognava ch'egli trattasse Enrica com'una sovrana; il carattere impetuoso di lei non piegava: essa non concedeva nulla di sè, benevolenza, favori, se non domandati a ginocchio, con umiltà, quasi con umiliazione di schiavo.

      Il principe non comportava molto di buon animo il vivere in tal soggezione: ma avea una cortesia raffinata: amava Enrica: e ad irritarlo sarebbe occorso qualche serio oltraggio, la convinzione profonda che Enrica non rispettasse il nome di lui.

      Allora egli, sì elegante, indolente, affabilissimo, motteggiatore, sarebbe stato capace di tutto.

      Suo padre gli avea fatto fare studii per la diplomazia: e il principe era stato, per due anni, nella Ambasciata di Parigi, come segretario. Poi era tornato a Napoli: e l'Europa avea avuto un diplomatico di meno.

      A questo proposito, dobbiamo raccontar al lettore…. Ci si stia bene a udire.

      Enrica e il principe erano stati una notte ad una festa da ballo, alla Corte; sul far del mattino si trovavano insieme nel loro palazzo. Il principe avea accompagnato Enrica fin nella sua camera. Dalle finestre, le cui imposte eran socchiuse, entravano i primi albori: le candele ardevano sui candelabri d'argento. Un bel fuoco crepitava nel caminetto.

      La principessa, dinanzi al principe, si tolse il diadema di brillanti, la collana di perle, tutti i gioielli: poi l'abito da ballo, aiutata da due cameriere. Rimasta in semplice guarnelletto di trine, il petto, le braccia a dirittura scoperti, si gettò addosso una pelliccia, e quindi prese a braccetto il marito, dicendogli con tuono indescrivibile:

      —Stamani vi concedo ospitalità nelle mie stanze…. Passiamo nel salotto!…

      Lì pure scoppiettava un buon fuoco.

      Le cameriere erano state licenziate.

      —Avete cenato al ballo?…

      —No, cara,—rispose il principe.—Chi può mai accostarsi a una di quelle tavole? Si direbbe che la Corte inviti un'orda di affamati…. o di parassiti!

      —Neppur io ho cenato….—disse la principessa, ed ho fame…. —V'invito a far con me una piccola colazione qui, accanto al —fuoco…. La servirò io stessa.

      E la principessa andò a un armadio d'ebano, con borchiette d'argento, e ne cavò alcuni piccoli piatti dorati in porcellana della Cina….

      Il principe fu subito accanto a lei e l'aiutò.

      Le loro mani spesso si toccavano; urtavano insieme gli oggetti che portavano: allora sorridevano; la principessa, mezzo nuda, sotto la pelliccia, ch'ogni tanto si apriva, era seducentissima.

      Il principe di Caprenne avea pensato più volte, in certi momenti, ch'ella avesse della cortigiana, e non s'ingannava.

      Sedettero dinanzi al fuoco: la colazione era preparata sopra un piccolo tavolino di lacca, che appena li separava.

      La principessa mangiava sempre con un vero appetito da marinaro.

      Il principe soleva appena toccare le vivande.

      —Ma qui non si beve?—esclamò a un tratto la principessa, ilare come una giovinetta che un giorno di vacanze va a fare un picnic con le sue piccole compagne.

      E anche il principe era dell'umore più giocondo, e, diremo quasi, più infantile.

      La principessa si alzò: egli la seguiva: scambiarono un bacio, poichè le loro teste s'incontrarono, mentre la principessa si chinava per trarre da un piccolo stipo giapponese, tutto rabeschi d'oro, con un grande ibis bianco, dal becco roseo, dipinto nel mezzo, una bottiglia di rarissimo Château-Yquem.

      Il bel liquido dorato, bevanda degna dei numi e degl'innamorati, fu versato dal principe nei bicchieretti verdi di Baccarat; ma il principe vi accostò appena una o due volte le labbra: la principessa bevve, a poco a poco, tutta la bottiglia.

      Gli sguardi più vivaci del solito, le guancie rosee, le labbra d'un vivo corallo, le belle braccia nude, che accostavano ogni tanto alla bocca la posata o il bicchiere, la principessa spirava la forza, il rigoglio della vita, il pieno sviluppo e il pieno godimento di tutte le facoltà sensuali.

      Il tavolino fu presto rimosso: la principessa colmò il principe di carezze: sembrava frenetica, una baccante.

      Egli l'adorava, senza limiti, e la stringeva fra le sue braccia come una divinità.

      Poeta, metteva in quell'amplesso tutta la poesia di cui era capace.

      L'altra, di tratto in tratto, con la voce un po' rauca, che avea acquistato per gli eccessi della tavola, e forse per gli altri eccessi, frammezzava a quel delirio parole, che smorzavano ogni poesia.

      Erano andati a sedere, o eran caduti su un sofà: la principessa tenea in mano la bionda e delicata testa del principe, la cui fisonomia era un po' sparuta per la notte passata al ballo e la veglia prolungata…

      —Io voglio da te….—disse la principessa col suo solito tono imperioso.

      —Di' pure,—mormorò il principe, che le ricingeva i fianchi robusti.

      Ella avea fatto cadere artificiosamente a' suoi piedi i guarnelletti di trine: tutto ciò che le era d'impedimento al piacere.

      —Voglio,—gli sospirò in un alito caldissimo di passione, che lo facea fremere,—voglio tu non viva più ozioso…. Io sono ambiziosa per te…. per me…. Non siamo abbastanza in alto: non abbiamo ancora abbastanza gli occhi di tutti su di noi.

      Così parlava

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