La Principessa. Jarro

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La Principessa - Jarro

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      Il conte non cavava gli occhi di dosso ad Enrica. Essa gli piaceva: aveva cercato più volte vederla durante l'assenza del padre, ma indarno.

      Le aveva scritto: ne avea ricevuto ripulse: le si era mostrato, quando frequentava la casa di lei, appassionatissimo: ella gli aveva risposto con indifferenza e quasi con oltraggio.

      Gli sembrava che ora, invece, l'incoraggiasse.

      Le parole da lei indirizzategli non erano improntate della solita asprezza.

      Il conte si permise far rilevare al duca che la bellezza della sua figliuola andava sempre crescendo: che, anche in quel punto, benchè malazzata, non perdea della sua gran venustà.

      —Essa ha un fascino strano,—diceva il conte al suo provetto amico.—Non credo ci sia oggi in Napoli un'altra bellezza più singolare, e che commuova, al primo riguardarla, più della bellezza di lei…. Qual trionfo l'aspetta nel nostro gran mondo… alla Corte….

      —Oh, io non mi curo,—rispose il duca,—di queste frivolezze…. E non credo neppure che Enrica se ne curi…. Essa è un po' altera, ma non ambiziosa: almeno se io ben la conosco…. Or è un anno, il giovane principe m'ha parlato di lei…. La lodava quasi con entusiasmo dinanzi alla regina madre: ma ciò era un semplice pretesto—per far arrabbiare la nuova favorita di allora, che assisteva al colloquio, la principessa di Sarno….

      —La mia, tutt'altro che venerata cugina….

      —Ma resterete qui con noi almeno fino a domani,—interruppe il duca, distratto dalle persone, che ogni tanto gli s'avvicinavano, gli facevano festa con gli sguardi, coi sorrisi, o aspettavano da lui una parola.—Restate: stasera a cena dobbiamo essere una ventina…. Ho fatto apprestare tutte le camere nelle due villette, che servono per gli ospiti, affinchè essi possano avere la massima libertà. Vedete, in fondo al giardino… là….

      Vi si arrivava dalla via principale per una serra, piena di palme, di orchidee, di nepenti….

      Il conte accettò l'invito.

      Sapeva benissimo che Enrica non avrebbe assistito alla cena: ma pensava che la mattina appresso gli sarebbe venuto l'atto d'incontrarla nel parco: avrebbe potuto parlare.

      A ogni modo era lieto di esserle vicino.

      Dopo la cena, che durò sino a ora inoltrata della notte, si coricò molto allegro: il suo ultimo pensiero, prima di addormentarsi, fu per la bizzarra donzella.

      Il conte di Squirace aveva appena trent'anni: era stato sempre ordinato nella sua vita, ma lo tacciavano di carattere doppio, di avarizia, di meschini appetiti.

      Il duca, lasciati, a tarda ora, dopo cena, i suoi convitati, era entrato nelle sue stanze.

      Provò il bisogno di riconcentrarsi, dopo tutte le commozioni, i rumori della giornata.

      Aveva, sin dalla sera innanzi, una spina fitta nel cuore.

      Non gli era sembrato che sua figlia lo avesse accolto con sufficiente espansione: sopra tutto era inquieto di averla ritrovata così cagionevole di salute, così pensosa… così abbattuta.

      Aprì la finestra del suo salotto e mise il piede in una ampia terrazza, che dava sulle serre dello splendido giardino.

      In un gruppo d'alberi vide il riflesso di un lume.

      Alzò il capo: e s'accorse che il lume veniva dalle finestre della camera d'Enrica.

      Scorse un'ombra, poi un'altr'ombra di donna disegnarsi sugli arbusti illuminati.

      Enrica e Cristina vegliavano.

      —Come mai,—pensò il duca,—a quest'ora ella, tanto sofferente, non si è coricata?

      Il duca ebbe l'idea di salire da sua figlia.

      Ma a un tratto le imposte delle finestre della camera furono chiuse.

       Indice

      Chi avesse in quel punto visto Enrica si sarebbe sbigottito.

      I capelli disciolti le ricadevano sin quasi al ginocchio, le vesti in disordine; la fisonomia piena di terrore, le labbra schiumanti, le guancie, di pallidissime, divenute livide, le occhiaie infossate, gli occhi iniettati di sangue.

      Di tratto in tratto le sfuggiva un gesto di collera.

      Quando furono chiuse le imposte, ella sedette, il gomito nudo appoggiato sul velluto celeste di una piccola scrivania d'ebano.

      —Dunque ti ha parlato?—disse con angoscia suprema, guardando negli occhi Cristina che stava ritta innanzi a lei.

      La cameriera rispose di sì con un cenno.

      —Ed è risoluto vedermi ad ogni modo?…

      —Ad ogni modo!—replicò Cristina.

      Tutt'e due parlavano sotto voce, agitate, come in preda a un grande spavento.

      —E quando e tornato?…

      —Stamani….

      —Il suo bastimento non faceva rotta per le Indie?

      —Il bastimento si è incendiato in mezzo a una tempesta….. Egli ha salvato, dopo morto il comandante, alcuni dell'equipaggio: non mi ha detto in particolare ciò che ha fatto, ma mi ha mostrato, sul suo uniforme, i galloni. È già graduato….

      —Ha, dunque, mantenuto la sua promessa!…

      —E domani sarà qui!—osservò Cristina.

      —Ecco ciò che mi dispera…. Io non avrò mai il coraggio di confessar tutto a mio padre…..

      —Il giovinotto,—esclamò a un tratto risoluta e cupa Cristina,—non deve saper nulla della creatura….

      —Costei non sa,—pensava Enrica, infiggendosi le ugne nelle carni, che le spicciavano sangue,—ch'io già sono la sposa… la sposa del figlio di Francesco Jannacone!…

      Offriamo qualche spiegazione al lettore.

      Come abbiam detto, Enrica aveva sempre goduto d'una grande libertà.

      Era cresciuta forte, prosperosa, in mezzo ai campi; di sangue ardente, dispotica e sensuale, non tollerando opposizione a' suoi capricci, e nessuno pensava a stornarli, anzi tutti vi si piegavano.

      La compagnia della perfida Cristina aveva fatto il resto.

      Il duca aveva un quattrocento persone e più nella sua famiglia colonica: Enrica andava a ogni ora per i vasti possessi.

      La ragazza entrava nelle case, all'improvviso; appariva non desiderata, maligna, ne' luoghi più remoti ove gl'innamorati si davano convegno; i discorsi e gli esempi di Cristina, che essa avea trovato un giorno senza vesti in una delle

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