Il destino. Francesco Domenico Guerrazzi
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.... quinci a furia levossi dandosi a fuga affannosa e sviata... (Pag. 28.)
Colà ardeva una sola lampada, in onore del Sacramento custodito nel ciborio, nè ci occorreva persona, chè tutti stavano raccolti intorno al pergamo per raccogliere di prima mano la parola divina. Almeno qui avrò pace, pensò la donna; e a voi beatissima Vergine mi raccomando; proteggetemi voi. Così rimase un pezzo, quando sollevando la faccia proprio sotto la lampada scorse lo aborrito; i raggi del pallido lume cascavano giù a piombo sopra coteste sembianze desolate rendendole più del consueto lugubri: allora ella si tenne per ispacciata; credè davvero, che costui volesse torcerle il collo, e portare la sua anima nell'inferno con esso seco; un freddo acuto le penetrò le ossa; il sudore diaccio le imperlò la fronte, e svenne. Quando tornò il suo spirito ai consueti uffici della vita si vide circondata da pietose gentildonne, le quali le prodigavano ogni maniera di uffici cortesi; essa a quella stringeva affettuosamente la mano, quest'altra baciava, ringraziava tutte, e quasi le pareva sentirsi lieta essendosi liberata dalla visione di quel demonio fatto uomo, o di quell'uomo diventato demonio; e s'ingannava, però che nel girare degli occhi si rivide dinanzi Paride con gli sguardi intenti in lei quasi punte di fiocina, che il pescatore sta per fulminare nei fianchi alla Balena; onde ricaduta in deliquio fu dalle donne amorevoli non menochè curiose di scoprire le cause di cotesto accidente ricondotta in casa, e quivi affidata alle cure del marito, e delle ancelle discrete.
Lelio presa lingua del caso, fu colto dalla più sconcia gelosia di Paride che abbia tormentato marito; e come quasi sempre succede ai mariti gelosi non era lì, ma all'uscio accanto. Difatti questo Paride odierno, diverso in tutto dall'antico non arrivò mai ad assimilare Lelio Griffoli a Menelao degli Atridi: tuttavia a confermare Lelio nel suo falso concetto molto contribuiva Paride, che da quel giorno in poi seguendo il costume della farfalla, la quale non par contenta se prima non si abbia bruciato alla fiammella le ale, prese a perseguitare la Fulvia; la seguitava come ombra, dove ella levava il piede egli metteva il suo; per le vie, in chiesa, nei ritrovi, dovunque: molestia infinita, impronta, ostinata, da non si potere sopportare: avvisato Paride da qualche cittadino da bene cavò fuori il pugnale per ferirlo, ond'ei si tenne avvertito per un'altra volta: qualcheduno si consigliava informarne il Principe governatore di Siena nel tristo augurio, ch'ei desse nei gerundi, e un giorno o l'altro commettesse cosa da far piangere; ma non n'ebbe il coraggio: e per crescente abbiettezza ormai saliva nel massimo onore il proverbio: arrosto, che non tocca lascialo andare, che bruci, insomma la faccenda pigliava mala piega se Paride non cadeva infermo: chiamati i medici e assai sottilmente esaminatolo trovarono quello che pur troppo era; una passione indomata lo rodeva; la lama tagliava il fodero: termine di cotesto stato per ordinario o morte o pazzia: via di mezzo veruna.
Paride dì, e notte seduto sul letto, alquanto riverso della persona sopra i guanciali, con le mani aperte, e le braccia abbandonate su le coltri, gli occhi intenti, e fissi su qualche obietto, che non era mondano: ardeva dentro, la sua esistenza diventava cenere, nè alcuno poteva a cotesto incendio porgere aita. Non madre, non sorella, che lo sovvenissero, non amico che lo sollevasse; il fratello stava in villa, ed egli vietò severamente, che gli porgessero contezza del suo stato. Intorno a lui solo una donna, che gli fu nutrice, la quale come quasi tutte le nutrici sono, massime se prive di marito, e del figliuolo, che prima partorirono, gli portava uno amore, che io direi piuttosto strabocchevole, che disordinato; l'amore del cane, il quale nei giorni delle immanità di Nerone gittato il corpo del suo padrone Tito Sabino nel Tevere ci si tuffò anch'egli tenendolo sollevato su le acque perchè i vortici non glielo travolgessero al mare, e poichè con ineffabili conati lo ebbe tratto alla riva gli scavò la fossa, ce lo compose dentro; e su la fossa stette e morì. — Povera donna! a piè del letto, con le mani soprammesse ad un pomo di colonna teneva senza battere palpebra ficcati i suoi negli sguardi di lui; s'ei sospirava ella gemeva, se Paride faceva bocca da ridere, ed ella a posta sua rideva; se una mosca gli si posava su la faccia, ed ella moveva cheta cheta e gliela scacciava; adagio adagio per non ispazientirlo, gli accomodava le coperte del letto andate da parte, gli moderava la luce del sole, o della lampada: amore materno stemperato in atmosfera di cui la Provvidenza diede il tesoro alla donna, perchè l'uomo travagliato da tanti guai non maledisse la donna, e con essa le universe creature, che uscirono di mano a tale ente, il quale come poderoso non ci si rivela del pari buono e benefico.
Più volte la nutrice, che Betta aveva nome, si attentò a mettere innanzi una parola, tanto per addentellare un discorso, ma egli torvo le aveva intimato: taci; ed ella era rimasta cheta per tre giorni, tanta paura d'infastidirlo le si era cacciata addosso: non sapeva da qual parte pigliare il bandolo alla matassa: era amore? Era odio? O che cosa diavolo era? Conosciuta la infermità si può sperare di trovarci rimedio: egli chiuso come lettera sigillata, nè ella era femmina da girsene a zonzo d'intorno per udire novella, Dio ne liberi; a lei l'uscire senza bisogno di casa saria parso, non dirò peccato mortale, ma almeno grave come sette veniali, che altrimenti degli amori di Paride avria sentito bucinare qualche cosa. Pure dai dai le venne fatto un giorno di scoprire l'arcano, ed ecco come. La camera dove giaceva Paride era così formata: