Minerva oscura. Giovanni Pascoli
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Per recarne conforto a quella fede
Ch’è principio alla via di salvazione.[13]
Nè sfugga che dopo il primo grido ‛Per quello Iddio che tu non conoscesti’, ora che parla dietro la meditazione della paura e del dubbio, non pronunzia più il proprio nome di Dio, ma circoscrive o accenna: ‛l’avversario d’ogni male’, ‛altri’. Però, alle ‛parole’ di Virgilio, ora che echeggiano altre ‛vere parole’, crede più che al ‛parlare’ di prima; e ogni dubbio o timore è svanito. Per sempre? Tutt’altro. ‛Sospetto’ e ‛viltà’ mostra subito all’ingresso dell’inferno, e ha bisogno del ‛lieto volto’ del maestro per riconfortarsi. Ma il volto non è sempre lieto; basta che diventi smorto per pietà, perchè Dante (che noi vediamo sempre fisso nel duca) esiti a scendere:
Come verrò, se tu paventi
Che suoli al mio dubbiare esser conforto?[14]
La persuasione dunque ispiratagli dalle parole di Virgilio, le quali sono eco delle parole di Beatrice, non dura salda e immutabile e ha bisogno di sempre nuove conferme.
E nel secondo cerchio ha subito di che alimentare la sua coperta diffidenza, nelle parole di Minos:
Guarda com’entri, e di cui tu ti fide;[15]
se non che il Maestro è pronto a ribattere la insinuazione, come diremmo noi, del giudice infernale. Nè può, nel terzo, incorarlo il notare che il gran vermo mostra le sanne, non a lui solo, ma a tutti e due:
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
Le bocche aperse, e mostrocci le sanne.[16]
Se avesse compreso che solo esso era il minacciato e non Virgilio, avrebbe creduto di avere in lui un ausiliatore sicuro; ma Virgilio era con lui accomunato nel pericolo. Vero è che anche questa volta il Maestro è pronto, non con le parole più, ma con le pugna piene di terra. Nel quarto cerchio il timore di Dante ha tempo di manifestarsi, alla voce chioccia di Pluto; chè il Maestro gli si volge per confortarlo;
Non ti noccia
La tua paura, chè, poder ch’egli abbia,
Non ti torrà lo scender questa roccia.[17]
Finora, in tutti i quattro cerchi, Dante o esplicitamente o implicitamente ha narrato di avere avuto paura; il che vuol dire che egli non si fidava ancora perfettamente di Virgilio: al quinto poi, la sua sfiducia è tanta, che egli propone di ritrovar l’orme loro:
Pensa, Lettor, se io mi sconfortai
Nel suon delle parole maledette;
Ch’io non credetti ritornarci mai.
O caro duca mio, che più di sette
Volte m’hai sicurtà renduta, e tratto
D’alto periglio che incontro mi stette,
(non sono veramente nemmeno sette le volte, e questa esagerazione attesta il timore presente, e le parole che seguono provano, se ce n’è di bisogno, il timore passato)
Non mi lasciar, diss’io, così disfatto:
E se ’l passar più oltre c’è negato,
Ritroviam l’orme nostre insieme ratto.[18]
Lasciato solo un poco, Dante è in forse; e il sì e il no gli tenzonano nel capo; vedendo poi tornare il suo Signore con passi rari, con gli occhi alla terra, senza baldanza e sospiroso, egli sbigottisce e la viltà gli spinge sul volto il pallore; e al sentirlo parlare interrotto e tra sè, impaura sempre più e ci confessa di aver molto dubitato che si avverasse la speranza e l’aspettazione di Virgilio che di qua dalla porta dell’inferno alcuno discendesse l’erta. Ora non poteva essere, se mai, se non dal Limbo, chè gli altri dannati sono dalla loro colpa circoscritti al loro cerchio; e Dante appunto domanda se dal Limbo può alcuno venire negli altri cerchi più bassi. Virgilio mostra di credere che la diffidenza di Dante non sia per l’aspettato salvatore, ma per lui stesso; e risponde assicurandolo che già altra volta fece il viaggio; e quindi:
Ben so il cammin: però ti fa sicuro.[19]
Ma Dante non si fa sicuro, se non appresso le parole sante del messo del cielo, e nel sesto cerchio può fare, in certo modo, ammenda de’ suoi dubbi, dicendo al Maestro cui ora segue docilmente (‛io dopo le spalle’):
O virtù somma, che per gli empi giri
Mi volvi,... come a te piace.[20]
Certo, passata la porta di Dite, Dante ha ragione di credere al Maestro, e (subito, prima di scendere nell’abisso inferiore) ne dà la prova, richiedendogli un compenso del tempo che sono altrimenti per perdere, e ne ottiene la dichiarazione di tutto l’Inferno.
VI.
Or come mai questa dichiarazione minuta ed esatta non è pur tale da togliere ogni difficoltà che c’impedisce di vedere la costruzione morale dell’Inferno, e perciò il sistema filosofico di tutto il poema? Io credo che ciò venga dal fatto che Dante stesso non ha voluto esser chiaro. E perchè? Giova rispondere domandando: perchè Dante non si fidava troppo e qualche volta apertamente dubitava di Virgilio? La risposta è facile: perchè Virgilio è simbolo di cosa, in cui noi abbiamo torto se riponiamo intera e infinita fiducia, sia essa cosa la Ragione o sia la Filosofia; e solo a lei dobbiamo credere, quando ci dimostra d’essere mossa da quelle tali tre donne che si chiamano la Donna Gentile, Lucia e Beatrice, di essere mossa da Beatrice, per limitarci, e di andare a Beatrice:
Con lei ti lascerò nel mio partire.[21]
Ora, se la esposizione filosofica delle colpe punite in Inferno non c’è chiara, noi possiamo fondatamente credere, che chiara non è appunto perchè fatta da chi chiara non la poteva fare. Al che possiamo aggiungere che, anche potendo, Virgilio non l’avrebbe al tutto chiarita, perchè egli è il Maestro, e il Maestro deve lasciar lavorare l’intelletto del discepolo. Dei quali due punti accenno la prova, rimandando a ciò che Virgilio stesso dice nel Purgatorio, nell’esposizione che fa del Purgatorio, al verso 139 del XVII per il secondo punto, e ai versi 46-49 del XVIII per il primo. Dai quali ultimi versi possiamo ricavare la conclusione che Virgilio può dire solo ‛quanto ragion qui vede’. E che vedeva la ragione dunque nell’ordinamento e divisione dei peccati nell’Inferno? Vedeva, quanto aveva insegnato il maestro di color che sanno, di cui è appunto citata l’Etica e la Fisica. Noi possiamo aggiungere il libro de Officiis di Cicerone, sia che Dante avesse letto l’opera intera, sia che ne conoscesse solo alcuni estratti.
VII.
Che dobbiamo concludere sulla ‛costruzione morale’, dell’Inferno? sulla divisione de’ peccati?[22] Questo: che delle tre disposizioni che il Ciel non vuole, una, l’Incontinenza, è punita fuori della città roggia, e le altre due, Malizia e matta Bestialità, dentro: che queste due equivalgono poi a una triplice Malizia, di cui ingiuria è il fine, della qual Malizia le tre specie sono