Minerva oscura. Giovanni Pascoli
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VIII.
Utile e necessario è andare all’altra lezione che Virgilio fa a Dante, nel Purgatorio, sull’ordinamento di questo. Io osservo che, mentre nell’Inferno Virgilio ha ragionato partitamente dei tre cerchietti che avevano ancora a vedere, nel Purgatorio tace del come è tripartito l’Amore che sopra loro si piange per tre cerchi:
L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,
Di sopra noi si piange per tre cerchi;
Ma come tripartito si ragiona,
Tacciolo, acciocchè tu per te ne cerchi.[23]
Ora in questi tre cerchi si espiano l’Avarizia, la Gola, la Lussuria, i quali peccati sono in Inferno puniti, non nei tre cerchietti che erano ancora da visitare, ma nei tre già visitati prima dello Stige. È in ciò una corrispondenza, dirò così, esterna, poichè nell’Inferno si parla di ciò che è da vedere e si tace, sulle prime, di ciò che si è veduto, e nel Purgatorio, al contrario, si parla di ciò che si è veduto e si tace, almeno in parte, di ciò che è da vedere. E ciò che si ha a vedere è di sopra ai parlanti, nel Purgatorio, e di sotto, nell’Inferno, e ciò che si è veduto, al contrario. Ma vi è anche una corrispondenza meno materiale e locale; poichè nel Purgatorio Virgilio non dà una particolare definizione dei tre peccati che si piangono di sopra loro, e lascia che Dante ne cerchi per sè, mentre nell’Inferno questi medesimi tre peccati Dante aveva chiaramente richiamati alla sua mente: ‛Quei... Che mena il vento e che batte la pioggia E che s’incontran con sì aspre lingue’, ossia i peccatori carnali, i rei delle colpe della gola, i rei di non misurato spendio. Ai quali sono d’aggiungere quei della palude pingue, ossia color cui vinse l’ira e che portaron dentro accidioso fummo. Non parrebbe che il Poeta volesse a noi, come Virgilio faceva a lui, dichiarare solo quello ch’era necessario, sorvolando su ciò che non era? Or dunque dichiarare più minutamente nel Purgatorio i tre peccati di Avarizia, Gola e Lussuria non era necessario? Non era, e in fatti è cosa che s’intende da tutti, come tripartito si ragiona quell’amore. Perchè? Il perchè, nell’economia del poema, non può essere, se non per il fatto che Dante rispetto a Virgilio, e noi rispetto a Dante, siamo chiariti dall’aver visto già quei tre medesimi peccati d’incontinenza nell’Inferno, e dall’averne anche appreso il nome. E solo per questo Virgilio assegna a Dante quel leggiero cómpito, quasi dicesse: Oh! vediamo se il viaggio per loco eterno ha fruttato! vediamo se tu ricordi e ciò che hai veduto e ciò che io t’ho detto. Ora, se questi tre peccati Virgilio lascia riconoscere a Dante, perchè facili a riconoscere, gli altri, di cui esso stesso dà i contrassegni e la definizione, facili a riconoscere non sarebbero stati. E perchè? perchè non visti nell’Inferno, onde a Dante manca la esperienza e l’insegnamento? Può essere, sebbene a nessuno possa venire in mente che di essi l’ira non sia stata veduta; ma può anche essere che se ne discorra ora più chiaramente, perchè allora ne fu parlato oscuramente. E, accettando per un momento quest’ultima supposizione, noi troveremmo a un tratto quella prima corrispondenza che io dissi, illuminarsi e illuminare noi: tutte e due le esposizioni hanno una parte chiara, la prima, e una parte oscura, la seconda; la prima che riguarda ciò che fu veduto, la seconda ciò che è ancor da vedere; ma poichè sono in ordine inverso tra loro, così la parte chiara della prima spiegazione getta la sua luce sulla parte oscura della seconda, e la parte chiara della seconda illumina la parte oscura della prima. E ciò condurrebbe a questo: come Dante, avendo sentito definire rei d’incontinenza quelli che aveva udito chiamare peccator carnali o di lussuria, colpevoli della gola, dannati per non misurato spendio, poteva facilmente riconoscere quelli che per tre cerchi piangevano l’amore che troppo s’abbandona al bene che non fa l’uom felice; così sentendo ora nel Purgatorio, che i superbi, gl’invidi e gl’irosi espiavano il triforme amore del male, doveva, ripensando alla spiegazione udita nell’Inferno, concludere che i peccatori dei tre cerchietti, rei di malizia, di cui ingiuria è il fine e che si distinguono in tre specie, secondo che l’ingiuria è con forza o con frode o con tradimento, erano appunto irosi, invidi e superbi. Ma poichè concludere è precoce, teniamo almeno questo per fermo: che le due esposizioni riguardano, l’una e l’altra, sette divisioni di peccatori: la prima quattro già vedute,
quei della palude pingue,
Che mena il vento e che batte la pioggia
E che s’incontran con sì aspre lingue,[24]
e tre da vedere in tre cerchietti; la seconda tre già vedute, i rei del triforme amor del male, e quattro ancora da vedere, i rei di lento amore e di amore che troppo s’abbandona; che insomma l’una ha dietro sè quattro peccati e tre innanzi, e l’altra quattro innanzi e tre dietro; e che è fuor di dubbio che alle due spiegazioni tre sono comuni di questi sette peccati. Nove sono nell’inferno i gironi, ma i peccati di cui ragiona Virgilio, sono sette. Sette e non più, sette come quelli del Purgatorio.
IX.
Non è dunque assurdo tenere sin d’ora che la lezione dell’Inferno lascia qualche cosa da meditare al discente. È compiuta quella del Purgatorio? No; e noi potremo da ciò confermare la nostra opinione su quella dell’Inferno. Non è compiuta; e questa volta (per qual ragione se non perchè Virgilio non è più per essere con lo scolare dopo visitato il Purgatorio?) questa volta Virgilio ne ammonisce Dante:
Quanto ragion qui vede
Dirti poss’io; da indi in là t’aspetta