L'Argentina vista come è. Luigi Barzini

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L'Argentina vista come è - Luigi Barzini

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che più facilmente si radicano nella Repubblica Argentina; i più, nondimeno, tardano a convincersi che devono considerare l’Argentina come loro residenza definitiva, come loro seconda patria. » Coloro che non hanno tali debolezze « ottengono un immenso vantaggio su quelli che solo pensano al ritorno ».

      È logico. La Guida vede l’emigrazione francamente e nettamente dal punto di vista argentino, soprattutto quando, parlando dei risparmî degli emigranti, consiglia « coloro che hanno qualche maggiore conoscenza di queste cose » a comperare titoli degli imprestiti interni della Nazione, perchè « i tracolli e le sospensioni di pagamento di altri tempi non si ripeteranno ». Ma dal punto di vista italiano? Non è doloroso e umiliante? Questa sottrazione continua delle nostre forze vive, questa trasfusione del sangue nostro per la rigenerazione di paesi lontani, dovuta principalmente alla ignoranza delle nostre masse, non è cosa ben triste?

      E non siamo troppo ottimisti sui vantaggi riflessi che la madre patria può avere dalla emigrazione: lo stato civile dei Consolati c’insegna che l’italianità normalmente si perde alla prima generazione: e tutti gl’italiani che da cinquant’anni sono passati nell’Argentina hanno procurato alla loro madre patria solo un terzo della esportazione che ha l’Inghilterra laggiù; e non vi sono che ventimila inglesi nell’Argentina. Inglesi, beati loro, da padre in figlio e da figlio in nipote, come se vivessero in pieno Regno Unito.

       * * *

      La Guida dell’Emigrante se la prende un po’ col Governo italiano perchè intende d’occuparsi dell’emigrazione. « Tutte le nazioni d’Europa—dice—hanno dell’emigrazione, in scala maggiore o minore: ma l’Italia è l’unica nazione dove si parla continuamente di misure, di protezioni, di leggi, di colonie (che poi non sono tali) ». Se la prende col Governo « perchè insomma con tanto parlare di colonie e di protezioni non si fa che irritare suscettibilità attendibili e creare diffidenze e sospetti ».

      Sì, tutte le nazioni hanno degli emigranti: ma sopra 1,765,784 emigranti europei sbarcati nell’Argentina dal 1857 al ’98 1,093,112 erano italiani. Abbiamo diritto di occuparcene. E poi che cosa ha fatto il Governo italiano con la sua nuova legge per l’emigrazione e il relativo complicato, burocratico e fiscale regolamento? Ha reso più facile il viaggio, ha provveduto perchè gli emigranti abbiano a bordo tanta carne, tanto pane e tanti metri cubi d’aria respirabile durante il tragitto.

      Come se il complesso fenomeno dell’emigrazione consistesse in quei venti giorni di navigazione!...

       Indice

      [Dal Corriere della Sera del 24 dicembre 1901.]

      Buenos Aires, novembre.

      La più grande caratteristica di Buenos Aires è quella di non avere nessuna caratteristica. Buenos Aires è un po’ di tutto. Un Santos Dumont capitato qui, supponiamo, con la macchina per volare, si troverebbe estremamente imbarazzato a giudicare, dall’alto, in quale paese del mondo il vento, o il motore, lo avessero condotto.

      Sulla piana e sterminata distesa di case vedrebbe delle guglie tedesche ornate di trafori in ferro, come certi tetti della vecchia Norimberga, vicino a basse terrazze candide e disordinate ricordanti Cadice! Scorgerebbe le cinque cupolette tradizionali di una chiesa russa e più lontano due campanili spagnuoli: e cupole italiane gettanti la loro ombra sopra le mansardes di un casamento parigino: e palmizi come alla Favorita e platani come all’« Avenue des Champs-Elisées. » Volta a volta si crederebbe arrivato in tutti i paesi d’Europa, l’infelice aereonauta!

      Buenos Aires si può dire infatti una specie di campionario di capitali europee; nemmeno la più piccola sfumatura di colore locale. Vien quasi voglia di chiedere, come er re de Spagna portoghese dei sonetti di Pascarella:

       Ma st’America c’è? ne sete certo?

      Si esce da una brutta copia di « boulevard » parigino—chè tale è l’Avenida de Mayo, la principale via della città—e si trova nella « Plaza de la Victoria », un perfetto square londinese, ombroso e verde con la sua fontana che getta acqua nei giorni solenni, e il suo bravo monumento equestre, una specie di « cavallo di spade », rappresentante il generale Belgrano. Di fronte al generale biancheggia quel curioso obelisco celebre sotto il nome di « Piramide de Mayo », eretto per « perpetuar el glorioso pronunciamiento de independencia », funzione che esso, per quanto composto di stucco, compie coscienziosamente da novant’anni. È il capolavoro d’un povero mastro muratore italiano, un certo Podestà, divenuto architetto per bisogno. Si sa, l’italiano

       Er talentaccio suo se l’ariggira.

      L’opera dell’oscuro nostro compatriotta è ingabbiata da un’armatura costellata da lampadine elettriche che si accendono nelle sere di festa: una volta all’anno si dà al tutto una buona mano di vernice. Questo è il più antico e il più sacro monumento della Repubblica Argentina, intorno al quale si compiono le cerimonie patriottiche e le dimostrazioni; mèta dei corteggi e dei pellegrinaggi, tribuna dell’eloquenza commemorativa.

      La manìa d’ingombrare i monumenti con il permanente preparativo della luminaria è generale. L’illuminazione pare considerata qui come una cosa importante, indispensabile, che bisogna aver sempre pronta sotto mano per ogni circostanza. Oh! « sangre español! » Anche la cattedrale, per esempio, che sta nello stesso square incastonata fra un paio di Banche, ha i capitelli e le colonne del suo brutto portico corinzio percorsi da grossi tubi di gas neri che sembrano fasce di lutto.

      Eppure—chi lo direbbe?—questa chiesa, e i suoi tubi, formano l’orgoglio dei bonearensi. Un ex-ministro argentino, grande uomo, celebre per aver mangiato molti milioni sulle opere di salubrità durante l’indimenticabile presidenza di Juarez Celman, davanti al Pantheon a Roma, esclamò: « Muy bonito, si, però, nuestra catedral es mas bella y grandiosa! » Egli di tali sue impressioni geniali ha composto dapprima delle corrispondenze europee al più diffuso giornale di qui, la Prensa, e poi anche un libro, dove ha trovato modo di dichiarare che San Pietro e i Palazzi vaticani con le relative loggie e musei non valgono la Galleria delle Macchine dell’Esposizione di Parigi. Davanti alle Pinacoteche fiorentine ha avuto questa meditazione: Quanti milioni gettati via, mentre oggi la fotografia rende così bene la verità della vita!

      Sembrano scherzi, ma no, si tratta di cose scritte, e soprattutto lette, sul serio. L’ottimo ex-ministro rispecchia abbastanza fedelmente l’opinione dei suoi concittadini. Qui si pensa così della nostra arte, delle nostre grandezze, delle nostre glorie!

       * * *

      Lasciato lo square dall’obelisco patriottico per entrare in certe vie laterali, pare trovarsi nella City, parlo della City londinese, col suo asfalto, le sue Banche, le sue agenzie e la sua folla. Calle Reconquista somiglia a Lombard Street. Banco di Londra e Rio della Plata, Banco di Londra e Brasile, Banco britannico dell’America del Sud, poi Banco Anglo-Argentino, e lì presso il « River Plate Trust », la « Loan y Agency Comp. », e la « New Zealand and River Plate Lond Mortgage Comp. », e la Società Ipotecaria Inglese, una quantità d’istituti finanziarî inglesi fra i quali le altre Banche francesi, spagnuole, tedesche, argentine e italiane, stentano a formare la maggioranza numerica. Biondi commessi in soprabito e cilindro, con le cartelle dei valori sotto il braccio, vi vengono addosso, vi urtano e si allontanano gettandovi un frettoloso: « I beg your pardon! »—Si odono dei rapidi: « Good morning! »—« Good bye! »—« Come è

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