L'Argentina vista come è. Luigi Barzini
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Gl’inglesi a Buenos Aires formano proprio l’« imperium in impero », anzi direi meglio l’« imperium in... repubblica. » Essi formano una potenza a loro. Vivono completamente separati. Chiusi gli ufficî, alla sera, essi corrono alla stazione del « Retiro », e i « dinner trains », pronti per loro, li portano a Belgrano e a Flores, ameni quartieri pieni di giardini e di villette inglesi, che rammentano vivamente i gentili e melanconici sobborghi aristocratici di Londra. A traverso le cancellate dei parchi, profumati da superbe magnolie fiorite, i passanti possono seguire le partite di lawn-tennis, di cricket, di foot-ball che si svolgono sull’erba dei prati; e alla sera, dalle verande aperte, intravvedono il pranzo di famiglia, silenzioso e cerimonioso come in pieno West-End; un’eletta raccolta di gentlemen in abito da società e di ladies in décolletée. Oh! Quell’abito! Vi sono degli inglesi che vivono all’interno, in estancie lontane dal consorzio umano, soli, nella pampa, e che si mettono in frack per andare a tavola!
Quando gl’inglesi hanno voglia d’un po’ di spettacolo, si fanno concedere il Teatro dell’Opera, vi mettono in scena una produzione inglese, e loro se la recitano, se la cantano, se la ballano e se l’applaudiscono, infischiandosene del mondo intero. Giusto adesso essi danno all’Opera un’operetta popolare inglese, il « San Toy », nella quale si possono ammirare delle rispettabili ladies che ballano il passo a due con pudibonda grazia, e delle venerande misses dagli occhiali e i denti rilegati in oro, le quali, vestite da cinesi, cantano:
« Siamo le mogli dell’Imperator!
« Ma qualche volta facciamo del... flirt!... »
Lettori, fuggiamo!
* * *
Due quadri a ponente della City si trova una via che per il suo aspetto ricorda il Corso di Roma: è la Calle Florida, il centro dell’eleganza bonearense. I lettori comprenderanno il significato di quei « due quadri a ponente ». Essi sanno bene come Buenos Aires sia—a somiglianza di tutte le città moderne—costruita a quadrigliato; le strade, tutte eguali in modo desolante, s’intersecano ad angolo retto, alla stessa distanza, formando dei quadri: una cosa più noiosa della nebbia. Il quadro è la base delle distanze, l’unità di misura: gl’indirizzi vengono indicati così: tanti quadri a destra e tanti a sinistra e siete arrivato. Par di camminare sopra una scacchiera; infatti per andare alla Posta io debbo fare il « salto del cavallo »; per andare alla Banca marcio come la « torre », sempre dritto; e vado al club seguendo le regole dell’« alfiere ». Roba da diventar matto, anzi... scacco matto!
Calle Florida dunque è la via dello chic; lì sono i negozî più ricchi, i bars e i caffè più in voga, lì gli eleganti portano a spasso le loro cravatte e le eleganti le loro ultime toilettes parigine. Calle Florida è tributaria in tutto a Parigi; sì, dall’epoca della penultima Esposizione mondiale. Da allora Parigi—unica fra le città europee—gode della stima presso gli argentini. Il « hijo del pais »—il figlio del paese—quando vuol visitare il nostro vecchio ed arretrato continente non ha altra mèta che Montmartre; esplora il « Moulin Rouge », lascia i suoi pesos nei dintorni della place Blanche, e ritorna in patria completamente soddisfatto. A Parigi vivono sempre degli argentini, il cui numero varia anche a seconda della situazione politica; in certe circostanze, per esempio, quando c’è la minaccia d’una guerra col Cile, il viaggiare esercita qui un’attrattiva irresistibile.
Parigi è l’unico termine di paragone con Buenos Aires; giorni sono, al « Grand Prix » di trentamila pesos all’Ippodromo, un diplomatico—che potrebbe anche essere italiano—diceva ad una signora argentina moglie del direttore d’uno dei migliori giornali bonearensi, accennando all’elegante concorso: È un bellissimo spettacolo che forse nemmeno da noi è dato di vedere spesso! La dama si volse sdegnosamente rispondendo: « Sappiate, signore, che soltanto a Buenos Aires e a Parigi si può ammirare una simile cosa! » Poche signore bonearensi avrebbero dato altra risposta. Parigi è nella loro mente il compendio di tutto il bello e di tutto il buono che possegga l’Europa.
Esse non hanno altra ambizione che di rassomigliare a delle parigine. Tutte, senza eccezione, cominciano col trasformare la loro bruna carnagione con l’impiego, senza economia, di tutte le colorazioni che la chimica ha escogitato a questo scopo, dal bianco per il collo al rosato per le gote, dal carminio per le labbra al livido per gli occhi; s’inondano di profumi; s’abbigliano con quanto la moda boulevardière lancia di più vivace e di più ardito. E riescono nel loro intento. Lo straniero che non è ancora al corrente della strana manìa universale, rimane choqué del gran numero di... parigine che vede.
Alla sera tutto questo mondo si ritrova nel parco di Palermo sulle verdi rive del Rio della Plata; lungo le avenide, bordate di palme rigogliose, gli equipaggi sontuosi sfilano lasciando fra i pedoni una scìa d’ammirazione e di maldicenza. Al di là del parco, delle villette e dei giardini si seguono; nel silenzio della campagna, la vita tumultuosa si spegne. La pampa incomincia; essa porta l’infinita e squallida uniformità della pianura fino alla città: Buenos Aires è come un’isola circondata da questo oceano erboso. Nulla viene a rompere la linea sterminata dell’orizzonte, fuori degli innumerevoli elevatori a vento dei pozzi artesiani, grandi ruote a palette sopra armature d’acciaio, che fanno pensare a scheletri di fuochi d’artificio rimasti da un immenso e misterioso festival.
* * *
Dal lato opposto della città gli eleganti non vanno mai. Vi è la Boca del Riachuelo, uno strano rione, un paese quasi, dalle piccole case di legno, di ferro zincato, di casse da petrolio; qualche volta anche di mattoni. Dalle vie sterrate, sulle quali il vento solleva il polverone a vortici, si scorgono piccoli recinti pieni d’immondizie, depositi di vecchi cerchi di botte, di mobili a pezzi, di cenci, di roba d’ogni genere raccolta certamente per la strada e radunata non si sa perchè, forse per quella strana manìa collezionista che accompagna talvolta la miseria. In alcuni cortiletti al piede di alberi rachitici bruciati dal sole, vegetano pomodori ed erbaccie fra i quali razzolano i polli. In certi punti il terreno è paludoso; le vie sboccano in veri pantani. Qui le case sono costruite sopra palizzate, come quelle dei villaggi lacustri; l’acqua marcisce intorno alle abitazioni, tutta coperta da muffe verdi. In alcune strade meno frequentate pascolano liberamente dei buoi, che gettano al vento il loro muggito lamentoso. Per ogni dove piccoli negozî oscuri di almacen dove si vende di tutto; povere mostre polverose coperte di mosche; osterie dalle quali esce il tanfo caldo del vino come dalla bocca d’un ubbriaco; loschi caffè dove non si prende il caffè...
La Boca migliora in prossimità del fiume; vi si vedono dei grandi depositi di legname e di ferro, delle agenzie, degli ufficî. I caseggiati si serrano uno contro l’altro in disordine, come se si affollassero verso lo scalo per osservare curiosamente le golette, i brigantini, i trealberi, i velieri d’ogni forma che ancora preferiscono dar fondo al Riachuelo per antica consuetudine.
La Boca del Riachuelo è genovese. Qui l’aspro dialetto ligure è la lingua comune. I genovesi sono pressochè i soli italiani che vivano riuniti in Buenos Aires, che abbiano formato una comunità separata, e che s’impongano talvolta anche alle autorità ora per avere una « Calle Ministro Brin », ora per reclamare il diritto ad un corpo di pompieri speciale, italiano. Sono marinai e figli di marinai, gente che vive sempre del mare; scaricatori, piloti, battellieri, qualche armatore di velieri: alcuni passati poi al commercio