Il Rancher Si Prende La Sua Sposa Di Convenienza. Shanae Johnson

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Il Rancher Si Prende La Sua Sposa Di Convenienza - Shanae Johnson

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accelerò, superando i quaranta chilometri orari. Era troppo tardi. Il toro individuò la Jeep rossa e gli andò addosso.

      Capitolo Cinque

      Keaton le aveva prese molte volte in vita sua. Aveva studiato Ju Jitsu brasiliano, in cui era stato sollevato e lanciato da una parte all’altra del ring. Era stato preso a calci nel petto durante un allenamento di combattimento corpo a corpo. Gli avevano anche sparato colpendolo sul giubbotto antiproiettile.

      Ogni colpo aveva lasciato un segno. Ogni contatto gli aveva annebbiato la vista. Gli aveva fatto allontanare i pensieri, ma mai abbastanza. Ogni volta, recuperava rapidamente il suo equilibrio e tornava al combattimento in pochi secondi: un momento, al massimo.

      La grande bestia che si dirigeva verso di lui era più grande dei lottatori professionisti e dei combattenti di arti marziali che aveva affrontato sul ring. I suoi zoccoli laceravano il terreno ogni volta che scalciava per prendere velocità verso Keaton. La Jeep e il toro andavano alla stessa velocità, anche se il toro poteva correre più veloce.

      In ogni caso, Keaton non aveva intenzione di sfuggire a quel destino. Fece l’unica cosa possibile. Si preparò all’impatto.

      Il che era un errore. I muscoli e le ossa tesi erano più inclini a farsi male di quelli rilassati. Ma non poteva rilassarsi. C’era un toro di ottocento chili diretto verso la sua porta lato guida.

      La portiera di metallo non era come la piastra corazzata di un giubbotto antiproiettile. I produttori di automobili non avevano ancora creato, ehm, nulla a prova di toro. Il metallo scricchiolò mentre la portiera si piegava alla volontà del toro.

      Keaton sentì l’impatto sulla spalla e sul fianco destro. Ma fu lo schianto fragoroso a scuoterlo. Il suono squarciò il suo senso di equilibrio. Sentì che il tappeto che gli era stato tolto da sotto i piedi era quello che copriva il mondo intero.

      Anche il toro ne sentì visibilmente gli effetti. Rimase fuori dalla porta della Jeep. Stordito. Non batteva ciglio. Il respiro lento e affannoso. Per le condizioni in cui era la Jeep, Keaton era sicuro che il toro avesse un’emorragia interna.

      Una scia di polvere in lontananza attirò la sua attenzione. Un trattore stava venendo verso di lui. Al volante sedeva quella che gli sembrò essere una guerriera amazzone.

      I lunghi capelli castani le volavano dietro le spalle. Le braccia toniche avevano il tipo di muscoli che una donna sviluppa da una dura giornata di lavoro e non da saltelli e volteggi coreografati in palestra. Il suo sguardo era concentrato. Le sue labbra serrate. Keaton sentì il bisogno di sapere di che colore fossero quegli occhi determinati.

      Istintivamente, la sua mano raggiunse la portiera per uscire dalla Jeep. Spinse, ma questa si spostò solo di un paio di centimetri. Non abbastanza per permettere al suo corpo di uscire.

      “Non muoverti,” gridò la guerriera.

      C’era così tanta autorità nella sua voce che Keaton fece come gli fu detto. L’angelo vendicatore parcheggiò il trattore. Saltò giù prima che le ruote si fermassero del tutto. I suoi movimenti si fecero più lenti, e fu come guardare uno di quei film d’azione con le scene al rallentatore.

      No. Non poteva essere il suo movimento ad essere lento. Era sicuramente il suo cervello.

      Sapeva che lei si stava muovendo velocemente, in modo efficiente. Ma i suoi occhi sembravano volersi soffermare sui movimenti di quella donna. Ad ogni sua mossa, il cervello di Keaton preparava il replay, come in una partita di calcio quando si deve rivedere un’azione.

      Le mani di lei si alzarono lentamente. La sua voce era rilassante, calmante. Le sue parole erano belle ma incomprensibili. Ma il significato era chiaro.

       Rilassati.

       È tutto okay.

       Vieni con me.

       Ti farò stare meglio.

      Keaton si rilassò completamente. Tutto il dolore dell’impatto si dissipò. Stava andando con quella donna che prometteva di farlo stare meglio. Si sentiva un uomo migliore solo stando in sua presenza.

      Cercò nuovamente di aprire la portiera della macchina. Di nuovo, essa si mosse a malapena. Tutto tornò alla velocità normale e lui colse un lampo di luce. Era il suo angelo guerriero. E lo guardava con occhi spalancati.

      Erano verdi, comunque. Verdi come un filo d’erba. Un filo d’erba tagliente che poteva lasciare una ferita profonda. Allora, perché aveva il desiderio di rotolarsi nei verdi pascoli del suo sguardo?

      “Va tutto bene, ragazzone,” disse lei.

      La sua voce era un canto melodioso. Ma morbida come se avesse le piume d’acciaio. I sensi di ragno di Keaton formicolarono a quel suono. Non sulla pelle come una premonizione di pericolo. Quella sensazione gli entrò in circolo come un’iniezione di adrenalina. Di nuovo, cercò di uscire dalla Jeep e di andare da lei.

      “Ci penso io, soldato,” disse lei.

      “Lascia che ti aiuti,” le rispose.

      “Tu non fai parte del piano.”

      Keaton si accigliò. Un piano di cui lui non faceva parte? Qualcosa non gli tornava. Aggiunse una nuova voce alla sua lista delle cose da fare: entrare a far parte del piano di quell’angelo guerriero. Qualunque esso fosse.

      A quanto pareva il piano di lei era quello di riportare il toro stordito attraverso il buco nella recinzione. Con un sacchetto di grano e granelli bianchi che sembravano sale, o forse zucchero.

      Il toro scosse la testa come se si stesse svegliando da un sogno. Sbatté le palpebre un paio di volte e poi si concentrò su di lei. Sbuffò dalle narici.

      Stava per atterrarla? Aveva già investito lui. In quel momento Keaton sapeva che sarebbe morto per evitare che qualcosa facesse del male a quella donna. Qualunque fosse il suo piano originale, Keaton stava elaborando il piano B.

      Si buttò fuori dal veicolo. Con la schiena sbatté proprio sulla portiera della Jeep, facendo il contrario di quello che lei gli aveva detto. Ignorò la cosa. I suoi stivali toccarono il suolo.

      Seguiti dalle ginocchia.

      Dalle spalle.

      E, infine, dalla testa.

      L’ultima cosa di cui Keaton si rese conto prima di svenire fu che i granelli bianchi che lei aveva lanciato al toro non erano sale. Erano zucchero. Si chiese se baciando le sue labbra imbronciate e disapprovanti lei avrebbe avuto un sapore altrettanto dolce.

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