La sorella. Giambattista della Porta

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iambattista Della Porta

      LA SORELLA

      PERSONE CHE S’INTRODUCONO

      Attilio giovane

      Trinca suo servo

      Balia di Sulpizia

      Erotico giovane

      Cleria giovane

      Pardo vecchio

      Gulone parasito

      Trasimaco capitano

      Pedolitro vecchio

      Suo figlio

      Costanza vecchia

      Sulpizia giovane

      Orgio vecchio.

      Il luogo dove si rappresenta la favola è Nola.

      ATTO I

      SCENA I

      Attilio giovane. Trinca servo.

      Attilio. E ti disse che Pardo mio padre m’avea ammogliato con Sulpizia?

      Trinca. E mi disse che Pardo vostro padre v’avea ammogliato con Sulpizia.

      Attilio. E la mia Cleria col capitano?

      Trinca. E la vostra Cleria col capitano.

      Attilio. E che le nozze si facevano per la sera seguente?

      Trinca. E che le nozze si facevano per la sera seguente.

      Attilio. E ti parea che lo dicesse da senno?

      Trinca. E mi parea che lo dicesse da senno.

      Attilio. Mi rispondi con le medesime parole, e tanto seccamente, che mi lasci mille desidèri di sapere. Nelle cose d’amore o d’importanza bisogna dir tutte le minuzzarie, perché un minimo atto, una minima parola mi potrebbe indrizzare al rimedio.

      Trinca. Ve l’ho riferito con le medesime parole, che mi son state dette, né piú né meno tantillo ve’: non bisogna dimandarmene piú, che non sarete per saperne altro tutto oggi.

      Attilio. S’affligessero cosí te, come me, non schivaresti cosí di ragionarmene.

      Trinca. E perché so che v’affliggono, però schivo di ragionarvene.

      Attilio. Se ben m’affliggono, pur nell’afflizione vi ritrovo qualche piacer mischiato. Ma ne’ travagli, dove mi trovo, ci sono per li tuoi consigli; e meriteresti che ti spianasse le spalle, ché ancor tu ne patissi la parte del mio affanno.

      Trinca. O gran miseria è l’esser servo d’innamorati, i quali non sanno star nel mezzo, ma sempre sugli eccessi. Quando si trovano nelle calamitá, ti vengono con certe furie adosso, che vogli aiutargli con l’opre o col consiglio, che non ti dan tempo a pensare. E l’uomo si pone a pericolo della forca, se si scuopre: e se per qualche bella invenzione il fatto succede bene, non si ricordano del consigliero e attendono a sollazzarsi; ma, quando si scuoprono gl’inganni e si veggono ne’ pericoli, ti vogliono spianar le spalle, come ministri de’ loro danni.

      Attilio. Te l’ho detto come la sento.

      Trinca. Ben sapete che il volersi sodisfare de illeciti amori e di poco onesti desidèri suol partorir mostri d’infamia e di disgrazie, perché non si conseguiscono se non con inganni e sceleratezze, le quali al fin vengono a scoprirsi, e l’uomo cade poi in travagli peggiori; ma a ciò m’indussero le vostre preghiere.

      Attilio. Ancor che te ne pregava, non dovevi aiutarmi.

      Trinca. Non dicevate cosí allora, che, se non conseguivate la vostra Cleria, volevate andar disperso per il mondo o ammazzarvi con le vostre mani, e mi stavate con le ginocchia in terra pregandomi; e or non vi ricordate, che con le mie astuzie vi ho posto a cavallo.

      Attilio. Anzi su un asino per esser scopato per tutto il mondo.

      Trinca. Pacienza.

      Attilio. Orsú, che faremo per uscir di travaglio?

      Trinca. I vostri travagli a voi s’appartengono. Con i vostri portamenti piú tosto mi sforzate a disservirvi che a servirvi.

      Attilio. Rimedia con qualche medicina, tu che puoi.

      Trinca. Non son medico, né fui mai a Padoa per istudiare.

      Attilio. Col tardar, la malattia mi potrebbe uccidere.

      Trinca. Pigliate silopi e medicine che vi purghino il corpo.

      Attilio. Se tu non vuoi esser mio medico, sarò io tuo. Ti darò un recipe di venti pugna sul mustaccio e di trenta calci nelle reni.

      Trinca. No, no.

      Attilio. So che con due parole tu puoi far miracoli.

      Trinca. Non son negromante, che fo miracoli con le parole.

      Attilio. Non ho visto al mondo piú colerico uomo di te, che avendoti detto, burlando, che ti voleva spianar le spalle, te l’hai preso da dovero. Se ben mostrava colera fuori, burlava dentro. Io offender te, che sei tutto il mio bene?

      Trinca. Ho da servirvi nelle cose oneste, no nelle scelerate.

      Attilio. Non è cosa onesta salvar l’onor e la vita di Cleria mia insieme con me, che, succedendo quel che disegna mio padre, m’ucciderei con le mie mani?

      Trinca. Cosí dicevate allora. Non mi ci cogli piú.

      Attilio. M’hai servito altre volte con molta prontezza; e or, piú che mai bisognoso del tuo aiuto, vengo con la medesima confidenza a pregarti che adopri tutto il tuo sapere e ci metti tutto il tuo studio.

      Trinca. Il padron amorevole e grato fa sollecito il servidore.

      Attilio. Servimi, ché ti darò un paio di calze.

      Trinca. Un paio di calci piú tosto. Ma voi vi promettete molto di me e v’imaginati che con quella agevolezza che dite «aiutami», che subito siate aiutato. L’invenzioni son facili a trovar, ma al riuscir ti voglio: il dir e il fare non mangiano spesso in una tavola: credete di me l’incredibile e pensate che possa l’impossibile.

      Attilio. So che dalla tua scuola sogliono uscir molte buone opre.

      Trinca. Or, poiché m’avete per un tristo, vo’ che ne veggiate l’effetto.

      Attilio. Di grazia, di’ presto, fa’ presto.

      Trinca. La prestezza è quella che guasta i negozi: bisogna maturo consiglio e non prestezza.

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