Nuovi poemetti (1909). Giovanni Pascoli

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Nuovi poemetti (1909) - Giovanni  Pascoli

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quella via… Ma quella era la via

      dell’Universo, l’alta sui burroni

      dell’Infinito ignota Galaxia:

      e prima d’essa Cani Idre Leoni,

      raggianti nelle tenebre celesti,

      gelide: stelle, costellazïoni:

      Soli: sciami di Soli, anzi, con mesti

      pianeti ognuno, dove il fuoco primo

      par che si spenga e che l’amor si desti;

      dove marcisce il puro fuoco in limo

      di vita, impuro, su cui vola forse

      l’uomo con l’ali, o sguazza il fauno simo.

      Le costellazïoni indi trascorse,

      dalla fulgida Lira alla Carena,

      dalla fulgida Croce alle grandi Orse;

      ecco la fitta polvere, la rena

      ogni cui grano è Mondo che sfavilla

      nella sua solitudine serena;

      dove pare un pulviscolo, una stilla,

      il nostro cielo dalla volta immensa…

      se pur là c’è la notte, una pupilla

      nell’ombra, uno che veglia, uno che pensa!

XIII

      E la vecchietta, dietro il suo pensiero,

      guardando il cielo, ora vedea sé stessa,

      non così vecchia, su per un sentiero.

      Andava col su’ omo, era ben messa,

      incignava quel giorno anzi un guarnello:

      andava a su per ascoltar la messa.

      Lo conosceva quel vïotterello:

      era pieno di fragole e di more.

      Quasi quasi n’empiva il suo pannello.

      Ma poi ben altro le diceva il cuore,

      perché sentiva scampanare a festa:

      era la festa delle Quarant’ore.

      Ella saliva i poggi lesta lesta,

      cantarellando, fresca come brina;

      ma in fondo al cuore era tra lieta e mesta.

      E si trovava povera bambina:

      frignava, dicea Pappa, dicea Bombo:

      un’altra voce ripetea: Cammina!

      Tremava in aria più vicino il rombo

      del doppio. Lesta, ché non è lontano!

      Sì, ma le sue gambette erano un piombo.

      Allor sua mamma la pigliò per mano.

XIV

      Una sua nuora, lì con la sua rócca,

      c’era a vegliarla. Ad or ad or lo sputo

      dava alle dita e due prilli alla cocca.

      Svagellava, la nonna. Ogni minuto

      parea l’ultimo. All’ultimo ecco a stento

      aperse gli occhi. Essa lo avea veduto!

      Il Papa! Era per l’Alpe, era tra il vento

      gelido, anch’esso, era piccino e stanco,

      sfinito morto, ma parea contento.

      Come accaldato! Aveva corso in branco

      co’ suoi compagni: aveva il capo in fiamma.

      Ora sudava freddo; e con un bianco

      lino la fronte gli tergea sua mamma.

      ZI MEO

      Guardava ognuno, per un po’, la vigna

      tua lì rimpetto, nell’uscir di chiesa.

      Oh! c’era sempre qualche bella pigna!

      «Non ha finito!» E in dir così, sospesa

      con l’acquasanta ancora avea la mano:

      l’altra reggeva una candela accesa.

      «Tutti vizzati buoni: colombano

      e capobugio». E discendean le soglie,

      a due a due, salmodïando piano.

      O tra la lieve nebbia che si scioglie,

      sole d’ottobre! o come lunghe aurore

      giornate pure! o rosseggiar di foglie

      presso a cadere! o limpide ultime ore!

      Un pesco, tra le viti sciolte, rosso

      era così come quand’era in fiore:

      si ricordava! In faccia a lui, sul fosso,

      grandi castagni con i cardi a ciocche

      in tutti i rami; e i cardi avean già mosso.

      Erano a bocca aperta, e dalle bocche

      già si vedea la bella buccia bionda.

      Oh! il bel tempo del fuoco e delle rócche!

      quando le genti siedono alla tonda

      avanti al fuoco, e quelle donne, quale

      fa le mondine e quale poi le monda:

      quando l’annata sia pur ita male,

      ma il fuoco scalda! ma rallegra il vino!

      e il vino è poco? Meno è, più vale.

      Andavano pensando a San Martino,

      sotto i castagni, e c’eri, su la bara,

      coi panni buoni, tu, mio buon vicino!

      Dal Rio mandava la sua voce chiara

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