A Sinistra. Grazia Deledda

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A Sinistra - Grazia Deledda

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      Grazia Deledda

      A SINISTRA

Bozzetto drammatico

      Personaggi:

      La Madre, la Figlia, uno Straniero.

      Piccolo salotto da pranzo, che serve anche per ricevere.

      È verso sera.

      La Madre e lo Straniero, seduti presso la tavola sulla quale pende il lume già acceso.

      Straniero Parla con lievissima difficoltà di pronunzia l’italiano.

      Lei mi deve scusare, signora, se la disturbo a quest’ora: ma ho girato parecchio per ritrovare questa strada abbastanza eccentrica: nessuno la conosceva, neppure il vetturino che dopo un lungo viaggio mi ci ha condotto.

      Madre Sí, è fuori di mano: è tutto un quartiere nuovo, questo, e le strade non sono neppure indicate sulla pianta della città.

      Straniero È da molto tempo che abita qui?

      Madre Da un anno, dopo la morte del mio povero marito. Finché è vissuto lui, che occupava un’ottima posizione, ci ha accolto il centro della città: morto lui, questa ci ha cacciato via, me e mia figlia, e noi siamo qui, ancora attaccate ai suoi lembi come i bambini alle vesti della madre: poiché mia figlia studia e quindi non possiamo lasciare la città.

      Straniero Che studi fa sua figlia?

      Madre Studiare studia di tutto: deve laurearsi in chimica.

      Straniero Benissimo! Saremo allora quasi colleghi: poiché anch’io, come ho avuto l’onore di dirle presentandomi, sono, o meglio sono stato, ingegnere minerario. Adesso sono in riposo e viaggio per diporto: torno a rivedere, dopo lunghi anni d’assenza, questa terra meravigliosa che per noi del Nord è veramente il paradiso terrestre. E lei, signora, indovina certo lo scopo della mia visita: quando ha aperto la porta, nel vedermi e sentire il mio nome, ha impallidito come davanti a un ladro o ad una persona che si crede morta: eppure non mi conosce né sa donde vengo.

      Madre Non so. Da molto tempo tutti gli stranieri che si sono avvicinati a me hanno turbato il mio spirito.

      Straniero Capisco il perché. E infatti io sono l’amico posso dire il piú intimo del suo cugino. E vengo a salutarla a nome suo. Egli è gravemente malato, anzi è condannato a morire: è questione di mesi. E una ossessione lo perseguita: egli crede di scontare un suo antico peccato: quello di aver fatto male a lei.

      Madre A me non ha fatto del male, poiché tutto per me si è risolto in bene.

      Straniero Non si sa nulla di quello che poteva essere una vita non vissuta: e tutto quello che può torcere la linea della nostra vita è male. Ho conosciuto suo cugino trent’anni fa, appena arrivò su da noi. Aveva per me una lettera di presentazione di un comune amico. D’età io ero un poco piú giovane di lui, ma molto piú vecchio di pensiero e di razza. Non so se mi piaceva o mi dispiaceva il suo carattere spregiudicato, dirò anche leggero, il suo modo di giudicare le cose, fra il cinico e il superstizioso: aveva poi dei cambiamenti strani, contradittorii, cosa assolutamente ignota fra noi: era come una di queste vostre feline giornate d’aprile. E mi accorsi, con vera indignazione, ch’era anche bugiardo. Ora, tutto si perdona all’uomo, anche il delitto; non la bugia. Per molto tempo, per esempio, mi fece credere che era scapolo, poi che era bigamo, ragione per la quale aveva dovuto lasciare il suo paese; infine mi raccontò di aver moglie dalla quale si era separato in seguito all’avventura con lei, sua cugina, cioè dopo la loro relazione e il tentativo di fuga. Io stentai a credere anche a quest’ultima versione, finché egli, ottenuta la nostra cittadinanza, non si divorziò, consenziente la moglie. Il nostro clima parve lentamente cambiare il suo carattere: o meglio è che sotto una maschera multiforme si nascondeva in lui un uomo fermo, duro, ambizioso. Egli era venuto in semplice missione governativa per lo studio delle nostre miniere: in breve divenne azionista e industriale lui stesso: possiede adesso parecchi milioni e non sa a chi lasciarli.

      Madre Egli ha parenti ancora, nel paese: e la moglie, davanti a Dio, è sempre sua moglie.

      Straniero La moglie, lei forse lo sa, ha preso un altro marito. Dei parenti egli non ricorda che lei. Egli è perfettamente libero: libero, intendiamoci, davanti alla morte. E nei deliri lucidi del suo male divoratore chiede sempre di rivedere la fanciulla che ha sedotto quasi ancora bambina, e morire perdonato da lei. E poiché anche lei è ormai libera, e se vorrà accettare, egli desidera lasciarle il suo nome e la sua fortuna.

      Madre Si nasconde il viso fra le mani, scossa da violenta agitazione: poi fa forza a se stessa e si solleva quasi con fierezza.

      Anzitutto egli non mi ha sedotta, nel senso volgare della parola. È riuscito a farsi amare da me, o meglio ci siamo amati, cosí, per forza naturale, come tutte le coppie si amano: e l’occasione stessa ci ha favoriti. Si abitava una casa col giardino in comune, con l’ingresso in comune: io d’altronde lo conoscevo poco; egli aveva studiato nelle grandi città, e per me egli non era un cugino come tutti gli altri, ma un uomo del mondo ignoto che io sognavo come un paese fantastico e irraggiungibile. Egli sposò e portò nel piccolo paese nostro una donna della città: e questo io lo trovai giusto, naturale: innaturale mi sembrò che in breve essi non andassero piú d’accordo: la donna si annoiava, e pare anche non gli restasse fedele. Egli allora si volse a me, smarrito, come un malato che si guarda nello specchio. Ero la donna della sua razza, io, quella che poteva rispondergli anche in silenzio che c’era speranza ancora di vita. Creda, signore, noi si combinò la fuga come due ragazzi che scappano di casa senza sapere bene il perché: solo, forse, per illusione di cambiar vita. L’occasione, ripeto, ci favoriva. Egli doveva andare in missione all’estero, in un paese freddo e grigio: la moglie non volle accompagnarlo: preferiva tornarsene, per il momento, presso la sua famiglia. Ed egli mi convinse a partire con lui. Le racconto tutto questo non per scusarmi ma per dire come a volte la vita si diverte con noi. E la nostra fuga parve davvero un gioco, una burla, perché si riuscì a prenderci subito, alla stazione, come due ladri. Egli proseguí il viaggio, e mai piú mi scrisse né si fece vivo: e dopo un compenso di schiaffi lavati da molte lagrime io mi rassegnai; e lei capirà, signore, che la mia natura era troppo sentimentale e ardente per fermarsi al primo amore: ne trovò presto un secondo che annegò completamente l’altro, amore tanto piú forte perché nutrito dalla riconoscenza verso l’uomo che mi amava e riponeva tutta la sua fede in me nonostante le calunnie che m’incoronavano. E sono stata felice, e ho dimenticato. Come vede, dunque, egli non deve crearsi inutili rimorsi: e deviata è la sua, non la mia vita: la colpevole maggiore sono io.

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