I pescatori di balene. Emilio Salgari

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу I pescatori di balene - Emilio Salgari страница 13

I pescatori di balene - Emilio Salgari

Скачать книгу

tutta lena! – gridò ad un tratto il tenente.

      La baleniera partì rapida come una saetta. In brevi istanti si trovò a sole venti braccia dal cetaceo.

      – Koninson! – gridò il tenente.

      – Pronto, signore! rispose il fiociniere.

      – Getta!…

      Koninson alzò il rampone, lo fece oscillare innanzi e indietro e lo lanciò con tutta la forza del suo braccio, piantandolo profondamente nel fianco destro della balena in un punto ricco di tendini e di carne.

      Parve che il cetaceo subito non si accorgesse di essere stato ferito, ma dopo alcuni secondi agitò furiosamente la coda lanciando contemporaneamente una nota così acuta da udirsi a parecchi chilometri di distanza.

      – Attenti ragazzi! – gridò il tenente, mentre Koninson afferrava una lancia munita di una specie di palla taglientissima.

      La baleniera si spinse innanzi a tutta velocità, ma il cetaceo si rovesciò bruscamente sul fianco ferito sforzandosi di strapparsi l’arma, che doveva farlo soffrire atrocemente; indi si tuffò con grande fracasso, dopo aver lanciato un’altra e più formidabile nota.

      – Maledetto! – gridò Koninson – Se aspettava due secondi ancora, gli tagliavo i tendini e l’arteria della coda.

      La lenza filava rapidissimamente, anzi tanto che si dovette bagnare il bordo della baleniera affinchè per il continuo strofinio non si accendesse. Ben presto fu quasi tutta finita; Koninson ne aggiunse un’altra.

      – Per mille, boccaporti! – gridò il fiociniere. – Vuol scendere all’inferno?

      – Pazienza, – Koninson – disse il tenente. Ricomparirà, te lo dico io.

      Mezzo minuto dopo la lenza cessò di filare.

      – Ehi, mastro Widdeak, sta bene attento! – gridò il tenente. – Il cetaceo apparirà vicino alla tua baleniera.

      – Lo riceveremo, come si deve! – rispose il mastro.

      – Eccolo! Eccolo! – gridarono ad un tratto alcuni marinai.

      Sulla tranquilla superficie del mare, a una sola gomena dalla prua della baleniera di Widdeak, era stato scorto il tremolio.

      Harwey, che era ansioso di lanciare la sua arma si alzò di colpo.

      Poco dopo il gigante apparve. Aveva il rampone ancora piantato nel fianco e manifestava il suo dolore con sordi brontolii e con un continuo eruttare di densi vapori dai due sfiatatoi.

      Mastro Widdeak diresse verso di lui la sua baleniera. Harwey alzò il rampone e lo lanciò con grande forza.

      Il cetaceo, nuovamente ferito, emise una formidabile nota che durò otto o dieci secondi. Si sarebbe detto che quella nota era prodotta da una impetuosissima corrente d’aria spinta dentro un largo tubo di bronzo.

      Subito dopo il mostro si mise a guizzare qua e là, ora avvicinandosi alle baleniere e ora allontanandosi come se avesse completamente perduto la testa. La sua possente coda e le sue grandi pinne pettorali battevano furiosamente l’acqua sollevando delle ondate. Sordi brontolii gli uscivano dalla gola e fischi acuti, dagli sfiatatoi i quali lanciavano senza posa bianchissime e molto dense nubi di vapore.

      – Avanti! Avanti! – gridò Koninson.

      Il tenente, punto curandosi dei colpi di mare e punto spaventato dai tremendi colpi di coda che il mostro avventava, fece avanzare la baleniera mentre mastro Widdeak girava al largo per non imbrogliare le due lenze.

      I cacciatori con pochi colpi di remo si trovarono a breve distanza dal cetaceo.

      Koninson che era diventato frenetico, appena lo vide alzare la coda gli lanciò il rampone dalla punta rotonda, colpendolo nelle ultime vertebre caudali. Dalla larga ferita uscì subito un grosso rivo di sangue, il quale arrossò per un largo tratto le acque.

      – Urrah! Urrah! – urlò il fiociniere balena è nostra!

      Infatti per il cetaceo era ormai finita. Colpito ai fianchi dai due ramponi e poi sotto la coda da quella larga palla tagliente che gli aveva recisi i tendini e l’arteria, non poteva più fuggire. Era questione di ore, forse di soli minuti, poichè le baleniere tornavano alla carica per gettare le lancie.

      In meno di quindici secondi altre ferite gli furono aperte sui fianchi dai due fiocinieri, e tutte mortali.

      Allora cominciò l’agonia, ma un’agonia terribile e pericolosissima, non solo per le baleniere, ma per il «Danebrog».

      Il gigante diventato pazzo per il dolore e anche cieco si precipitava in tutte le direzioni con impeto irresistibile. Usciva più di mezzo dall’acqua, si tuffava, tornava a galla, si rovesciava sui fianchi, ora filava colla rapidità di una freccia, ora si arrestava mandando suoni rauchi, metallici o note potenti, ora descriveva delle curve o dei bruschi angoli.

      Il «Danebrog» si era messo nuovamente alla vela per non venire investito e si teneva ad una grande distanza e le due baleniere avevano un gran da fare per non venire subissate dalle onde che il gigante sollevava, o sfasciate dalla coda.

      Ad un tratto però la balena si arrestò. Dai suoi sfiatatoi uscirono con sinistro rumore due getti di sangue che arrossarono una grande zona di mare, poi un fremito agitò l’intera massa.

      Mandò un’ultima e più acuta nota, indi sollevò la testa mostrando la sua immensa bocca, poi si rovesciò sul dorso e rimase immobile col ventre a fior d’acqua.

      Era morta!

      VIII. I PRIMI GHIACCI

      Pochi minuti dopo il «Danebrog» che, come si disse, aveva già spiegato le vele, abbordava la balena che era tornata a galla e presso la quale si erano già ormeggiate te le due baleniere.

      Il gigante galleggiava in mezzo ad un ampio cerchio di sangue uscitole dalle numerose ferite apertegli dai ramponi e dalle lancie e sul suo ventre avevano già preso posto gli uccelli marini sempre pronti ad accorrere dove sanno che c’è da rimpinzarsi. Ve n’erano delle migliaia giunti da tutte le parti dell’orizzonte e specialmente dalla costa americana che non distava più di sette miglia.

      Lo smembramento cominciò subito. Il capitano, seguito da un forte drappello di marinai armati di pale taglienti, entrò nella bocca della balena, dopo averle strappato il labbro inferiore, onde estrarle la lingua che è lunga non meno di otto metri e per raccogliere i fanoni i quali sono in numero di settecento, della lunghezza di cinque metri, un po’ curvi, stretti gli uni agli altri per lo più neri ma talvolta anche variegati. Pendono dalla mascella superiore e sono riuniti da una sostanza glutinosa, attaccaticcia assai, la quale disseccandosi forma su di essi una specie di vernice lucida e liscia.

      Terminate queste due importanti operazioni, i marinai posero mano alla dipanazione di quell’enorme massa che pesava non meno di novantamila chilogrammi e che era avvolta da un grossissimo strato di grasso.

      Ben presto i fornelli ricominciarono a funzionare empiendo l’aria di un fumo nerissimo e fetente e la coperta del legno offerse il riluttante aspetto che abbiamo già descritto nello smenbramento del capodolio. Questa volta però fiocinieri e marinai lavoravano con maggior alacrità, essendo impazientissimi di rimettersi alla vela. Quegli uomini che da parecchi anni navigavano in quei freddi mari, quantunque la temperatura fosse, cosa insolita, ancora mite, presentivano

Скачать книгу