Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari

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Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari

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della spada.

      – Dovranno fare i conti con questa lama! – gridò. – Dite al capitano degli alabardieri che attenda dieci minuti, perché la marchesa di Montelimar possa finire tranquillamente la sua colazione e, se insiste, fatelo bastonare dai servi… Mendoza! Martin!

      I due marinai, udendo quella chiamata, si precipitarono nel salotto, spingendo da una parte il povero maggiordomo e sguainando le spade.

      – Conte! – esclamò la marchesa, la quale era diventata pallidissima.

      – Che cosa significa ciò?

      – Ve lo dirò subito, signora – rispose il corsaro. – Permettetemi

      d’interrogare prima i miei uomini… Per me si tratta di vita o di morte.

      – Che cosa dite?

      – Fra mezzo minuto, marchesa. Parla tu, Mendoza!

      – Signor conte, pare che si preparino a prenderci, o per lo meno ad arrembarci – rispose il vecchio marinaio. – Tutti i galeoni e le caravelle da qualche ora prendono posizione dinanzi all’uscita del porto, come se avessero intenzione di impedirci di guadagnare il largo. Qualcuno deve aver tradito il nostro segreto.

      – Che cosa ha fatto il mio tenente?

      – Il signor Verra ha fatto caricare i cannoni, per essere pronto a mitragliare galeoni e caravelle, ed ha comandato a tutti i marinai di armarsi. Non abbiamo a fondo che una sola ancora.

      – Benissimo: è un brav’uomo che non si lascia mai cogliere di sorpresa. Ah, i marinai genovesi! Nessuno può eguagliarli.

      – Conte, – gridò la marchesa – che cosa dite voi?

      – Un momento ancora, signora – rispose il fiero giovane. – Mendoza, sono tutti a bordo i miei uomini?

      – Tutti, capitano.

      – Siamo in ottanta e faremo sudare freddo quelli che vorranno impedirci di prendere il largo… Ora a voi, signora di Montelimar. Io ho vinto la corsa al gallo e voi mi siete debitrice d’un bacio. Permettete dunque che io ne deponga uno sulle vostre belle mani. Sarà certamente il primo e l’ultimo, poiché, se non accade un miracolo, fra pochi minuti scomparirà anche l’ultimo conte di Ventimiglia, di Roccabruna e di Valpenta!

      – Di Ventimiglia, avete detto? – esclamò la marchesa.

      – Sí, signora, io sono il figlio di quel Corsaro Rosso che i vostri compatrioti hanno appiccato!

      La marchesa stette muta per qualche istante, in preda ad una vivissima emozione.

      – Signor conte, – disse – io non lascerò arrestare sotto i miei occhi, nel mio palazzo, un gentiluomo come voi.

      – Che cosa volete fare, signora?

      – Salvarvi!

      – In qual modo?

      – Seguitemi tutti e, soprattutto, fate presto. Il capitano degli alabardieri sarà irritato per questa lunga attesa.

      Aprí la porta del salotto e introdusse i tre corsari in una stanza da letto, la sua probabilmente, a giudicare dalla ricchezza della mobilia, e s’avviò ad un caminetto che era chiuso da una lastra di bronzo lavorata a cesello. Mise una mano su uno dei tanti fiori che la ornavano e premette rapidamente. La lastra subito scattò, aprendosi: Tosto apparvero dei gradini che conducevano in alto.

      – È un passaggio segreto, aperto nello spessore della muraglia – disse la marchesa – e da tutti ignorato. Conduce ad una delle piccole torricelle che s’innalzano sul tetto. Salite e aspettatemi lassú piú tardi.

      – Il bacio, marchesa – disse il conte.

      La bella signora gli porse la mano.

      Il corsaro vi depose un bacio, poi si slanciò su per la scaletta, seguito da Mendoza e da Martin.

      La marchesa rinchiuse la lastra, mormorando: – Povero giovane! Uccidere un cosí valorose gentiluomo? No, non voglio; anche essendo un nemico del mio paese, io lo salverò, checché debba accadermi. Non voglio che si dica che un Montelimar ha tradito un suo ospite.

      Chiuse la porta ed entrò nel salotto, mettendosi a centellinare una tazzina di cioccolata, sforzandosi di parere perfettamente tranquilla.

      Un momento dopo il maggiordomo entrava, annunziando il capitano Pinzon.

      – Passi pure – rispose la marchesa continuando a sorseggiare la cioccolata.

      Il capitano degli alabardieri, un soldataccio con due enormi baffi grigiastri e gli occhi vivissimi, entrò togliendosi il cappello di feltro.

      – A quale onore debbo la vostra visita? – chiese la marchesa, sempre tranquilla, additandogli una poltrona. – Spero che accetterete un po’ di cioccolata che viene dal Guatemala, dal paese cioè che produce la piú eccellente cioccolata del mondo.

      Il capitano rimase un po’ sorpreso, poi disse: – Perdonate, signora, se vi disturbo; ma sono stato mandato dal governatore della città.

      – Per arrestarmi? – chiese la bella vedova ridendo.

      – Non voi, ma una persona che poco fa deve aver fatto colazione qui, con voi.

      – Eh, che cosa dite, capitano? – esclamò la marchesa aggrottando la fronte e alzandosi di scatto.

      – Arrestare chi?

      – Quel conte che si veste tutto di rosso.

      – Lui! Un gentiluomo?

      – Un bandito, signora!

      – Lui? È impossibile!

      – È un Ventimiglia, un parente di quei terribili corsari che con Pierre le Grand, con Laurent, con Wan Horn e con l’Olonese, hanno espugnato tante città del Golfo del Messico.

      – Oh, mio Dio! – esclamò la marchesa, lasciandosi cadere sulla poltrona.

      – Se vi foste ingannati?

      – Abbiamo la prova che è certamente un Ventimiglia.

      – In quale modo avete potuto ottenerla?

      – La lama che era rimasta infissa nel petto del conte di Sant’Iago portava inciso il nome del suo uccisore.

      – Allora avrete già distrutta la sua fregata?

      – Non ancora, marchesa – rispose il capitano. – Aspetteremo che la notte cali per abbordarla. Dov’è quel signore?

      – È già partito.

      – Partito? – esclamò il capitano diventando livido.

      – Mi ha lasciato mezz’ora fa, dopo aver fatto colazione con me, dicendomi che andava a fare una passeggiata nel giardino.

      Il capitano si diede un pugno sulla corazza.

      – Che egli mi abbia veduto attraversare le cancellate del giardino? – sí domandò,

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