Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari

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Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari

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tamburi, dei cannoni.

      Il guascone si era arrestato, bestemmiando in francese o in spagnuolo.

      – Ehi, camerata, avresti per caso perduta la bussola che tu affermavi d’avere dentro il cervello? – chiese Mendoza.

      Il guascone stette un momento zitto, poi picchiandosi furiosamente la corazza che gli rinserrava il petto, rispose:

      – Pare proprio che si sia guastata.

      – Chi?

      – La mia bussola.

      – Ecco una faccenda seria per la gente di mare.

      – E anche qualche volta per la gente di terra, – rispose l’avventuriero, il quale appariva sconcertato. – Come mai mi sono smarrito? Eppure queste boscaglie le ho scorse piú volte.

      – Spero, don Barrejo, che non avrete l’intenzione di farci divorare dai caimani, – disse il signor di Ventimiglia.

      – Ci tengo alle mie gambe non meno di voi, – rispose il guascone. – Volete un consiglio, signor conte? Aspettiamo l’alba.

      – Ed intanto schiacciamo un sonnellino – aggiunse Mendoza. L’erba è folta e fresca e dormiremo meglio che su una branda della Nuova Castiglia.

      – E i caimani intanto cenerebbero con i vostri piedi – disse il guascone. – Non chiudete gli occhi, signore, ve ne prego. Io so come sono pericolose queste paludi!

      – Avete un sigaro, don Barrejo? – chiese il conte.

      – Sono ben provvisto, signor conte, ed è tabacco di Cuba, il migliore che si coltivi in tutto il golfo del Messico.

      – Datemene uno, e aspettiamo che il sole spunti. Spero che non ci farete perdere in mezzo alle boscaglie di San Domingo.

      – Zitto, signore!

      – Che cosa c’è ancora? Se è qualche caimano, lo taglieremo in due a colpi di spada. Anzi, non ho ancora visto lavorare la vostra draghinassa.

      – Altro che caimano! È una cinquantina che s’avvicina. Zitti!

      Tutti si misero in ascolto, dopo essersi gettati dietro l’enorme tronco d’un albero di cotone selvatico. Pareva che un grosso drappello uscisse dal bosco. Si udivano i passi pesanti e cadenzati di uomini abituati a marciare in colonna.

      – Adesso ci prendono! – borbottò Mendoza. – Che splendida passeggiata notturna! Era molto meglio restarcene a San Domingo.

      – Zitto, eterno brontolone! – sussurrò il conte. – Sai che le cinquantine non desiderano altro che di andarsene pei fatti loro. Non ti muovere, e vedrai che nessuno verrà a cercarti dietro a questa pianta.

      – Ben detto, signor conte, – disse il guascone. – D’altronde basterebbe sparare un colpo di pistola per far scappare quei poveri diavoli. Da quando i governatori hanno avuto la pessima idea di privarli delle armi da fuoco, non si sentono piú in grado né di darci, né di fare battaglia.

      – Purché non abbiano con loro dei cani, – disse Mendoza.

      – Ecco quello che temo, – rispose il guascone. – Voi avete però quattro pistole. Datene una a me e vedrete che scapperanno come lepri, benché non manchino di coraggio, questo ve lo assicuro io. Lo spagnuolo è sempre stato un buon soldato e nemmeno io, se avessi in mano una spada contro un buon bucaniere armato d’archibugio volterei le spalle, eppure sono un guascone.

      – Ricco di guasconate! – disse Mendoza, un po’ ironicamente.

      – Mi vedrete all’opera, camerata, – rispose il soldato, un po’ piccato. – Silenzio, s’avanzano.

      Un grosso drappello era sbucato di fra le canne e le erbe e avanzava lungo la fronte della foresta. Si trattava veramente d’una di quelle famose cinquantine, armate esclusivamente d’alabarda e di spade, senza nessuna bocca da fuoco. Era composta tutta di alabardieri con elmetto e corazza, difese affatto insufficienti contro le grosse palle dei bucanieri.

      Era preceduta da un doz di Cuba. Questi cani ferocissimi sono molto grossi, molto robusti e d’un coraggio a tutta prova, e gli spagnuoli li usavano specialmente contro gli indiani, i quali avevano una paura terribile di quelle bestiacce.

      A quei doz cubani si deve piú che altro la conquista delle numerose colonie del golfo del Messico. Si può anzi dire che la Colombia fu conquistata piú da loro che dagli avventurieri.

      Il cane, giunto in vicinanza del grosso albero del cotone, si era fermato, aspirando fragorosamente l’aria, e la cinquantina, che era guidata da un ufficiale, si era subito disposta su quattro linee abbassando le alabarde.

      – Camerata, – sussurrò Barrejo, rivolgendosi a Mendoza – voi occupatevi di quel cagnaccio e badate di non sbagliare il colpo o vi salterà alla gola.

      – È un affare che sbrigherò io, – rispose il filibustiere.

      – Alla cinquantina penseremo io e il signor conte.

      Tutti e tre avevano armato le pistole e si tenevano l’uno presso l’altro, pronti a sguainare le spade.

      Il doz cubano fiutava sempre, volgendo la testa massiccia verso l’enorme albero e ringhiando sordamente. Doveva aver sentito che là si nascondeva il nemico.

      Un grido s’alzò fra gli uomini d’avanguardia della cinquantina

      – Ay, perrito!

      Il cagnaccio, udendo quel comando, si slanciò furiosamente, sperando di azzannare i misteriosi avversari che non osavano mostrarsi.

      Mendoza, che lo teneva d’occhio, fu pronto a sparare e gli fracassò il cranio, mentre il conte ed il guascone facevano fuoco contro la cinquantina, tirando a casaccio.

      Allora gli spagnuoli, credendo d’aver dinanzi qualche grosso drappello di quei terribili bucanieri che non sbagliavano mai la mira, in un lampo si dileguarono, gettandosi in mezzo ai canneti delle paludi.

      – Ecco la cinquantina sgominata! – disse il guascone ridendo. Lavoriamo tuttavia di gambe, perché domani mattina tornerà qui e se si accorgerà, dalle nostre tracce, d’aver avuto da fare con soli tre uomini, ci darà una caccia terribile. Corriamo, signor conte!

      – E queste sono le splendide passeggiate che si fanno a San Domingo – disse Mendoza. – Preferisco quelle che si fanno sulla tolda della Nuova Castiglia.

      Si erano messi a correre, come se avessero altri molossi alle calcagna.

      Il guascone, che aveva le gambe piú lunghe di tutti, marciava con una rapidità incredibile lungo la fronte della boscaglia, dietro però la prima linea degli alberi, per paura che la cinquantina, rimessasi dalla sorpresa, si fosse nuovamente ordinata e formata per la caccia.

      – Questo briccone ha giurato di farmi morire completamente sfiatato! – brontolava Mendoza, il quale sbuffava come un bufalo. – Quanto durerà questa storia?

      Pareva proprio che il guascone possedesse una resistenza incredibile e muscoli di acciaio, poiché non rallentava nemmeno un momento la sua corsa.

      Il figlio del Corsaro Rosso si mostrava non meno resistente, anzi, aveva maggiore slancio, come

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