Il re del mare. Emilio Salgari
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– Gettalo fuori.
– Che potesse essere qualche thug.
Yanez invece di accogliere quelle parole con un sorriso, come l’indiano s’aspettava, era diventato lievemente pallido.
– Sei ben certo, Tremal-Naik, – disse poi con voce grave, – che tutti i luogotenenti di Suyodhana, il capo degli strangolatori, siano stati uccisi da noi nelle caverne di Raimangal o dagli inglesi nelle stragi di Delhi? Chi ce lo assicura?
– E tu vorresti che quel qualcuno avesse pensato a vendicare Suyodhana dopo undici anni?
– Tu hai provata la tenacia ed hai pure provato l’odio implacabile di quegli assassini. Tu sei stato la causa della loro fine.
Tremal-Naik era tornato a diventare pensieroso ed il suo viso tradiva una profonda angoscia. Ad un tratto, fece un gesto come per cacciare via qualche visione, poi disse:
– No, è impossibile, è assurdo. I thugs, ammesso che ve ne siano ancora in India, non avrebbero atteso tanto. Quel pellegrino deve essere qualche furfante che cerca d’imporsi ai dayaki per fondarsi qualche sultania e che finge di odiarmi. Avrà fatto spargere la voce che io non sono un mussulmano, che io sono forse un nemico dei dayaki, una creatura inglese incaricata di soggiogarli o qualche cosa d’altro per mandarmi via di qui. Sarà tutto quello che vorrai, anche un vero fanatico, ma non un thug.
– Sia come vuoi tu, ma mi pare che tu ti trovi in una non bella condizione. Hai perdute tutte le fattorie?
– Le hanno saccheggiate e poi arse.
– Sarebbe stato meglio che tu fossi rimasto con noi a Mompracem.
– Volevo tentare di colonizzare queste coste e incivilire questi barbari.
– E hai fatto un buco nell’acqua, – disse Yanez, ridendo.
– Purtroppo.
– E ci rimetterai qualche centinaio di migliaia di rupie. Meno male che le tue fattorie del Bengala possono pagare le spese. Quando sgombreremo?
– Ti chiedo solo ventiquattro ore, – rispose Tremal-Naik, – per poter raccogliere il meglio che posseggo, poi daremo fuoco a tutto e raggiungeremo la tua nave.
– E correremo al più presto verso Mompracem, – disse Yanez. – La nostra presenza è necessaria laggiù.
Aveva pronunciate quelle parole con un tono così grave, che l’indiano ne fu colpito.
– C’è qualche cosa in aria? – chiese.
– Ma… non si sa ancora. Corrono delle voci che inquietano la Tigre della Malesia.
– E quali?
– Che gli inglesi abbiano intenzione di farci sloggiare da Mompracem. È un po’ di tempo che tutti gli atti di pirateria che succedono lungo le coste occidentali dell’isola li addebitano a noi, quantunque da molti anni i nostri prahos dormano sulle loro àncore. Dicono che la nostra presenza incoraggia i pirati costieri e che noi direttamente o indirettamente li aizziamo contro le navi che si recano a Labuan. Frottole, ma già tu conosci la doppiezza del leopardo inglese.
– E anche la sua ingratitudine, – disse l’indiano. – Ecco come vorrebbero compensarci d’aver liberata l’India dalla setta dei thugs. E Sandokan cederebbe?
– Lui! Ah! Quell’uomo è capace di gettare il guanto di sfida contro tutta l’Inghilterra e di…
Un lontano colpo di cannone gli aveva interrotta la frase.
– Hai udito? – esclamò, balzando in piedi in preda ad una vivissima agitazione.
– Sì, il cannone tuona verso il sud.
– I dayaki attaccano la Marianna!
– Seguimi sull’osservatorio, Yanez, – disse Tremal-Naik. – Di lassù potremo udire meglio da quale parte giungono gli spari.
8. Lo scoppio della Marianna
I due uomini, visibilmente impressionati, uscirono dalla stanza e, salita una scala, si trovarono su una delle terrazze del bengalow su cui si alzava la torricella o meglio il minareto, essendo altissimo e sottilissimo, con una piccola gradinata esterna.
In pochi istanti raggiunsero la cima che terminava in una piccola piattaforma circolare, su cui trovavasi una grossa spingarda dalla canna lunghissima che doveva battere da quell’altezza tutti i punti dell’orizzonte.
Il sole erasi già alzato diffondendo sulla pianura i suoi raggi dorati, appena sorti e già subito ardentissimi, non essendovi in quelle regioni nessuna frescura, nemmeno nelle prime ore del mattino.
I dayaki che assediavano il kampong, coll’apparire della luce, si erano allontanati di sei o settecento metri, riparandosi dietro ai grossi tronchi d’alberi appositamente abbattuti onde servirsene a modo di trincee mobili, potendo farli scorrere innanzi o indietro, a loro piacimento.
Pareva che durante la notte fossero aumentati di numero, perchè Tremal-Naik, appena ebbe lanciato uno sguardo all’ingiro, non potè trattenersi dall’esclamare: – Ieri sera non ve n’erano tanti intorno a noi.
Yanez stava per chiedergli qualche cosa, quando un secondo colpo di cannone si udì rimbombare in lontananza, ripercuotendosi contro le cinte del kampong.
– Questo rombo viene dal sud! – esclamò il portoghese. – Sono i cannoni da caccia della Marianna che tirano. I dayaki hanno assalito i miei uomini.
– Sì, – confermò l’indiano, – viene dalla parte del Kabatuan. Credi che possano respingere il nemico, coi pezzi che hanno a loro disposizione?
– Bisognerebbe conoscere il numero degli assalitori. Di quali forze dispone quel maledetto pellegrino?
– Ha fanatizzato quattro tribù e ognuna deve avergli fornito non meno di centocinquanta guerrieri.
– E armati di fucili?
– Sì, Yanez. Quell’uomo misterioso ha portato con sè un vero arsenale e perfino dei lilà e dei mirim. Toh! Un altro colpo!
– E queste sono le spingarde! – esclamò Yanez, facendo un gesto di rabbia.
Dalla parte dell’immensa foresta che si estendeva verso il sud, giungevano ad intervalli delle detonazioni più leggere e più secche che dovevano essere prodotte da pezzi a canna lunga.
Poi gli spari aumentarono rapidamente d’intensità, formando un rimbombo incessante, come se molti pezzi d’artiglieria e molte spingarde sparassero insieme.
Yanez era diventato pallido e nervosissimo. Passeggiava intorno alla piattaforma come un leone in gabbia, interrogando ansiosamente cogli sguardi tutti i punti dell’orizzonte. Anche l’indiano era in preda ad una sovraeccitazione vivissima.
I colpi si succedevano intanto ai colpi. Una battaglia furiosa, terribile, doveva essersi impegnata sul fiume fra il poco numeroso equipaggio della Marianna e le grosse forze del misterioso pellegrino.
– E