Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Jolanda, la figlia del Corsaro Nero - Emilio Salgari

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fulminea si gettò da un lato, per non ricevere la scarica in pieno petto e vibrò al doganiere una puntata così terribile in mezzo al ventre, da passarlo da parte a parte.

      Quasi nello stesso momento Wan Stiller, il quale certo si era messo in guardia per la parola pronunciata dal compagno che doveva avere un significato, si precipitava sul secondo doganiere, che era ben lungi dall’attendersi quell’improvviso attacco.

      Con un rovescione spezzò netto il manico dell’alabarda, poi colla guardia della spada lo percosse tremendamente sul cranio, facendolo stramazzare al suolo mezzo accoppato.

      I due spagnoli erano caduti l’uno sull’altro, senza aver avuto il tempo di mandare un grido.

      «Bel colpo, Carmaux» disse l’amburghese.

      «E di corsa. La fortuna non protegge due volte di seguito».

      Volsero uno sguardo all’intorno e non vedendo nessuno, balzarono fra le aiuole e presero il piantatore per le gambe e le braccia, correndo poi verso la riva.

      Don Raffaele, mezzo soffocato e anche mezzo morto di spavento, non aveva opposta alcuna resistenza, anzi non aveva nemmeno approfittato dell’intervento dei due doganieri per cercare di fuggire.

      Presso la riva si trovava una di quelle scialuppe strettissime, chiamate baleniere, fornita d’un piccolo albero con un’antenna e di timone.

      Carmaux e Wan Stiller vi salirono, deposero il piantatore fra i due banchi di mezzo, gli legarono le gambe e le braccia, lo copersero con un pezzo di vela, poi presero i remi e sciolsero l’ormeggio.

      «È mezzanotte» disse Carmaux, dando uno sguardo alle stelle, «e la via è lunga. Non vi giungeremo prima di domani sera».

      «Teniamoci sotto la riva: vi è la caravella che veglia al largo».

      «Passeremo egualmente» rispose Carmaux. «Non inquietarti».

      «Alziamo la vela?»

      «Più tardi. Avanti e non fare troppo rumore».

      La baleniera partì velocissima e silenziosa, rasentando la gettata, per tenersi all’ombra che proiettavano i filari delle altissime palme che si prolungavano per un buon tratto.

      Nel porto tutto era silenzio. Le navi, ancorate qua e là, colle antenne e le vele calate sul ponte, erano deserte.

      Gli spagnoli si credevano troppo sicuri in Maracaybo, per prendersi la briga di tenere uomini di guardia. Dopo l’ultima scorreria dei filibustieri della Tortue, guidati dall’Olonese, dal Corsaro Nero e dal Basco, avvenuta molti anni prima, avevano innalzati forti, che si credevano inespugnabili ed un gran numero di formidabili batterie, che collegavano i loro tiri fra la costa e le isolette davanti alla città.

      I due avventurieri s’avanzavano con prudenza, non essendo permesso di notte di entrare nel porto e nemmeno di uscirne. Sapevano che al di là delle isolette una grossa caravella incrociava per impedire entrate sospette o fughe.

      Quando la scialuppa raggiunse l’estremità della gettata, Carmaux e Wan Stiller deposero i remi ed issarono una piccola vela latina che era tinta in nero, affinché non la si potesse scorgere fra le tenebre.

      Il vento era favorevole, soffiando dal lago e poi anche al di là sulla gettata, l’ombra continuava essendo la costa coperta da paletuvieri foltissimi e da palme mauritie assai alte.

      «Sempre sotto?» chiese Wan Stiller, che si era collocato a poppa, alla barra del timone mentre Carmaux teneva la scotta.

      «Sì, per ora».

      «Vedi la caravella?»

      «Sto cercandola».

      «Che navighi coi fanali spenti?»

      «Senza dubbio».

      «Sarebbe un guaio se la trovassimo sulla nostra rotta».

      «Ah! Eccola laggiù che sta girando la punta di quell’isoletta. Governa diritto. Non ci scorgeranno».

      La baleniera, messasi al vento, cominciò a filare colla velocità di uno squalo, radendo sempre la spiaggia.

      In quindici minuti raggiunse il promontorio che chiudeva verso settentrione il piccolo porto e che era guardato da un fortino costruito sulla cima d’una rupe, vi girò intorno senza che le sentinelle l’avessero scorta e si diresse verso il nord per attraversare lo stretto formato fra la penisoletta di Sinamaica da un lato e le isole di Tablazo e di Zapara dall’altro, onde raggiungere il golfo di Maracaybo.

      Ormai non avevano più nulla da temere, potendo spacciarsi per pescatori o per canottieri.

      «Gettiamo le nostre vesti e diventiamo marinai» disse Carmaux. «Nessuno sospetterà di noi».

      Aprì una cassa che si trovava sotto la prora ed estrasse delle grosse casacche di panno grigio, delle fascie di lana e dei berretti terminanti a punta con grosso fiocco azzurro.

      Legato il timone e la scotta, in pochi istanti si trasformarono, poi gettarono lungo i bordi alcune reti, lasciando cadere in acqua i sugheri.

      «Vediamo come sta ora l’amico» disse Carmaux, quand’ebbe finito.

      Levò la tela che copriva il disgraziato piantatore, poi lo sbarazzò della sciarpa che gli chiudeva la bocca.

      Don Raffaele respirò a lungo, senza però aprire gli occhi.

      «Il sonno è stato più forte della paura» disse l’avventuriero ridendo. «Quello Xeres e quell’Alicante erano proprio di prima qualità. Il capitano Morgan sarà ben lieto di questa cattura e penserà lui a far sciogliere la lingua al nostro prigioniero».

      «Purché non muoia sul colpo, risvegliandosi nelle mani dei filibustieri» disse Wan Stiller.

      «Prenderemo le nostre precauzioni onde non spaventarlo tutto d’un tratto».

      «Avrebbe fatto meglio a spiattellare tutto ciò che sapeva intorno alla figlia del cavaliere di Ventimiglia».

      «L’avrei rapito egualmente».

      «Che cosa vuol farne Morgan di un abitante di Maracaybo?»

      «Mio caro, potrà avere da questo imbecille delle preziose informazioni sul numero dei soldati che occupano i forti e dei cannoni che li armano».

      «Dunque è risoluto ad assalire la piazza?»

      «Ora più che mai!»

      «Avremo un osso duro da rodere, mio caro Carmaux. Hai veduto che opere imponenti hanno innalzato gli spagnoli? Maracaybo non è più quella che era quando l’espugnammo col Corsaro Nero e con quel diavolo di Olonese».

      «Siamo in buon numero e non ci mancano le artiglierie. I milioni di piastre che ricaveremo compenseranno largamente i rischi d’una simile impresa».

      «Purché la flotta non venga scoperta».

      «La baia di Amnay è ben coperta e nessuno scorgerà le nostre navi. D’altronde i nostri stanno in guardia e non si lasceranno sfuggire i curiosi e gli spioni».

      Essendo il vento sempre favorevole e tendendo anzi a rinfrescare sempre più, avvicinandosi l’alba, la

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